Lo scandalo dei bambini bolliti
di Stefano Magni
[06 apr 06]

In Cina, ai tempi di Mao, i bambini venivano bolliti per ricavarne concime per i campi. Quando Berlusconi lo ha ricordato in un incontro elettorale a Napoli, è subito scoppiata una polemica di tipo elettoralistico-diplomatico. Ha replicato per prima la Cina, con il Ministero degli Esteri di Pechino che dichiara il suo “sconcerto” di fronte alle dichiarazioni di Berlusconi. E la sinistra italiana ha cavalcato l’onda: “È un’offesa fatta ad un popolo con un miliardo e 300 milioni di persone. E anche se la metà se la dimentica, 650 milioni se la ricorderanno comunque. Siamo screditati all’estero e senza crescita all’interno”, ha dichiarato Romano Prodi. Mentre per D’Alema l’Italia deve restituire al mondo “l’immagine di un paese dell’accoglienza. Solo questo centro-estra poteva escogitare l’idea di un’Italia razzista”.

Offesa? Discredito? Razzismo? Ma cosa c’entrano? Che senso hanno di fronte all’evidenza dei fatti ricordata da Berlusconi? Forse per motivi di etichetta, occorre nascondere una realtà? Nella Cina di Mao i bambini erano realmente usati come concime. Ed erano anche mangiati. Durante la grande carestia, provocata dal regime comunista con il suo “Grande Balzo Avanti” (il tentativo fallito di industrializzare le campagne), i contadini stipulavano dei patti mutui, informali, con i quali le famiglie si scambiavano i figli per mangiarli. “Davanti agli occhi, tra le erbacce - ricorda il dissidente Wei Jingsheng - mi apparve all’improvviso una scena che mi era stata raccontata durante un banchetto: quella di famiglie che si scambiavano tra loro i figli per mangiarli. Distinguevo chiaramente il volto afflitto dei genitori che masticavano la carne dei bambini con i quali avevano barattato i propri. I ragazzini che cacciavano le farfalle tra i campi nei dintorni del villaggio mi sembravano la reincarnazione di quei piccoli divorati dal loro padre e dalla loro madre. Mi facevano pietà. Ma ancora di più mi facevano pietà i genitori. Chi li aveva costretti a mangiare, tra le lacrime e il dolore degli altri genitori, quella carne umana di cui mai, nemmeno nei loro peggiori incubi, avrebbero pensato di sentire il sapore? Capii allora chi era quel boia, ‘uomo di tal fatta che l’umanità, in parecchi secoli, e la Cina, in parecchi millenni, poterono partorirne uno solo’: Mao Tse-tung”.

Perché è utile ricordarlo anche oggi? Perché in Cina succede ancora. Il cannibalismo ai danni dei bambini, nelle misere campagne del “colosso” cinese, non si è affatto estinto. Lo rivela Asia News, con un lancio di agenzia dello scorso 5 aprile: nel Gansu la polizia ha scoperto in una discarica le braccia di bambini bolliti e cucinati con spezie. “Le braccia - come scrive un cronista locale - appartengono chiaramente ad un bambino: hanno bicipite ed avambraccio e le mani hanno ancora le unghie”. Il direttore dell’Ufficio Stampa di Lanzhou, la capitale del distretto, minimizza, sostiene che i resti trovati devono ancora essere identificati, ma non nega il ritrovamento. La polizia locale è invece più precisa: le braccia appartengono a bambini dai 5 agli 8 anni di età. Non si tratta di un caso isolato. La galleria degli orrori, negli ultimi anni, purtroppo è lunga: 121 teschi umani sono stati ritrovati nell’area fluviale di Tianzhou, solo due settimane fa; mentre nel 2003 era trapelata la notizia che in alcuni ristoranti del Guangdong si serviva carne di bambino. E negli anni Novanta, sempre nel Guangdong, era stato scoperto un traffico di feti umani da bollire per fare zuppe o per ricavarne prodotti di bellezza. In tutti questi casi, le autorità cinesi hanno sempre nascosto le notizie, negato, accusato i giornalisti di fare propaganda anti-cinese. Hanno sempre mantenuto un atteggiamento di omertà complice.

Anche perché c’è poi un’altra forma di “cannibalismo” istituzionalizzata: il riciclaggio degli organi e delle cornee dei prigionieri condannati a morte, pratica documentata da testimonianze e persino resoconti dettagliati. Di fronte all’orrore della Cina comunista, all’incubo di una società resa misera e bestiale dal più grande regime totalitario del mondo, c’è poco da parlare di “offesa”, di “discredito”, o di “razzismo”. Ci sarebbe solo da gridare allo scandalo. E lo scandalo è la Cina Popolare, non la dichiarazione di Berlusconi”.

06 aprile 2006


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