Il dramma infinito della Cecenia
di Stefano Magni
Forse
era dai tempi dell’uccisione in diretta di Sadat, l’ex presidente
egiziano assassinato dai Fratelli Musulmani, che non si assisteva a un
attentato così plateale. Nel bel mezzo della parata commemorativa della
vittoria della seconda guerra mondiale, il 9 maggio scorso, di fronte
all’occhio incredulo delle telecamere e di milioni di telespettatori,
una bomba è esplosa proprio sotto il sedile del presidente ceceno Akhmed
Kadyrov, uccidendo (quasi sul colpo) il presidente stesso e altri
quattordici spettatori. Fra i feriti gravi si annovera anche il
comandante in capo delle forze russe in Cecenia, il generale Valerii
Baranov. Un vero colpo di scena, se si considera che, stando ai
comunicati ufficiali del Cremlino, le ostilità in Cecenia sono finite da
un pezzo.
Erano
mesi che Mosca stava incoraggiando il ritorno delle migliaia di profughi
di guerra, rifugiatisi in Inguscezia, pagandoli anche con risarcimenti
di circa 13.000 euro a testa (in rubli). Il gesto magnanimo aveva
suscitato mille perplessità fra le associazioni russe per i diritti
umani, fra cui Memorial, secondo cui la guerriglia non si era affatto
placata e i rapimenti (condotti sia dai gruppi di separatisti, sia dallo
stesso esercito regolare russo) ammontavano a più di 600 negli ultimi
mesi. L’attentato dei separatisti ceceni, l’ultimo di una lunghissima
serie di attacchi in Cecenia e nel cuore della stessa Russia, ha
spezzato definitivamente l’immagine di una regione russa “normalizzata”.
Sarebbe sbagliato etichettare l’ex presidente ceceno come un mero
“burattino” manovrato da Putin. Sicuramente Kadyrov deve la sua
posizione a vere e proprie elezioni farsa, organizzate dal Cremlino
nell’ottobre del 2003, che gli hanno garantito una vittoria “bulgara”
(in questo caso sarebbe meglio dire: sovietica) plebiscitaria. Lo stesso
potere di Kadyrov è stato assicurato soprattutto dalla presenza delle
truppe russe in Cecenia. E’ anche vero che l’origine di Kadyrov, come
della stragrande maggioranza delle élite post-sovietiche, è tipicamente
comunista: ex direttore di sovkoz negli anni ’70, poi di un’azienda
edile di Stato. Ma non per questo Kadyrov si può dipingere come un
semplice ex burocrate sovietico, ancora ligio al dovere imposto da
Mosca. L’ex presidente era un vero ceceno e un vero musulmano: nel 1994
aveva preso parte alla resistenza contro l’invasione russa, comandando
la sua unità di guerriglieri indipendentisti. Musulmano, sufi e
moderato, Kadyrov era diventato Gran Muftì (la massima autorità
religiosa) della Cecenia e in quella veste aveva partecipato alle
trattative che nel 1996 portarono alla fine della guerra a un’ampia
autonomia della repubblica caucasica. Kadyrov ruppe con il presidente
indipendentista ceceno Maskhadov per motivi religiosi e politici:
riteneva che il leader eletto dal popolo ceceno come presidente laico,
fosse troppo condiscendente con gli integralisti islamici, con le bande
armate di Basaev finanziate dal network islamico wahabbita. Nel 1999
condannò l’islamizzazione progressiva dei villaggi e delle città nel
vicino Daghestan ad opera delle milizie di Basaev e quando i russi, dopo
aver combattuto una dura guerriglia di confine, invasero la Cecenia,
passò dalla loro parte. Sembra che neppure i crimini russi, come i
bombardamenti indiscriminati su Grozny, le operazioni di
“rastrellamento” nelle città cecene nei villaggi e i campi di
“filtraggio” (veri e propri campi di concentramento), gli abbiano fatto
cambiare idea. Nel 2000, Kadyrov aveva accettato da Putin l’incarico di
capo del governo provvisorio filo-russo, ruolo che lo aveva portato
dritto alla presidenza della repubblica.
La sua opposizione all’integralismo islamico può far apparire Kadyrov
come un eroe dei nostri tempi, un bastione della legalità contro il
terrorismo. E’ così che lo ha definito Putin, in occasione della sua
visita in Cecenia l’11 maggio scorso. Ma uno sguardo più disincantato e
attento sul suo modo di gestire la presidenza, lo fa apparire sotto
tutt’altra luce. Dal 1999 era a capo di una sua milizia personale, che
negli anni si è trasformata in una vera e propria polizia privata, forte
di 4000 guerriglieri ceceni veterani, che rispondevano direttamente a
Kadyrov stesso e a suo figlio Ramzan. La popolazione locale temeva
questa polizia privata presidenziale ancor più degli stessi servizi
segreti russi. Ramzan, soprattutto, è sospettato di aver condotto una
serie di rastrellamenti, di aver fatto torturare i prigionieri e di
gestire una sua prigione privata, non diversa da quella dei figli sadici
di Saddam Hussein. Osservatori locali, inoltre, riportano che le milizie
di Kadyrov venissero impiegate soprattutto per scopi “personali”, come
regolamenti di conti fra famiglie e clan, gestione di traffici illeciti,
ecc… Certo, in un conflitto in cui anche i regolari russi si sono
macchiati di crimini come il rapimento di civili, l’estorsione,
l’imposizione del “pizzo” a interi villaggi e il traffico illecito del
petrolio estratto dagli oleodotti (la cosiddetta “economia del samovar”)
è difficile individuare dei difensori della legalità. Non si sa come
potrebbero evolversi le operazioni nel prossimo futuro, ma non è affatto
detto che i 1000 uomini del ministero dell’Interno che Mosca ha promesso
di rinforzo ai comandi locali, creino maggior “ordine” nel nostro senso
del termine.
14 maggio 2004
stefano.magni@fastwebnet.it |