Cinque giovani alla prova del voto
di Barbara Mennitti
[24 mag 06]

Che la politica italiana sia tendenzialmente geriatrica non è una scoperta. E nemmeno che con le ultime nomine l’età media delle cariche istituzionali si sia ulteriormente innalzata. Sessantasei anni ha il nuovo presidente della Camera dei deputati Fausto Bertinotti, settantatre il presidente del Senato Franco Marini e oltre ottanta il nuovo inquilino del Quirinale, Giorgio Napolitano, contro i 46, 58 e 79 anni che avevano Pierferdinando Casini, Marcello Pera e Carlo Azeglio Ciampi al momento della nomina. Le cose non migliorano di molto se si prende in esame il nuovo governo. Cinque sono i ministri di età compresa fra i 60 e i 70 anni, 15 fra i 50 e i 60, 6 fra i 40 e i 50 e nessuno fra i 30 e i 40. Giovanna Melandri, il titolare del nuovo ministero alle attività giovanili (sic), creato per la prima volta in questa legislatura, ha 44 anni: non esattamente una fanciulla in fiore. Insomma, sembra quasi che in Italia non si sappia bene cosa farsene dei giovani, se non attendere che siano invecchiati per affidare loro, finalmente, qualche incarico di responsabilità. O magari la gestione delle politiche giovanili.

Eppure i partiti, e in particolare la Casa della Libertà, brulicano di forze fresche, di nuove generazioni che scalpitano non tanto per giungere ai posti di potere, quanto piuttosto per iniziare un percorso di formazione e di crescita politica, quella che un tempo si chiamava “la gavetta”, che sentono potrà prepararli a diventare la nuova classe dirigente del paese. Magari in un futuro non troppo lontano. Per raccontare questo fermento abbiamo scelto di intervistare cinque giovani candidati sparsi su tutto il territorio nazionale, da Torino a Trapani passando per Milano e Roma. La loro età varia dai 18 ai 34 anni, hanno formazioni e background abbastanza diversi, dal cattolico osservante al liberale puro; qualcuno è candidato al Consiglio provinciale, altri al Consiglio comunale, altri ancora alla Circoscrizione. In comune hanno l’entusiasmo e la voglia di mettersi in gioco, ma anche idee nuove e concrete.

I nostri cinque intervistati rifiutano le facili etichette e non hanno grande interesse nella “questione generazionale”, come la definisce uno di loro, in quanto tale. Chiedono un cambiamento culturale nel modo di fare politica, una vera rivoluzione che non consista semplicemente nel dato anagrafico, nell’adozione “delle quote giovani”, ma che vada più in profondità. “Se dobbiamo essere uguali ai nostri padri – ha chiosato uno dei candidati – tanto vale lasciar loro al potere”. E in questo la nuova generazione sente di poter offrire molto, crede di poter portare alla politica italiana una ventata di freschezza, un superamento degli steccati tradizionali (fascisti/comunisti) che ancora pesano nella nostra vita democratica, un modo nuovo di intendere la contrapposizione. Buona fortuna a tutti loro.

24 maggio 2006


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