Lo scontro delle volontà
di Pierluigi Mennitti

Al-Qaeda, o il network terroristico che ne è derivato, s’è presentata nelle urne spagnole e ha vinto le elezioni politiche. Ognuno usa i mezzi di cui dispone. In democrazia, generalmente, si vota con la scheda elettorale, recandosi nei seggi agli orari stabiliti dalla legge del paese. Il terrorismo vota con le bombe, depositando i propri avvisi elettorali un po’ in anticipo rispetto alla data prefissata. Duecento corpi dilaniati, depositati ai piedi di José Maria Aznar, sui quali si sono avventati, con il solito sciacallaggio, i manifestanti della sinistra spagnola. Il governo popolare ha compiuto errori marchiani nelle 72 ore successive all’attentato, intuendo che la pista islamica avrebbe potuto produrre risultati emozionali a pochi attimi dal voto. Ma invece di dichiarare aperte tutte le piste e di rilanciare l’unità del paese di fronte al terrorismo di ogni matrice (una saldatura tra fondamentalismo islamico e schegge impazzite dell’Eta resta a tutt’oggi l’opzione più probabile), ha preferito giocare in difesa esponendosi all’accusa di nascondere la verità sulle indagini. Otto anni di buon governo ingoiati da tre giorni di dilettantismo. Sono bastati per perdere le elezioni, non certo per distruggere una leadership, quella di Aznar, che rimarrà tra le più fulgide dell’Europa di fine e inizio secolo.

La prima proposta del nuovo premier socialista, Zapatero, è il ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq, entro giugno, se in quella data non sarà intervenuta l’Onu. Che era in realtà già intervenuta, sottolineando la propria diversità rispetto agli “occupanti” americani, ma poi aveva contato le sue vittime, preso armi e bagagli e accusato gli Stati Uniti di non aver saputo difendere la missione. Si dice che la strategia dei terroristi sia quella di colpire i paesi alleati di Bush, i membri di quella willing coalition che s’è addossata il compito di stanare le belve fondamentaliste in ogni angolo del mondo, partendo dall’Afghanistan e proseguendo in Iraq. Ma la Turchia non aveva appoggiato la guerra a Saddam, né lo aveva fatto il Marocco, o la Tunisia, o l’Arabia Saudita. Non risulta che questi paesi siano rimasti indenni dall’ondata terroristica che ha colpito con brutale violenza lungo tutta la faglia tellurica sulla quale insistono i contatti tra due civiltà.

Tanto è vero che assieme a Roma, Londra e Varsavia, alzano il livello di allerta capitali “pacifiste” come Parigi e Berlino, Mosca e Bruxelles. E l’Unione Europea, nella verbosità massima che contraddistingue le sue tante istituzioni, riunisce in una settimana (tempi lunghi in un’emergenza ma velocissimi per il brontosauro europeo) i ministri degli interni e propone la nascita di un commissario contro il terrorismo: in una parola cerca di dotarsi di misure di sicurezza comuni che avrebbero dovuto essere prese all’indomani dell’11 settembre 2001. Ma allora l’Europa ha creduto che la minaccia fondamentalista fosse un problema americano e che la solita vecchia politica di contenimento avrebbe permesso di opporsi al nemico senza ingaggiare le armi. Ad ogni azione militare di questa lunga guerra, la tenuta dell’opinione pubblica delle democrazie è messa a dura prova. Che si tratti di un’attacco dei terroristi o di una controffensiva degli americani e di chi gli sta al fianco, in Occidente ci si divide, si manifesta, si bruciano bandiere, ci si dilania nei talk show. In questo ventre molle delle democrazie, il tritolo di Al-Qaeda si inserisce con drammatica violenza.

A un anno dalla guerra in Iraq, il consuntivo che se ne trae resta negativo per chi si era opposto alla guerra, positivo per chi la aveva condotta. Sullo scenario internazionale la posizione americana è meno isolata di quanto non si voglia far credere. I paesi arabi moderati, che hanno mantenuto una posizione defilata rispetto alle scelte dell’amministrazione Bush, collaborano molto attivamente alla lotta al terrorismo. Nell’Iraq divenuto terreno di scontro con le milizie terroriste di Al-Qaeda, la nuova Costituzione apre scenari politici al dopoguerra, mentre assai lentamente la condizione sociale ed economica migliora. Nei paesi limitrofi, Siria e Iran, le spinte verso la libertà e la democrazia si fanno più pressanti, tanto che la Repubblica degli Ayatollah ha dovuto evitare elezioni libere per non incorrere in sorprese. L’Afghanistan non è più il quartier generale di Osama Bin Laden. Questi risultati reggeranno all’urto delle prossime bombe? A Londra i servizi inglesi non si stanno preparando all’eventualità di un attentato. Lo danno per certo, inevitabile. Si stanno preparando a reagire, come leadership e come popolazione, per evitare una deriva spagnola. E in Italia?

15 marzo 2004

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