La sindrome di Monaco '38
di Stefano Magni
Al Qaeda ha effettuato la sua operazione di regime change senza perdere
neanche un uomo. Che lo si voglia vedere o meno, quella di Madrid è
risultata la più grande vittoria del terrorismo islamico, forse dai
tempi degli attentati a Beirut nel 1983. Al Qaeda ha vinto perché ha
scelto di colpire un obiettivo nel cuore dell’Europa Occidentale, ha
penetrato un buon sistema di sicurezza, ha fatto una strage inaspettata
e poi ha deciso di rivendicare l’attacco in un momento chiave: alla
vigilia delle elezioni in cui era destinato a vincere il loro nemico
Aznar. Il premier popolare, fondamentale cerniera fra l’Ue e gli Stati
Uniti durante tutta la crisi del Golfo, ha perso a vantaggio dei
socialisti, contro tutte le previsioni, secondo le quali, al massimo,
era in discussione la sua conquista della maggioranza assoluta, ma non
la sua vittoria.
Molto dell’elettorato si è sicuramente ribellato di fronte a un
comportamento così irresponsabile come quello tenuto dal governo Aznar
subito dopo gli attentati: molti spagnoli si saranno sentiti traditi o
trattati come dei bambini, nel momento in cui le dichiarazioni ufficiali
attribuivano tutta la responsabilità all’Eta quando ormai era evidente
che si era di fronte a un atto del terrorismo islamico. Ma le dimensioni
e la rapidità della sconfitta di Aznar, fanno intuire ben altro che una
momentanea, sia pur giustificata, ondata di indignazione. Una delle
primissime dichiarazioni del nuovo premier socialista, Zapatero, suona
abbastanza chiara: abbandonare l’Iraq il prima possibile, a meno che non
vi sia una specifica risoluzione Onu che “legittimi” pienamente
l’intervento. Quello che Al Qaeda voleva, insomma: per ora la strategia
del gruppo di Bin Laden e Al Zawahiri è quella di intimidire gli alleati
degli Stati Uniti, soprattutto gli europei.
Durante il feroce dibattito che aveva preceduto la guerra in Iraq, i
radicali islamici consideravano l’Europa come il ventre molle
dell’alleanza. Avevano visto quanto profonda era la sua divisione
interna e quanto era diffuso l’astio anti-americano. Era talmente forte
l’impressione che i Paesi europei non intendessero affrontare assieme
agli Stati Uniti la guerra contro il terrorismo, che Saddam Hussein era
convinto di potersi risparmiare guerra e sconfitta solo grazie alla loro
politica di contrapposizione agli Stati Uniti. Era stato soprattutto per
la forte posizione presa dai governi di Spagna, Italia e della “New
Europe” centro-orientale che la guerra a Saddam venne comunque lanciata.
Ma i pianificatori di Al Qaeda, evidentemente, si erano resi conto che
le decisioni prese dai governi europei filo-americani non riflettevano
la reale paura dell’opinione pubblica. Con l’attentato di Madrid,
purtroppo per tutti noi, hanno dimostrato di aver visto giusto: l’Europa
ha effettivamente paura e non intende battersi a fondo contro il
terrorismo.
Con l’eventuale ritiro delle forze spagnole dall’Iraq, ormai molto
probabile, si potrà guadagnare qualcosa in termini di sicurezza?
L’ipotesi, visti i precedenti, è molto poco credibile. Ora nel mirino ci
sono gli altri Stati che hanno appoggiato la politica statunitense:
l’Italia e la Gran Bretagna, prima di tutto. Siccome si sa (e molto
probabilmente lo sanno anche le menti di Al Qaeda) che è difficile
scalfire il morale degli inglesi, è possibile che i terroristi puntino,
nel prossimo futuro, a un nuovo, più facile, successo in Italia. Hanno
visto che, nell’Europa continentale, colpendo duro ottengono ciò che
vogliono: governi propugnatori di politiche scettiche, per non dire
ostili, all’alleanza con gli Stati Uniti. Per cui, dopo Madrid, è molto
più probabile che colpiscano ancora.
Rimane il problema di fondo: con un’altra politica, con una politica “di
dialogo” alternativa a quella statunitense, sarebbe più sicura l’Europa?
Se tutti i paesi europei attualmente impegnati in Iraq si ritirassero,
sarebbe più sicura l’Europa? Se gli Stati Uniti e Israele rimanessero
senza alleati, sarebbe più sicura l’Europa? Anche in questo caso, visti
i precedenti, c’è da dubitarne. Il terrorismo islamico è cresciuto anche
grazie alle ritirate degli occidentali. Si è rafforzato e rinfrancato
dopo che gli attentati a Beirut, nell’ottobre del 1983, hanno causato
l’evacuazione del contingente internazionale dal Libano pochi mesi dopo.
Ha potuto lanciare la sua offensiva totale contro Israele dopo che gli
israeliani ripiegarono dal Libano meridionale nel 2000, evento che
Hizbollah e tutti gli altri movimenti integralisti islamici vivono
ancora come una grande vittoria. Il terrorismo islamico ha potuto
organizzarsi in tutto il mondo dopo un decennio di amministrazione
Clinton, la cui unica risposta ad attentati sanguinosissimi come quello
di Nairobi, consisteva in qualche missile mal puntato e qualche misura
di sicurezza in più. L’11 settembre è stato reso possibile da otto anni
di politica di Clinton. C’è quindi da dubitare che il ritiro dei
contingenti europei dall’Iraq possa giovare alla sicurezza dell’Europa.
16 marzo 2004
stefano.magni@fastwebnet.it
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