New Europe/7. Polonia, il “gigante dell’Est”
di Pierluigi Mennitti

Lungo il ponte della frontiera a lungo contesa, tra Francoforte sull’Oder e Slubice, tra Germania e Polonia, sull’Oder-Naisse, la notte della festa due lingue di fuoco si sono unite a suggellare un ricongiungimento che solo vent’anni fa sembrava impossibile. I ministri degli Esteri dei due paesi, il tedesco Joschka Fischer e il polacco Wlodzimierz Cimoszewicz, guardavano compunti e commossi quelle luci e quella gioia, quegli applausi e quei sorrisi di gente accorsa sul ponte per salutare la Nuova Europa che nasceva. Per molti anni questa frontiera, per la Germania occidentale, semplicemente non esisteva. La Costituzione non l’aveva mai riconosciuta, eredità dolorosa di un’Europa lacerata dalle macerie fisiche e morali della seconda guerra mondiale. Poi, riunificata la Germania e intensificati i rapporti politici ed economici con il vicino ritrovato, Helmut Kohl aveva mosso i passi decisivi, dichiarando solennemente che la frontiera dell’Oder-Naisse diventava, ufficialmente e per sempre, il limes tra Germania e Polonia. Questa lingua di fiume ha tuttavia continuato a segnare un confine di sofferenza e di morte. In queste acque, su queste barriere si sono infranti i sogni e le speranze di tanti est-europei che cercavano di entrare nell’Unione-fortezza con il miraggio di un futuro migliore. Un recente e bellissimo film tedesco (Lichter, di Hans-Christian Schmid) racconta con dolcezza le tante storie di miseria, meschinità e dolore che si sono addensate lungo questo confine. Storie consegnate all’archivio. Da questa notte quel confine non esiste davvero più, le barriere si sono alzate, polizia, gendarmeria, polizei e guardie di frontiera si sono spostate mille chilometri più ad Est. La nuova frontiera si staglia nella steppa, tra la Polonia e l’Ucraina e la Bielorussia.

A Varsavia il nuovo che avanza ha il colore grigio del cemento, la lucentezza del vetro, la fredda asetticità dei neon. Gru e montacarichi ronzano senza sosta nel vasto piazzale di fronte al palazzo della cultura, una massiccia torre in stile sovietico che Stalin donò alla Varsavia comunista affinché tutti i cittadini non dimenticassero mai chi comandava. La torre ha oggi il fascino delle costruzioni che simboleggiano un tempo che non c’è più. A molti non piace, ricorda troppo il regime totalitario e la battuta che circola in città non è originale ma è efficace: il panorama migliore si vede dalla terrazza in cima al palazzo, è l’unico punto dal quale il palazzo stesso non si vede. Il suo aspetto austero e un po’ sinistro non regge il confronto con i nuovi grattacieli moderni che simboleggiano l’era del mercato e del capitalismo, delle multinazionali che invadono il paese e del consumismo. Shopping mall, grandi magazzini, alberghi a cinque stelle hanno cambiato la skyline della città e le abitudini dei suoi abitanti, anche se negli ultimi anni l’economia ha rallentato, riassorbendo il boom che aveva fatto gridare al miracolo alla fine degli anni Novanta.

Modernità e timori, speranze e antiche paure. La Polonia che si presenta in Europa raccoglie in sé tutte le ambiguità di un grande paese. I nuovi ricchi scorazzano in Mercedes nella notte dorata di Nowi Swiat, l’arteria bella ed elegante della capitale dove di giorno si concentra lo shopping di classe e di notte ci si addentra nei ristoranti più costosi. I nuovi poveri si nascondono nei casermoni della periferia, all’ombra dei mostruosi casermoni prefabbricati di stile sovietico che orlano tutte le città dell’Est, grandi o piccole che siano. Vecchie cattedrali ormai nel deserto, grandi conglomerati urbani addossati attorno a mega-fabbriche che l’inefficienza produttiva del comunismo ha reso inadeguate al confronto con il mercato, condannandole alla chiusura. L’incubo ha l’aspetto di Nowa Huta, letteralmente Nuova Fonderia, un agglomerato abitativo e industriale realizzato nell’immediato dopoguerra dal regime comunista a una manciata di chilometri da Cracovia. Troppo bella, troppo raffinata, troppo ricca di monumenti Cracovia, per essere mantenuta intatta nel suo splendore borghese. Così il regime decise di addossarle questo immenso insediamento industriale, quasi per punirla. Oggi la ruggine che corrode parte della fabbrica deposita polvere velenosa nei polmoni dei suoi abitanti. Non basterà un allegro centro commerciale per sanare gli sfregi dell’ideologia.

Così si entra in Europa. Con l’ottimismo degli uomini d’affari e la disperazione della vecchia classe operaia, l’allegria incosciente dei giovani e la tristezza sospettosa dei vecchi, la preoccupazione ottusa dei contadini e il furbo opportunismo dei politici. A proposito: quasi a smentire la novità di una Polonia strappata all’eterna instabilità politica, il governo entra in crisi e le prospettive di una soluzione immediata sono incerte. Benvenuta cara, vecchia Polonia, con le icone di Papa Wojtyla esposte in ogni vetrina e le belle ragazze che occhieggiano nelle hall degli alberghi. Ma anche queste non sono più polacche, semmai russe, ucraine e bielorusse. Dicono si sia spostata mille chilometri più ad est la nuova frontiera della povertà. L’Europa-fortezza s’è allargata. Chissà dove andrà a sbattere.

1 maggio 2004

pmennitti@ideazione.com

 

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