Lezione di greco moderno
di Pierluigi Mennitti
L’insegna con il sole che sorge in campo verde la ritrovavi dappertutto,
in plexiglass su un palazzo moderno del centro commerciale di Atene, in
legno su una porticina scalcinata tra le pietraie dell’Epiro. Il simbolo
del Pasok era diventato quasi il marchio della Grecia moderna,
raccontandone i cambiamenti e le trasformazioni, soprattutto nella
politica, nella partecipazione dei cittadini, nella passione dei
militanti. Degli ultimi 23 anni, i socialisti del Pasok ne avevano
trascorsi 20 al governo, distillando in tutte le salse le magie
politiche e burocratiche della dinastia Papandreou, la stessa cui
appartiene l’ultimo rampollo, quel Ghiorgos che ha invano tentato di
recuperare il consenso smarrito. Modernizzazione, corruzione,
clientelismo, innovazione: il socialismo greco ha accompagnato la
crescita del paese spingendolo sulle montagne russe del proprio
schizofrenico potere, lungo tutto il miracolo clientelare degli anni
Ottanta fatto di crescita drogata che affondava le sue radici
nell’indebitamento dello Stato e poi attraverso la stagnazione degli
anni Novanta, fino all’inizio del nuovo secolo, quando il nuovo premier
Costas Simitis ha restituito smalto al governo con un’accorta politica
di risanamento dei conti pubblici associata ad un felice utilizzo dei
fondi europei. Lo smalto del governo, però, non si è riflesso sul
partito, rimasto vincolato dalle radici burocratiche di partito-Stato,
sulle quali è prosperato per un tempo troppo lungo.
Dopo un ventennio tutto si logora. Anche il Pasok, la cui miscela di
statalismo e burocrazia, innovazione e paternalismo ha così ben
interpretato quella via mediterranea alla modernizzazione che aveva
fatto la fortuna di altri socialismi del Sud Europa, da quello craxiano
a quello di Gonzales nell’Italia e nella Spagna degli anni Ottanta. Un
socialismo ormai datato, che Simitis aveva di fatto già superato anche
in Grecia, ma che aveva segnato inesorabilmente l’essenza stessa del
Pasok, del partito-Stato imbottito di burocrazia e corruzione. Quando i
cittadini hanno avuto la sensazione che un’altra politica poteva meglio
assecondare le nuove ambizioni di un paese cresciuto, hanno cambiato
cavallo. Adesso affidano a un nuovo partito, a un nuovo leader e a una
nuova generazione le loro speranze: le risposte sono Nea Democratia,
Costas Karamanlis e la generazione dei quaranta-cinquantenni.
Atene non pensa più al risanamento o al recupero del tempo perduto: la
terra dell’antica Ellade s’è scrollata di dosso l’abito di Cenerentola
d’Europa, ha scalato le posizioni, ha trovato nei Balcani riemersi dalla
guerra civile il proprio destino egemone, un nuovo mercato economico, lo
spazio dei propri interessi nazionali. Il Sud-Est europeo, secondo la
lungimirante visione di Karamanlis, si allarga anche alla Turchia nella
prospettiva di un rapporto costruttivo che superi ataviche
incomprensioni: niente male per un partito fino a qualche anno fa
schiacciato su posizioni nazionaliste. Oggi Nea Democratia parla il
linguaggio della moderna destra europea, delle libertà economiche, della
forza dell’impresa, dell’operosità della borghesia produttiva. Allo
sconfitto Papandreou, anche lui appena cinquantenne, il compito di
svecchiare il Pasok, di depurarlo delle incrostazioni di una lunga
stagione di potere. Può farlo perché ha idee moderne e mentalità
occidentale. La compostezza di una svolta di governo che rappresenta
davvero un cambio d’epoca è una lezione che giunge all’Italia dalla
vicina Grecia, che oggi può essere un prezioso partner o un pericoloso
concorrente nello sviluppo dell’area balcanica.
8 marzo 2004
pmennitti@ideazione.com
|