Oggi parliamo di laicità
conversazione con Daniele Capezzone di Enrico Palumbo*
[06 ott 05]

L’annoso problema del rapporto tra laici e credenti sul tema della “laicità” troppo spesso si occupa dei confini che gli uni devono rispettare e gli altri non violare, ma sempre nell’ambito del sistema concordatario europeo. Sappiamo anche che sia da una parte del fronte laico (i radicali) sia da una parte di quello cattolico (lo stesso Pontefice) si guarda con interesse al modello americano di rapporti tra Stato e Chiese. L’obbiettivo dichiarato è quello: le differenze, semmai, permangono su tempi e modi del suo conseguimento. La sfida è aperta. Di questi temi abbiamo provato a discutere, un po’ informalmente, con Daniele Capezzone, segretario dei Radicali italiani.

Enrico Palumbo. E’ noto che sei un cultore del modello americano di laicità. Spesso però dai l’idea di essere un po’ troppo influenzato da quello francese. Se il Papa afferma che non si deve estromettere Dio dalla vita pubblica (e attenzione: ha detto Dio, non “il clero”, anche ammesso che sia giusto estromettere dei cittadini italiani solo perché vestono diversamente da noi), secondo me rispecchia né più né meno quel modello americano la cui contrapposizione a quello francese (che invece predica separazione e assenza della dimensione religiosa dalla sfera pubblica) è oggetto del capitolo introduttivo del tuo libro. Ricordo che Bush e Kerry, in occasione di una catastrofe verificatasi durante la campagna elettorale, dichiararono pubblicamente di avere pregato Dio per le vittime (non riesco a immaginare cosa accadrebbe se Prodi e Berlusconi facessero altrettanto) e ciò fu fonte soltanto di consensi. Perché dunque protestare di fronte alla dichiarazione – per me ovvia – del Papa?

Daniele Capezzone. Procediamo con ordine. Intanto, ti propongo un...«pacs», un «patto civile di solidarietà telematica». Visto che siamo entrambi (e non capita spesso) “persone informate sui fatti”, mettiamo al bando un paio di sciocchezze che tocca leggere con sempre maggiore frequenza. Primo: nessuno ha una visione “antireligiosa”, e meno che mai “anticristiana” e “anticattolica” (tra l’altro, se vi sono cristiani perseguitati nel mondo, è più facile che se ne occupino Pannella e Bonino che non Giovanardi o Mastella.... Secondo: nessuno vuole imbavagliare il cardinale Ruini (anzi, mentre si discute del suo imbavagliamento prossimo venturo, il presunto “imbavagliato” o “imbavagliando”, in genere, sta concionando a reti unificate...).

Il tema è un altro, ed è tutto “americano”, dal mio punto di vista. Non mi risulta che esistano ordinamenti funzionanti in cui le gerarchie di una (sottolineo, di una) confessione religiosa, da una parte godano di privilegi particolari (Concordato, otto per mille, insegnanti scelti da loro stessi e pagati dallo Stato, straordinaria presenza sugli organi informativi sul servizio pubblico, ecc.) e dall’altra pretendano di “entrare a gamba tesa” nell’agone politico di quel paese (addirittura, divenendo protagonisti di campagne elettorali – condotte anche grazie ai finanziamenti pubblici di cui sopra! –, disquisendo sulla costituzionalità di norme future, ecc.).

Io vorrei, invece, la linearità e la chiarezza del modello americano: ognuno dica e faccia quello che gli pare, ma senza Concordati, senza otto per mille, senza privilegi particolari. Non si può avere (insieme) la botte piena e la moglie ubriaca (e magari pure l’uva nella vigna...).

Peraltro, lo schema “americano” mostra la sua superiorità anche da un altro punto di vista: al centro c’è il cittadino (e, nella fattispecie, il cittadino credente), non una comunità, un’organizzazione, un’entità collettiva con cui lo Stato “viene a patti”. La realtà italiana, al contrario, mi piace poco proprio da questo punto di vista: e l’estensione dello schema concordatario ad altre confessioni porterà ad una specie di “tavolo di concertazione delle confessioni riconosciute”, con il triplo rischio di clericalizzazione degli ordinamenti, di parastatalizzazione delle chiese e di messa tra parentesi della centralità dell’individuo (a beneficio, ancora una volta, di entità collettive).

Enrico Palumbo. Sono consapevole del ruolo importante per i cristiani svolto dai radicali in alcune aree del mondo (non per fare il difensore di Giovanardi, ma costui non si occupa di vicende internazionali come accade per gli europarlamentari, quindi non ha colpe, mentre esistono migliaia di missionari cattolici ogni giorno sulle barricate e Giovanardi, grazie a Dio, non rappresenta i cattolici). Vorrei far presente che la Chiesa cattolica non è l’unica che vive una dimensione concordataria e che il suo ruolo pubblico dominante è dovuto forse dal fatto che le altre confessioni (le protestanti e l’ebraica) sono praticate da un numero ridotto di persone (tant’è che, mentre “A sua immagine” fa ascolti di mercato, le bellissime “Fonte di vita” e “Protestantesimo” vanno in onda, fuori mercato, per garantire la presenza di tutti). Comunque, in linea di principio sono d’accordo sull’obbiettivo di ispirarci al modello americano che, come ben saprai, lo stesso attuale Pontefice ha più volte elogiato anche nei suoi scritti, esprimendo disagio per quello europeo (non solo italiano). Penso però che gli ultimi duecento anni di storia europea non si possano cancellare con un colpo di spugna. Le scorie delle guerre di religione e delle guerre alla religione, esacerbate dalla Rivoluzione francese, secondo me sono di difficile superamento. E comunque ciò non si risolve con un atto formale, ma con una rivoluzione culturale di lungo periodo (e l’atto formale verrà da sé). L’allora Cardinale Ratzinger, nel suo dialogo con Pera, affermò d’essere pronto a raccogliere la sfida, ma non credo sia compito solo della Chiesa rinunciare a qualcosa: secondo te un mondo laico che guarda più ai Paolo Flores d’Arcais che ai Norberto Bobbio quante possibilità ha di fare altrettanto?

Quanto invece alla richiesta alla Chiesa di scegliere tra il fare azione di lobbying (termine cui noi filoamericani non diamo accezione negativa, s’intende) o di moral suasion, e ricevere finanziamenti pubblici tramite l’8 per mille, penso che per coerenza bisognerebbe combattere tutte le lobby e tutte le forme di finanziamento pubblico a chi nel contempo vuole il diritto di parola. Per esempio, imponendo a Confindustria di scegliere tra le dichiarazioni pubbliche e il finanziamento ai settori industriali a essa legati. Chiedere a fondazioni e associazioni di optare tra le sovvenzioni e un chiaro ruolo pubblico. Perfino Radio Radicale fa legittima azione di pubblica moral suasion (come tanti organi di stampa), pur ricevendo denaro pubblico. Perché limitare alla Chiesa questa richiesta? Chi stabilisce che il ruolo sociale della Chiesa è meno meritevole di sovvenzioni di quello di Radio Radicale (pur con le dovute proporzioni del caso)?

E, infine, proponi una ‘individualizzazione’ della Chiesa cattolica: ma tu sai meglio di me che la dimensione comunitaria e l’esistenza delle gerarchie sono elementi imprescindibili per la Chiesa cattolica: chi si voglia confrontare con essa non può pretendere di ignorarne la natura prima, a meno di imporre leggi speciali che sciolgano l’istituzione collettiva, sancendo l’introduzione forzata del luteranesimo (so che è un’iperbole, ma so anche che saprai distinguere tra esercizio retorico e contenuti).

Daniele Capezzone. Attenzione, perché rischiamo un po’ di “fritto misto”... Per questo, aggiungo (e distinguo tra loro) alcune brevi osservazioni: Se si pone la questione dell'attacco ai finanziamenti pubblici, beh, con i radicali si sfonda una porta aperta: siamo l’unico (sottolineo: l’unico) soggetto politico che, con richieste referendarie o con proposte di legge, si è battuto (e continuerà a farlo) per la contestuale abolizione dei finanziamenti pubblici a partiti, sindacati, chiese, ecc. Quindi, da questo punto di vista, nulla quaestio (rispetto a me, a noi); e, invece, “multae quaestiones” – diciamo così – per tutti gli altri (destri e sinistri, mezzi destri e mezzi sinistri...), che da quest’orecchio sembrano non sentire...

E però (chiarita la mia contrarietà ad ogni forma di finanziamento pubblico), resta la speciale anomalia di chi non solo goda di questo, ma anche di un complesso apparato di privilegi (il Concordato) che fa di quella entità qualcosa di diverso rispetto a qualunque altro cittadini, a qualunque altra comunità. Insisto: o quei privilegi, o l'entrata a pieno titolo nell’agone politico. Fosse per me, preferirei, all'americana, un Ruini – addirittura – candidato ed eletto, ma senza privilegi. Se invece si preferisce l’attuale assetto concordatario, beh, almeno lo si rispetti in ogni sua parte: anche in quelle che non consentono l'intervento/interferenza in materia elettorale.

Guarda che la commistione di cui parlo non è un “danno” solo dal punto di vista laico (della serie: che ci andiamo a fare in Afghanistan, se poi dimentichiamo a casa nostra l’“abc” della separazione tra stato e chiese, della differenza tra norma morale e norma giuridica, tra peccato e reato, ecc.), ma anche da un punto di vista religioso. Insomma, se il cardinale Ruini entra tutte le sere nei “pastoni” di Pionati al Tg1, subisce una clamorosa “deminutio”: da pastore di anime, diventa come ...un Capezzone qualsiasi, e rischia di essere percepito come un capofazione, come un capopartito. Io, invece, ho sempre pensato (di qui, anche, il mio essere affezionato alla ricorrenza del 20 settembre) che, se le chiese (in questo caso, la Chiesa cattolica) sono libere dal potere temporale, vengono – appunto – liberate da un giogo, da un gravame...

Attenzione! Non usiamo come sinonimi le parole “gerarchie ecclesiastiche” e “chiesa (o Chiesa)”. Quest’ultima è la comunità dei credenti, e immagino che per molti di essi (magari, per tanti sturziani e degasperiani, o per tanti eredi – andando ancora più a ritroso – del cattolicesimo risorgimentale liberale, manzoniano, rosminiano – tutti scomunicati, allora...) essere schierati “militarmente” su una e una sola posizione dalle gerarchie, comprimendo il laico, laicissimo (anche e soprattutto per i credenti!) spazio della scelta politica sia stato molto doloroso. E non è un caso (come, a mio avviso a ragione, ha fatto notare Pannella) se uno come Andreotti, al tempo del referendum, ha parlato di “obbedienza” a Ruini: la sua (di Ruini, voglio dire) scelta politica ha – di fatto – posto tanti nella condizione di dover “obbedire”, non di scegliere...

Non offrire troppe ciambelle di salvataggio ai Giovanardi e ai Mastella (e al “tipo” che incarnano). Non è tollerabile usare il crocifisso come “corpo contundente” (magari per dire no ai radicali, e acchiappare qualche collegio in più...) e –contemporaneamente – non dedicare un solo pensiero, una sola parola, una sola azione concreta (essendo ministri, avendo centinaia di parlamentari!) a drammi come quelli dei Montagnard in Vietnam, o delle comunità cristiane in Sudan, per fare solo un paio di esempi...

Enrico Palumbo. Concordo nel merito dei finanziamenti pubblici. La mia osservazione era, un po’ provocatoriamente, un invito a comportarvi come chiedete alla Chiesa di comportarsi: compiere il primo passo, fare la prima rinuncia.

Che la fine del potere temporale sia un bene credo non sia nemmeno in discussione. Ma è proprio questo il punto: non esercitando più un potere politico definito, tutto diventa politica, anche il ruolo morale della Chiesa stessa. Come sai, spesso non condivido alcune affermazioni di merito del presidente della Cei (o di altri prelati), ma da fedele non posso non tenerne conto, salvo poi decidere per conto mio nell’urna. Questo è ciò che è sempre avvenuto. La questione che poni (cioè quella dello scambio “libertà di opinioni per rinunce” ) pone sullo stesso piano ogni tipo di presa di posizione di Ruini o di chi per lui. Sarei d’accordo con te se si criticasse la presa di posizione politica in sostegno di questo o quel partito, ma il problema è che tu riduci a “intervento politico” o “ingerenza” ogni tipo di intervento pubblico dei vescovi. Non vedo contrapposizione tra il modello concordatario e la guida morale su grandi temi etici (non partitici): è il compito della Chiesa, anzi di tutte le Chiese. E credo che noi elettori abbiamo dimostrato di saper discernere molto bene l’intervento politico da quello spirituale. Prendi le consultazioni regionali: Ruini aveva schierato massicciamente la Cei al fianco di Storace, uscito poi sconfitto alle urne. Furono i credenti stessi a dimostrare di non essere “militarizzati”, come dici tu: non è il primo caso e non sarà l’ultimo. Del resto i cattolici sono sempre stati assai più numerosi degli elettori della Dc. Al referendum, invece, nemmeno i proponenti i quesiti (cioè i Ds) sono riusciti a portare il proprio elettorato al voto, forse perché in quel caso la parola di Ruini è stata interpretata come un ammonimento di natura morale su un tema ritenuto fondamentale, quale la tutela della vita umana. E’ davvero ingerenza? Sai bene che la questione dell’astensione è stata semplicemente strumentale: chi ha “obbedito” l’ha fatto per ragioni di opportunità (così come voi dicevate che dovevamo andare a votare “no”). Ma l’obbedienza a una indicazione morale è secondo me scelta di pari livello morale a quella della disobbedienza: non ritengo il dissenso un valore a priori. Penso che Andreotti, l’esegesi delle cui parole spetta a lui soltanto, abbia “scelto di obbedire”, così come altri, Scalfaro per esempio, hanno scelto di non obbedire.

Credo che in Italia il problema sia di tutt’altra natura: politico e non religioso. Il problema non è della Chiesa, che ha il diritto di parlare, ma della politica che – per dirla come Emma Bonino – “si fa ingerire”. Penso che le tue parole sarebbe accolte con maggiore interesse, anche dalle gerarchie cattoliche, se tu dicessi a Ruini che non sei d’accordo (argomentando, come sai egregiamente fare), e non dicendo che non è suo diritto parlare. Viceversa, credo che le accuse di ingerenza dovrebbero essere rivolte ai politici che cambiano idea se Ruini parla (penso a Forza Italia che ha mutato posizione sui «Pacs»), non a Ruini che parla. Perché dunque non provare a cambiare prospettiva?

Daniele Capezzone. Aaaaaalt! Mi appello (e mi permetto di richiamarti) al «pacs» iniziale! Perché mi attribuisci la negazione del “diritto di Ruini a parlare”? Nun ce provà...

Come ti ho già detto (e lo ribadisco ora brevemente) io non solo vorrei che parlasse, ma che potesse candidarsi (se lo volesse) e che fosse pure eletto (se gli elettori così dovessero decidere). Ma ciò non è compatibile con quell’assetto concordatario che invece viene difeso (da lui e da altri) con le unghie e con i denti. Insomma, non si può giocare una partita “asimmetrica”, per cui – quando fa comodo – si rivendica il diritto “americano” di entrare nell'agone politico-elettorale, e invece – sempre quando fa comodo – si rivendica una posizione “italiana” di difesa dei privilegi e delle prerogative concordatarie. La “botte piena” e la “moglie ubriaca”, appunto.

Per il resto, due osservazioni:

Ribadisco il mio “nun ce provà” anche quando mi parli di finanziamenti pubblici. E che altro dobbiamo fare noi radicali? Come sai, ce le siamo inventate tutte: referendum, restituzioni pubbliche del nostro finanziamento, ecc... Anche qui, semmai, si tratta di scegliere: o l'America (e prova a chiedere a un repubblicano o a un democratico Usa se sarebbero disposti a dare un solo cent di denaro pubblico alla Cei o a Legambiente o all'Udeur...), o l’assetto attuale italiano. Ma, se si difende l’assetto attuale anche sul piano dei quattrini, si potrebbe almeno avere il buon gusto di correggere la “piccola” norma truffaldina per cui, anche se solo il 36% degli italiani mette la famosa crocetta dell'8 per mille, la ripartizione avviene proiettando e trasponendo i risultati relativi a quel 36% sul 100% (cioè triplicando le entrate della Cei...).

Quanto al fatto che i politici e la politica sono genuflessi, anche qui sfondi una porta aperta. Ma (pure qui) un “male” non cancella l’altro, e semmai lo rilancia e lo amplifica: in altre parole, il fatto che tanti politici (venendo meno ad un auspicabile impegno di laicità e di tolleranza) cedano alle pressioni delle gerarchie non cancella il fatto che quelle pressioni rispondano al meccanismo “botte piena/moglie ubriaca”. Insomma, fa male Ruini e fanno male i politici: occupiamoci degli uni e degli altri. A difesa, simultaneamente, della laicità degli ordinamenti e della libertà sia dei cittadini credenti sia di quelli che credenti non sono.

Infine, voglio dirti (scusa l’accusa perfida, dal tuo – e pure dal mio – punto di vista...) che – sotto sotto – stai facendo il “riformista”, anzi il “riformista italiano” tutto dedito al “giustificazionismo”: in altre parole, non dedicare energie a spiegare ex post e a giustificare quel che accade (e cioè l’assetto “italiano” che non ci piace); semmai, dedichiamoci, insieme, a marciare verso il modello americano (libertà piena di parola e di azione politico-elettorale, senza privilegi, Concordati e otto per mille!). Che dici, i “libbberali” (di destra e di sinistra...) ci staranno, o – diciamo così – spariranno alla chetichella?

Enrico Palumbo. Mi hai dato del “riformista”: nun ce provà lo dico io, sennò comincio a ricordarti che stai per entrare in un governo Dossetti-Togliatti!

Daniele Capezzone. Aaaaah! Sto entrando in un Governo? An interesting piece of news...Piuttosto, sta’ attento tu: ché, se fai ‘sti paragoni, prima o poi ti quereleranno gli eredi di Togliatti (accostato a Diliberto e magari a Folena e Mussi!)

Enrico Palumbo. Comunque, e su questo non ci incontreremo mai, il discrimine è tutto qui: io non considero “intervento politico-elettorale” l’ammonimento morale sulla bioetica o sulla vita umana (che al contrario ritengo possa convivere con un sistema concordatario). Quanto al resto, le “condizioni” che poni sembrano individuare nella Chiesa l’origine prima d’ogni male. A me risulta che anche in Italia si siano commessi, a cavallo tra sette e ottocento e al termine della resistenza (in condizioni storiche e politiche differenti, s’intende), crimini anticattolici (e non soltanto anticlericali). Non solo in Italia: anche in Francia e Spagna. Ma il problema è molto più complesso di come lo poni: io non vedo in larghissima parte del mondo cosiddetto “laico” la maturità per confrontarsi laicamente, all’americana, con la dimensione religiosa.

Detto questo, vorrei volgere lo sguardo alla Spagna. Perché assurgi Zapatero a modello di presunta “laicità” (tanto da indicarlo come ispiratore del nuovo soggetto radical-socialista) se nel merito poi avanzi proposte fortemente alternative a quelle zapateriane (penso alla contrapposizione “matrimoni vs pacs”)? Mi sembra che tu sia affascinato dal metodo più che dal merito, o sbaglio? Ma in tal caso non credi che la strada dello scontro frontale e il tentativo di “annichilire” la Chiesa (sempre che una legge di un parlamento qualsiasi possa davvero minare duemila anni di storia) non faccia che radicalizzare lo scontro, invece di trovare un possibile terreno comune di dialogo (che, su questi stessi temi, in altri paesi europei, ma anche in fasi alterne della storia radicale, non è mancato)?

Daniele Capezzone. In sintesi:

Mai dire mai (rispetto al tuo “non ci incontreremo mai”)...

Non dimenticare il peso della storia: un conto è l’avventura dei “pilgrim fathers” e poi dei costituenti americani, con la religione che è stata fattore di unità civile, elemento di un tessuto connettivo; altro conto è la storia italiana, con la Chiesa cattolica che ha lottato contro l’unificazione nazionale, e ha perfino scomunicato i cattolici liberali protagonisti del Risorgimento italiano!

Insisto: non facciamo del giustificazionismo sulla pasticciata situazione esistente in Italia. Piuttosto, apriamo la porta ad una svolta “americana” nel senso che ho più volte ricordato.

“Annichilire?” Nun ce provà. Zapatero, semmai, al di là dell'una o dell’altra delle sue specifiche proposte (alcune per me condivisibili, altre no), si pone in continuità con Aznar, espressione (lui sì, per fortuna della Spagna!) di una destra innovativa e liberale che, mentre faceva una splendida politica economica, faceva anche passi avanti sul terreno dei diritti civili (pacs approvati in tre regioni; esperimenti di distribuzione di droga sotto controllo medico a Madrid, eccetera). E simmetricamente, anche nell’esperienza di Zapatero, una cosa che è poco sottolineata è che, mentre il premier socialista ha fatto le sue campagne libertarie, si è ben guardato dall’abolire le buone norme in materia di diritto del lavoro varate da Aznar (come invece gli era chiesto ...dalla “CGIL di lì”!). Insomma, in Spagna (che non a caso ci bagna il naso da anni, ormai) hai una destra e una sinistra che si sfidano sul terreno dell’innovazione, e sono capaci di marciare (pur con le loro differenze) sia sul terreno delle libertà individuali che su quello dell’ammodernamento economico-sociale. Proprio il contrario di quel che accade qua, dove il centrodestra ha fallito sulle liberalizzazioni e pure sui diritti civili; così come la sinistra, oltre ad essere insoddisfacente sul piano libertario, rischia di essere regressiva sul terreno economico sociale (con la minaccia di abolizione della legge Biagi e della legge Moratti, ad esempio). Ripeto in altra forma: lì ciascuno sa farsi forte del meglio dell’altro, e avanzare dove l’altro era stato più lento; qui, rischia di esserci una corsa all’indietro, degna di una “competition” tra gamberi...

Non confondere (lo accennavo prima) le gerarchie con la comunità dei credenti: con questi ultimi e con le loro coscienze bisogna sempre cercare di tenere vivo, vivissimo il dialogo, anche nei momenti in cui il confronto con le gerarchie (come accade ora) è reso di fatto impossibile.

Enrico Palumbo. Per me Zapatero è in forte discontinuità con Aznar, perché mentre il leader del PP cercava di promuovere i diritti civili, l’attuale premier pensa a un modo per vincere la guerra civile. Dialogare con la controparte non significa necessariamente negoziare al ribasso, ma promuovere riforme condivise. Cosa che in Spagna (non solo su questo tema: penso all’appeasement col terrorismo, sia esso di Al Qaeda o dell’Eta) non sta avvenendo.

Daniele Capezzone. No, no, no, non confondiamo le pere con le mele...E, soprattutto, non “arruolarmi” tra i sostenitori della politica estera di Zapatero: io sono pur sempre un “perfido” amico dei “perfidi” neocon...

Quello che a me importa è, come accennavo, il fatto che (pur con chiavi diverse, e a volte non poco) la destra e la sinistra spagnola vanno avanti, e lo fanno sia sul piano delle libertà personali che su quello dell’innovazione economica. Sarei confortato se una situazione simile si verificasse pure qua: insomma, se ci fosse una destra come quella di Aznar (libertà economiche + pacs, libertà di ricerca, ecc.) e una sinistra come quella di Zapatero (altri passi sulle libertà individuali, senza cancellare le riforme economiche del PP).

Enrico Palumbo. Ti do una possibile definizione di laicità: «luogo di comunicazione fra le diverse tradizioni spirituali e la nazione». Ti ci potresti riconoscere?

Daniele Capezzone. Mi pare che ponga troppo l’accento sugli elementi “comunitari”, e troppo poco su quelli “individuali”. Io credo che noi usciamo da un secolo in cui la parola “persona” e – ancor più severamente – la parola “individuo” sono state sempre scavalcate e obliterate a beneficio di qualche entità collettiva (minacciosamente maiuscola, peraltro: Chiesa, Stato, Partito, Sindacato, ecc.). Punterei piuttosto su una formula del tipo: «La laicità è l'adozione di quella che potremmo chiamare “etica delle etiche”, e cioè la promozione e la garanzia delle opportunità di scelta individuale, nel rispetto delle altre scelte individuali. Senza cioè che lo stato adotti un solo orientamento morale, per poi imporlo a tutti quanti».

Affare fatto?

Enrico Palumbo. Naturalmente no! Penso che questa tua definizione non risolverebbe alcuni nodi (per esempio: il bambino nel grembo materno è solo oggetto delle libere scelte, oppure può aspirare ad avere dei diritti?), che affronteremo in un successivo incontro sull’aborto. Comunque, per la cronaca, la definizione di prima era di Giovanni Paolo II.

Daniele Capezzone. Grazie, intanto, per la piacevolissima “chiacchierata” telematica.

Enrico Palumbo. Grazie a te per l’estrema gentilezza!

Quando nei discorsi di un radicale “vino” e “vigna” ricorrono più volte di “Pannella” è evidente che siamo di fronte a un dato di fatto: il pontificato dell’«umile lavoratore nella vigna del Signore» sta già dando i primi frutti!

06 ottobre 2005

* Enrico Palumbo è il titolare del blog Harry

 


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