Unione inadeguata a difenderci dal terrorismo
di Pierluigi Mennitti
[07 set 05]

Il modo in cui la sinistra ha reagito alla sacrosanta (e tardiva) espulsione dell’imam di Torino, Bouiriqui Bouchta, rilancia i dubbi sulla possibilità di creare una cornice bipartisan all’interno della quale affrontare la sfida del terrorismo islamico che ha ormai messo l’Italia nel mirino del proprio fuoco stragista. Il quotidiano comunista il Manifesto attacca con veemenza il ministro dell’Interno Pisanu, accusato di “sindrome paranoica Pera-Fallaci” e descrive così i criteri che informano la nuova normativa anti-terrorismo: “Per sconfiggere il terrorismo internazionale è necessaria una lotta senza quartiere contro il mondo islamico. Occorre usare ogni possibile strumento di repressione e non andare troppo per il sottile quanto ai diritti delle persone. Si tratta di un'autentica allucinazione politica, sostanzialmente autolesionista, poiché chiude gli occhi di fronte alle motivazioni profonde del terrorismo e si produce in arroganti provocazioni e istigazioni all'odio e alla violenza”. Questo pensa il Manifesto e, per suo tramite, buona parte della componente di sinistra dell’Unione prodiana.

Eppure la lunga striscia di sangue del terrorismo islamico che ha segnato l’estate appena trascorsa, da Londra a Smirne a Sharm el-Sheik, ribadisce un dato di fatto che molti ancora faticano a focalizzare: il terrorismo di matrice islamica è sbarcato in Europa, è qui tra noi, è penetrato all’interno della nostra società europea. Di più: lo ha fatto utilizzando come vigliacchi soldati di morte cittadini europei, cioè persone come noi, nate nei nostri ospedali, svezzate nei nostri asili, formate nelle nostre scuole, cresciute nelle nostre piazze, nelle nostre discoteche, con la nostra televisione. Come stanno dimostrando le indagini di Londra, e come avevano già dimostrato le indagini per l’omicidio ad Amsterdam del regista Theo van Gogh, assassinato per aver girato un discusso film sulla condizione della donna nella società islamica che gli integralisti consideravano offensivo, l’ondata terroristica che scuote l’Europa non si alimenta del fuoco esterno ma poggia e sfrutta i cosiddetti immigrati di seconda e terza generazione, giovani che avremmo dovuto ormai assimilare e coinvolgere nei riti della democrazia, del confronto politico, dello scambio culturale. Giovani ai quali le nostre società aperte avrebbero dovuto fornire gli strumenti per vivere una religione piena ma serena, che non pretendeva di segnare le regole di uno Stato né di costringere i comportamenti di tutti ai dettami di una fede, interpretata nei suoi dettami più estremi e illiberali.

Siamo di fronte al fallimento delle politiche di integrazione europee che hanno permesso a un gruppo ben delimitato di integralisti islamici di assumere la rappresentanza politica dell’intero mondo musulmano, da un lato sfruttando le leggi della nostra società aperta e strumentalizzando la religione, dall’altro approfittando della scarsa conoscenza della realtà islamica da parte degli apparati amministrativi europei che hanno sovrapposto a un mondo plurale e composito semplificazioni proprie del mondo occidentale. Oggi osserviamo questo fallimento proprio a partire dalle aree che sembravano più avanti nel processo di integrazione: l’Europa centro-settentrionale, dall’Olanda alla Francia, dalla Scandinavia alla Germania. E lo misuriamo nella concretezza dell’allarme terroristico delle nostre città, nell’extraterritorialità di molte aree suburbane delle nostre metropoli, nella difficoltà di conoscere e penetrare le comunità islamiche che le abitano e che frequentano moschee e centri culturali spesso non in linea con insegnamenti e sermoni compatibili con una società democratica e liberale. L’intero continente deve ridisegnare il proprio rapporto con il mondo islamico, deve capire le dinamiche interne a una realtà molto più composita rispetto alle semplificazioni che ce ne siamo fatte, deve individuare con chiarezza le tensioni che lo attraversano, che spesso sono di tipo politico più che religioso.

In molti paesi europei, la campana questa volta è stata ascoltata e l’insipienza con cui si è guardato sinora al pericolo cede il passo a dibattiti approfonditi e alla messa a punto di misure di sicurezza per difendere le città e la vita dei suoi abitanti. La vulnerabilità di Londra, probabilmente la capitale più difesa e più monitorata del globo, ha accentuato l’allarme degli altri servizi di sicurezza e la preoccupazione cresce con il moltiplicarsi dei dispacci d’intelligence. Come dimostra l’attentato di Sharm el-Sheik, dove oltre all’Egitto sono stati colpiti direttamente cittadini e interessi economici italiani, il nostro paese è già sotto attacco. Gli investigatori parlano ormai apertamente come i loro colleghi londinesi di qualche mese fa: considerano un attacco sul territorio nazionale ormai inevitabile. A Roma si vivono settimane di angoscia e ci si prepara, quasi con rassegnazione, a reagire nel modo più ordinato e composto possibile. Sarà così?

A giudicare dalle reazioni della sinistra all’espulsione del’imam di Torino, sembrerebbe proprio di no. Eppure un esperto di mondo islamico come Magdi Allam non ha dubbi: “Bene ha fatto il ministro Pisanu – scrive sul Corriere della Sera – ad espellere uno dei più focosi e attivi apologeti della Guerra santa islamica e del terrorismo suicida in Palestina, Afghanistan, Iraq, Cecenia e Kashmir, nonché uno dei più spietati e cinici dispensatori di condanne di apostasia nei confronti dei musulmani che non condividono la sua interpretazione estremistica e terroristica dell’islam”. Insomma, chi conosce e sa di cosa e di chi si parla, approva. E Prodi? E l’opposizione? La domanda è più che giustificata, se è vero che il prossimo anno l’Unione potrebbe essere a palazzo Chigi. E allora, che guida sarebbe, quella di Prodi, sui temi della sicurezza, del contrasto del terrorismo, della difesa del territorio? Valutando le esternazioni di luglio del Professore, nei giorni della votazione parlamentare del pacchetto Pisanu, c’è da ricorrere a un termine inglese che qualche anno fa l’autorevole settimanale britannico The Economist affibbiò proprio a Berlusconi: Prodi sarebbe “unfit” a guidare un paese in prima linea contro il terrorismo. Non tanto perché, in attesa di un programma di governo, non è ancora chiaro come Prodi intenda affrontare la questione, quanto perché un uomo che vuol candidarsi alla guida di un paese deve istituzionalmente farsi carico della sua storia per intero, delle scelte compiute dai suoi predecessori, delle linee fondamentali della sua politica estera, anche per modificarle e correggerle, se lo ritiene necessario. Ma non può disconoscerle con disprezzo. La frase con cui il candidato premier del centro-sinistra ha liquidato un mese fa l’emergenza terrorismo, riferendosi alla scelta di mandare le truppe italiane in Iraq – “il disastro lo hanno combinato loro, adesso pongano rimedio senza coinvolgerci” – lo rende, oltre che moralmente meschino, “unfit” a ricoprire il ruolo di capo del governo italiano. Inadeguato.

07 settembre 2005

pmennitti@ideazione.com

 

 


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