L'energia che ordina il caos
di Vittorio Mathieu
[05 mag 05]

In politica non c’è nulla di perfetto: dunque neppure un bipartitismo perfetto. Si avvicinano ad esso gli Stati Uniti, superando difficoltà che risalgono alla guerra civile; e se n’è allontanata la Gran Bretagna con la sostituzione dei laburisti ai Whigs; che, peraltro, in certi collegi possono ancora fungere da ago della bilancia. E in Italia? La legge elettorale maggioritaria perorata da Mario Segni nel 1993 sembrò un passo decisivo, ma uscì imperfetta e, alla fine, egli stesso fece di tutto per screditare la propria invenzione. Ora c’è chi vorrebbe ritornare al proporzionale, osservando che, grazie alle preferenze, l’elettore può meglio esercitare una scelta. Col maggioritario i candidati sono inevitabilmente scelti dai partiti, e anche nella quota proporzionale l’ordine di precedenza è prestabilito. E’ dubbio, però, che anche col proporzionale le scelte preferenziali restino polverizzate tra un’infinità di elettori: sono dettate piuttosto da gruppi di pressione.

Entrambi gli schieramenti in questo momento sono protesi verso una forma unitaria, tuttora in bilico tra possibilità diverse: alleanza, confederazione, federazione o partito unico? Nel partito unico c’è un solo capo: i capi dei partitini non vedono ciò di buon occhio, in base al principio “meglio primo a Èze che secondo a Roma”. Lo sbarramento del 4 o 5 per cento può però spaventare alcuni. D’altro canto, se nel partito unico divengono determinanti le correnti, si è al punto di prima. L’ideale sarebbe un’alternanza a due nel tempo, tra due progetti a cui concorra il massimo numero di competitori. Questo perché la democrazia è fiducia nella legge dei grandi numeri, da cui si spera (illuministicamente) che esca il risultato meno cattivo, grazie ad una eliminazione darwiniana del più inadatto. Ciò che raggruppa e coagula la polverizzazione va contro quella speranza. Ma in qualsiasi elettorato i grandi numeri sono ancora piccoli e l’indipendenza reciproca dei singoli elettori è scarsa. I gruppi di pressione, politici o mediatici, sono determinanti.

Nel linguaggio della fisica d’oggi, la democrazia (così come il mercato) può dirsi un “caos deterministico”. Una moltitudine di particelle in disordine, attraversata da una corrente di energia, si dispone automaticamente in ordine. Ma nelle elezioni le particelle sono poche, anche se sono milioni. E, soprattutto, occorre una corrente di energia, che le attraversi. Appunto a questo dovrebbe provvedere il partito unico, in alternativa a un altro partito unico. Questo problema altamente teorico è dubbio che sia capito dalla maggior parte dei politici. Alcuni però sono in grado di capirlo, e appunto perciò puntano sul partito unico. Ma per raggiungere il risultato occorre mettere in atto tutta una serie di accorgimenti e di astuzie che richiedono tempo. Non basta elaborare in qualche giorno un progetto a tavolino. La direzione su cui puntare è quella; ma sarebbe sprecare l’idea il subordinarla a una scadenza elettorale prossima, per quanto importante.

05 maggio 2005

 


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