Scende in campo Nader il guastafeste
di Alessandro Gisotti

Alla fine, Ralph Nader ha passato il Rubicone. Anzi, il Potomac. Il settantenne ambientalista, avvocato dei consumatori americani ha annunciato al programma “Meet The Press” della Nbc che correrà alle presidenziali come indipendente. “Washington è un territorio occupato dalle corporation” ha tuonato Nader. Che ha rincarato: “Repubblicani e democratici combattono all’ultimo sangue per andare alla Casa Bianca e da lì continuare a prendere ordini dalle multinazionali”. Il partito democratico non l’ha presa bene. Nel 2000, Nader – allora candidatosi alle presidenziali come leader dei Verdi – ottenne il 2,8 per cento dei consensi. Poca cosa? Eppure in due Stati, New Hampshire e Florida, sottrasse voti decisivi ad Al Gore determinandone la sconfitta nella più tirata e contestata elezione della storia americana.

Per evitare la sua nuova discesa in campo, i democratici le hanno tentate tutte. Dal bastone alla carota. La storica rivista progressista “The Nation” ha chiesto ripetutamente al leader ecologista di tenersi da parte. Richiesta echeggiata con forza dai siti web RalphDontRun.net e NoNader.org, nati appositamente per sostenere la causa. Quindi, nelle ultime settimane si è intensificato il pressing di Terry McAuliffe, presidente del Democratic National Committee, e grande regista delle primarie democratiche. Sembra che Nader avesse promesso a McAuliffe di non candidarsi. Anche per questo l’annuncio alla Nbc è stato accolto con fastidio dai democratici. L’influente governatore del New Mexico, Bill Richardson, ha dichiarato a Fox News Sunday che Nader non ha alcun movimento che lo sostenga, “la sua è una scelta di vanità personale”. Il deputato indipendente del Vermont, Bernard Sanders, ha chiesto al terzista guastafeste di ritornare sui suoi passi. Anche il lanciatissimo John Kerry ha emesso un comunicato esortando i democratici a restare uniti in vista delle elezioni di novembre. La sconfitta di quattro anni fa brucia ancora e lo spettro di una nuova débacle a causa di un terzo incomodo innervosisce i democratici.

Secondo Matthew Continetti di “Weekly Standard”, bibbia dei neoconservatori, con Nader nell’arena diverrà evidente che chiunque tra i democratici sfidi Bush il 2 novembre, avrà delle posizioni sui temi chiave molto più vicine a quelle di George W. di quanto voglia ammettere. Sia Kerry che Edwards criticano aspramente la politica di Bush sull’Iraq, ma nessuno dei due – una volta al potere – ordinerebbe il ritiro immediato delle truppe dal quadrante iracheno. Nader sì. Perfino in materia fiscale, i due contendenti democratici apporterebbero delle modifiche alla linea tracciata dall’amministrazione repubblicana, ma non la cancellerebbero. Nader sì. Insomma, l’araba fenice Howard Dean è già rinata sotto le spoglie del leader dei consumatori a stelle e strisce. Dal canto suo, Nader non ha gradito le bordate da parte democratica e si è scagliato contro quella che ha definito “liberal intellighentsja”. Lascia perdere, gli hanno detto. E lui ha risposto: “Ecco i liberal. Questo significa disprezzare la democrazia, la libertà e la possibilità di scelta degli americani. Non succederebbe mai in Canada o nelle democrazie europee”.

Masticano amaro anche al New York Times, che dei democratici sono il grande elettore. In un editoriale dal titolo che è tutto un programma - “Nader l’ha fatto di nuovo” - il quotidiano scrive che “se Nader non ha compreso la lezione di quattro anni fa, gli elettori invece l’hanno certamente capita”. La gente, prosegue il NYT, può aver votato per lui una volta “pensando che mandare un messaggio fosse più importante che scegliere un presidente. Ma è molto improbabile che compia lo stesso errore una seconda volta”. Staremo a vedere.

24 febbraio 2004

gisotti@iol.it
 

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