Alla CdL serve qualcosa di più
di Pierluigi Mennitti
[01 giu 06]

Ne avessero azzeccata una gli strateghi elettorali del centrodestra! Hanno giocato in difesa su tutta la linea e la vendetta della politica li ha colpiti in pieno. Prima si sono inventati la "porcata" elettorale della proporzionale senza preferenze, e hanno perso per 24mila voti elezioni che, con la vecchia legge, molto probabilmente avrebbero vinto. Poi hanno evitato l'election day, l'unificazione del voto nazionale e amministrativo, e oggi hanno beccato una bella batosta preannunciata dalla scarsa affluenza alle urne. Se avessero utilizzato il traino delle politiche, forse, sarebbe andata diversamente. Ma la politica è anche sfida e azzardo, il resto è ragioneria di bassa bottega, una specialità dalle nostre parti. La sinistra ha confermato i suoi sindaci con percentuali trionfali (e vergognose per quei poveracci che hanno corso con il centrodestra, da Alemanno a Buttiglione a Malvano); la Casa delle Libertà ha confermato i suoi sul filo di lana. Ha vacillato la roccaforte destrorsa di Milano, dove la buona candidatura di Letizia Moratti ha sopperito anche a una fine legislatura Albertini non proprio decorosa, non quella sinistrorsa di Napoli, dove le ammuine di Apicella non hanno sciolto il sangue... degli elettori.

Non ci consola l'osservazione che le amministrative sono tradizionalmente negative per i moderati. Dopo quindici anni, questa spiegazione è una barzelletta, una stupida dichiarazione per gli idioti, e noi idioti non siamo. Manca una politica radicata sul territorio. Manca una selezione della classe dirigente che sia degna di questo nome. Manca la capacità di mandare a quel paese riciclati di tutti i tipi. Manca la voglia di immaginare un futuro che vada oltre le spallate, le depressioni, gli interessi personali, i riconteggi, gli amici degli amici, gli affari, i privilegi perduti, le posizioni consolidate. A via del Plebiscito (sì, avete letto bene, via del Plebiscito, non quel simulacro di indirizzo che suona via dell'Umiltà) sembra vada in onda, ogni sera, un film dell'orrore. Nulla si è mosso rispetto alla scorsa legislatura, i capigruppo sono gli stessi, la musica non è cambiata. Se qualcuno è davvero convinto che una politica di opposizione possa fondarsi sul riconteggio dei voti, si faccia una bella doccia fredda, perché il mondo va avanti e noi non abbiamo alcuna intenzione di rimanere indietro a contemplare il bel mondo andato. Chi ha organizzato il partito in questo modo, o decide di cambiare rotta, e in fretta, rinnovando (e possibilmente ringiovanendo) cariche e organigrammi o è meglio che si faccia da parte. Prima che a metterli da parte ci pensino una volta buona i propri elettori o quanti, nel mondo delle fondazioni e delle riviste, stanno già lavorando per il cambiamento e per disegnare scenari politici futuri nel centrodestra.

Si torni dunque alla politica. E la si smetta con lo stucchevole gioco del riconteggio dei voti. E’ capitato anche al centrodestra, altre volte e in altri luoghi, di vincere un’elezione per pochi voti: capita di vincere per un soffio. La metà di elettorato che ha votato per il Polo vuole una politica diversa da quella che hanno iniziato a fare i ministri del governo Prodi. Vuole alternative, possibilmente credibili. Vuole che la CdL rimetta mano al suo personale politico che, specie a livello locale, mostra una carenza morale e politica impressionante. Non crediamo che la classe dirigente della sinistra sia migliore, basta dare un'occhiata all'esecutivo che Prodi ha messo in piedi o al livello amministrativo delle giunte unioniste. Iervolino è stato il peggior sindaco che Napoli ricordi, ma qualcuno ricorda un nome autorevole di un politico napoletano del centrodestra? Insomma: o il centrodestra cambia registro o il consenso, pur ragguardevole, mantenuto ad aprile sarà destinato ad evaporare. Nell'ultimo editoriale di Ideazione ci chiedevamo se il centrodestra potesse immaginare "qualcosa di più della straordinaria vitalità di un leader impolitico". Qualcosa di più, perché sono passati dodici anni dal 1994: e dodici anni sono più o meno un ciclo politico. Ma anche qualcosa d'altro, perché Fini e Casini sono qualcosa di meno, non qualcosa di più di Berlusconi.

dal blog Walking Class

01 giugno 2006


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