Una campagna avvelenata da piazze sinistre
di Alessandro Marrone
[24 mar 06]

Il 22 marzo il Dipartimento di Stato americano ha lanciato, in una nota ufficiale, un allarme su due distinti rischi che corrono i cittadini statunitensi nelle piazze del nostro paese. Da un lato il pericolo di un attentato terroristico, latente da anni e più temuto in prossimità di elezioni politiche in un paese direttamente impegnato nella lotta al terrorismo. Dall’altro le manifestazioni, organizzate o spontanee, che in campagna elettorale possono degenerare in momenti di violenza. Il comunicato cita esplicitamente il corteo di Milano dell’11 marzo.

In quella occasione circa 400 giovani dei centri sociali si erano radunati a Corso Buenos Aires per impedire un corteo della Fiamma Tricolore. Avevano zaini pieni di pietre, coltelli a serramanico, bulloni, bombe carta farcite di chiodi che hanno fatto poi esplodere, taniche di benzina, scudi di plexiglass e caschi. Hanno dato alle fiamme una sede elettorale di An, un Mc Donald e diversi negozi, oltre a motorini, auto e cassonetti, scontrandosi con la polizia. Molte delle persone comuni in quel momento in strada hanno preso a pugni i manifestanti, e paradossalmente la stessa polizia ha dovuto difendere i giovani dei centri sociali dalla folla inferocita. Tra i 41 arrestati vi erano anche no-global fermati durante il G8 di Genova. Entrambi gli schieramenti politici hanno condannato gli sconti con l’eccezione di Francesco Caruso, leader dei No Global e oggi candidato da Rifondazione comunista alla Camera. Ma alla fiaccolata di risposta organizzata il 16 marzo dalla Confcommercio di Milano, che ha raccolto 5mila persone e non ha visto bandiere di partito ma solo tricolori e qualche striscione più politico, hanno partecipato molti leader del centrodestra ma non Prodi e Fassino che hanno disertato “per evitare tensioni”, lasciando solo il candidato sindaco Ferrante a prendere i fischi della folla.

Ancora cinque giorni dopo, a Genova, alcune centinaia di giovani, dei licei e dei centri sociali, hanno atteso all’ingresso del Teatro Carlo Felice il premier Berlusconi, invitato a una manifestazione di Forza Italia, per lanciargli bottiglie e sacchi di farina, e cercare di forzare il cordone di polizia. Le forze dell’ordine hanno fermato i manifestanti, che hanno poi aspettato la fine del comizio per insultare i simpatizzanti di Forza Italia che uscivano attraverso un percorso protetto dai poliziotti. E’ normale dover essere scortati da agenti in tenuta antisommossa per assistere a una manifestazione del centrodestra? E’ normale una campagna elettorale che, in più occasioni, non può svolgersi liberamente, con i comizi e le manifestazioni – che rappresentano un momento sacro del confronto democratico – disturbati o impediti da piazze sobillate? Che tipo di democrazia viene perseguita da queste piazze sinistre?

Certamente è responsabile dei gesti di violenza chi li compie. Ma è legittimo chiedersi che influenza abbiano avuto certe affermazioni pubbliche, che possono incitare all’odio per l’avversario ben oltre il fisiologico fervore della campagna elettorale. Come ci si può lamentare dell’allarme del Dipartimento di Stato americano (che, come ribadito dai portavoce al candidato Prodi, riguarda i cittadini americani in Italia) se alcuni leader dell’Unione parlano delle mani di Bush come “grondanti sangue”? A furia di scherzare col fuoco, qualcuno che poi fa scoccare la scintilla capita. Storicamente la sinistra ha sempre avuto la propensione ad utilizzare la piazza per dipingere la contrapposizione tra “Paese Reale”, le migliaia che manifestano, e “Paese Legale”, i milioni che hanno votato il governo. A ciò si aggiungono da anni dichiarazioni che attribuiscono ogni tipo di reati e nefandezze morali al premier, come le ultime, improvvide e gravissime, parole di Violante: “C'è un giro di mafia vicino a Berlusconi”. Dal pulpito politico alla piazza, da Violante a un contestatore di Genova, l’accusa rimbalza e avvelena una campagna elettorale che non deve sfuggire di mano.

24 marzo 2006


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