Una legge in meno per una libertà in più
di Daniele Capezzone
[01 giu 05]

Della prossima tornata referendaria, i lettori di questa testata (non, ahimè, tanti altri italiani) sanno già quasi tutto. Per questo, ben volentieri, colgo l’occasione per non soffermarmi sul merito dei singoli quesiti, ma per una riflessione più generale, non senza aver rivendicato – consentitemelo ― un merito dei radicali. Ormai quattro anni fa, quando Pannella e Bonino proposero a Luca Coscioni (com’era accaduto a Leonardo Sciascia e a Enzo Tortora) di essere il capolista radicale alle elezioni, e quando lo stesso Luca sollecitò i leader politici ad esprimersi per tempo su questi temi, ovunque vi fu solo silenzio, e – da Berlusconi a Rutelli, da Fini a D’Alema – si replicò che sulle “questioni di coscienza” non si poteva discutere in campagna elettorale. E invece, per fortuna, ora il confronto è aperto: e tutti mostrano di comprendere che, se la politica rinuncia a discutere e a farsi giudicare su questo terreno (quello del vissuto delle persone, delle loro speranze più profonde), di fatto abdica ad una parte di se stessa. Ma vengo al punto: in molti, anche da sponde liberali, avanzano dubbi e riflessioni, ci mettono in guardia, lanciano un “caveat” sui temi del dolore, della ricerca, del rapporto tra scienza e politica.

Ora, io non nego che possano manifestarsi qua e là rischi o “incrostazioni” laiciste. Un intellettuale originale e coraggioso come Alain Finkielkraut non smette di ricordarci che una società libera non è un “accumulo di diritti” (diritto a questo, diritto a quello...). Già la Costituzione italiana (e Piero Ostellino ha fatto molto bene a evidenziarlo) è negativamente gravata da questa impostazione sul piano economico-sociale (diritto alla casa, diritto al lavoro e così via: tanto più solennemente proclamati, quanto più difficilmente realizzati, peraltro): e non sarebbe un buon affare per nessuno trasferire questo “metodo” anche in altri ambiti. E, infatti, per noi radicali l’impostazione è opposta. Noi non chiediamo una legge in più, ma una legge in meno. Non chiediamo un diritto in più, ma una facoltà in più. Non chiediamo un intervento in più dello Stato, ma un intervento in meno. Il secolo appena trascorso è stato caratterizzato dall’impronunciabilità della parola “individuo”: ed era sempre un’entità collettiva (la Famiglia, il Sindacato, il Partito, la Chiesa, lo Stato: tutti minacciosamente maiuscoli) a dire l’ultima parola. Ora, è venuto il momento di immaginare un nuovo spartiacque politico rispetto alle tradizionali categorie della “destra” e della “sinistra” (per tanti versi, attrezzi ormai inadeguati): e la distinzione è tra chi (in economia come sul fronte delle scelte personali) vuole allargare e chi invece vuole restringere la sfera della decisione individuale e privata rispetto alla sfera delle decisioni pubbliche e collettive.

In altre parole, la grande complessità del nostro tempo non può essere governata secondo parametri liberali e democratici se non attraverso una sorta di “etica delle etiche”. Lo Stato non può avere un orientamento morale, per imporlo a tutti (sotto minaccia di sanzione penale!). Semmai, deve fare in modo che a ciascuno (nel rispetto degli altri) sia consentita la propria scelta di coscienza. Penso, in particolare, a quanti (sostenitori o no della Coalition of the willing) sono favorevoli alla promozione su scala globale della libertà e della democrazia: cosa parliamo a fare di tutto questo, se poi – a casa nostra – dimentichiamo i princìpi di fondo, a partire dalla separazione tra Stato e Chiese, o dalla necessaria distinzione (sacra per i liberali) tra precetto religioso, norma morale e norma giuridica? A meno di stabilire (e la legge italiana proprio questo ha fatto, ahimè, differentemente dal resto del mondo occidentale) che l’embrione debba essere considerato dotato di pari diritti rispetto ad una persona viva e consapevole: magari come un malato a cui si nega una speranza di guarigione. Per secoli, la stessa Chiesa ha negato la “battezzabilità” di quel che non avesse “ictu oculi” sembianze umane: che oggi, invece, si rilanci l’equiparazione tra una persona e il puro e semplice incontro di un ovulo e di uno spermatozoo mi pare (questo sì) un esempio di sfrenato materialismo. Ma i referendum servono a discutere anche di questo, e a far sì che abbiano voce, oltre alle nostre, anche queste tesi: e pure questo – credo – è un fatto positivo.

01 giugno 2005

d.capezzone@radicali.it

 

 

 


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