Il Calvario di Romano Prodi
di Salvatore Tatarella
[24 apr 06]
L’oracolo della Cassazione ha sostanzialmente confermato i risultati
elettorali comunicati la notte tra il 10 e l’11 aprile dal ministero
dell’Interno. Resta quindi confermata quella che Gianfranco Fini ha
giustamente definito la vittoria “aritmetica, non politica” dell’Unione,
quel paradossale incidente della storia che ha forse consegnato, ad una
coalizione sonoramente battuta al Senato e vincitrice di strettissima
misura alla Camera, un numero di seggi in Parlamento sufficiente ad
ottenere la fiducia. Noi crediamo che a questo punto sia ineluttabile
che il Capo dello Stato, appena prassi e decenza costituzionale glielo
permetteranno, incarichi Romano Prodi di formare il governo. Riteniamo
probabile che a Palazzo Madama il ministero così composto riuscirà a
strappare una risicatissima fiducia. Subito dopo comincerà un lungo e
doloroso Calvario nel quale la maggioranza si sbriciolerà su ogni
provvedimento di una certa serietà, nel quale il centrodestra avrà il
pratico controllo dei lavori parlamentari, almeno al Senato, e nel quale
il prevedibile peggioramento dei conti pubblici dovuto alla perdita di
fiducia nel “sistema Italia” indurrà a scelte demagogiche o impopolari
fino all’inevitabile splash-down.
C’è chi lo colloca a ottobre, chi pensa che si possa tirare avanti fino
a Natale; ma non c’è osservatore accreditato che pensi seriamente al
governo Prodi come ad un governo di legislatura quale quello di cui
immeritatamente prenderà il posto. Che succederà allora? Né le ragioni
del clima né quelle dell’economia consentiranno un immediato ritorno
alle urne, anche perché non si potrà chiedere ai “tacchini” del
centro-sinistra di preparare il cenone di Natale di cui sarebbero le
vittime predestinate. Riprenderanno allora quota le ipotesi di una
Grosse Koalition, di un governissimo o governo istituzionale che dir si
voglia e si cercherà di realizzare quello che uno statista autentico
come Silvio Berlusconi ha limpidamente enunciato come un accordo a tempo
di durata biennale fra le grandi culture politiche del Paese per tirare
l’Italia fuori dai guai e poi restituire la parola ai cittadini. Una
destinazione 2008 che comporti, magari con un accordo su una nuova legge
elettorale condivisa e per una moratoria temporanea sulla riforma
costituzionale, un percorso di difesa dell’interesse nazionale coniugato
ad un più lineare riassetto del nostro sistema politico.
Il problema sembra essere quindi non “se” ci sarà il governissimo, ma
“quando” ci sarà. E siccome fra le grandi culture politiche del Paese
c’è a pieno titolo quella rappresentata da Alleanza Nazionale il nostro
partito dovrà farsi trovare pronto all’appuntamento. Anche per evitare
che si ripeta l’errore che abbiamo commesso ai tempi del tentativo-
Maccanico, quando, frastornati dalla rigenerazione interna e da qualche
calcolo di troppo, dicemmo no al governo delle larghe intese per poi
rimanere cinque anni all’opposizione. Quella “paura di volare”, per
dirla con Erica Jong, pesò a lungo sulla riflessione politica di An.
Possiamo dire che l’errore di allora fu la premessa della definitiva
maturazione di Gianfranco Fini, che da quel momento non fu mai più
“soltanto” il presidente di Alleanza, ma una grande risorsa a
disposizione della nazione. Sul piano estetico il governassimo non piace
e non può piacere. Piace ancor meno a chi, come chi scrive, è persuaso
che il commissariamento della politica da parte dei poteri forti sia tra
le cause della difficile transizione italiana. Ma quando c’è di mezzo il
bene della Patria nessuno, a destra, può avere dubbi. Teniamoci quindi
pronti, senza miopie propagandistiche o egoismi meschini, a fare per
intero il nostro dovere. E preghiamo che la lucidità dei dirigenti
dell’Unione li induca a convincere presto il vanesio e arrogante Romano
Prodi che il suo sogno è finito prima ancora di incominciare.
24 aprile 2006
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