Il riformismo senza riformisti:
così Fassino seppellisce la svolta
di Cristina Missiroli
[28 feb 05]
Mai firmare una cambiale in bianco: è una regola di buon senso. Una
regola che Enrico Morando, leader della corrente liberal dei Ds, ha
dimenticato. Pagandone le conseguenze. Piero Fassino e Massimo D’Alema,
al momento dell’incasso, non hanno onorato gli impegni: nessun posto
nella segreteria del partito per i riformisti, nessun posto nemmeno tra
i delegati della Quercia nell’organismo esecutivo della neonata Fed.
Il consiglio nazionale Ds che si è tenuto a Roma giovedì scorso ha fatto
più vittime tra i liberal di un’epidemia di peste nel Seicento. Il
senatore Franco Debenedetti (colpevole di aver espresso posizioni troppo
liberali in economia e filoccidentali in politica internazionale), non
avrà un posto nella segreteria ma neppure tra i membri della pur
pletorica direzione nazionale (ben 87 poltrone distribuite tra tutte le
correnti diessine). Niente spazio nemmeno per l’ex sottosegretario agli
Esteri Umberto Ranieri (reo di vergognarsi un po’ troppo a urlare in tv
che Bush uccide i bambini), e neppure per l’emergente Erminio Quartiani.
Tra gli 87 entrano, per un pelo e senza troppi entusiasmi dei compagni
duri e puri, solo Morando e Lanfranco Turci (ultimamente a disagio tra i
suoi compagni di partito e già da questa estate impegnato a tempo pieno
nel comitato trasversale per la campagna referendaria sulla libertà di
ricerca scientifica).
Eppure è proprio da loro che Fassino e D’Alema hanno attinto tutte le
idee della cosiddetta svolta riformista, celebrata in pompa magna, meno
di un mese fa, al congresso del partito Palalottomatica. Già in
quell’occasione Morando e i suoi avevano mandato giù bocconi amari.
Convinti dal segretario e dal presidente che alla fine, la loro politica
stesse trionfando, i liberal hanno rinunciato a presentare una mozione e
un candidato alla segreteria. In cambio hanno ottenuto di essere quasi
cancellati.
Le brutte sorprese non erano però finite. Amarissima la delusione dei
riformisti anche al battesimo della Fed, sempre a Roma, sabato scorso.
Una delusione resa più cocente dalle modalità. Solo nel momento della
lettura dal palco dei nomi dei 12 componenti dell’ufficio di presidenza
hanno scoperto, con stupore, che non c’era posto per i liberal neppure
nel vertice esecutivo della federazione prodiana. La Quercia aveva
diritto a cinque nomi e schierava Piero Fassino, Anna Finocchiaro,
Massimo D'Alema, Vannino Chiti e Antonio Bassolino. Proprio il
governatore della Campania aveva strappato, con un blitz notturno
benedetto da Prodi, il posto destinato a Morando. Giuliano Amato,
rimasto all’asciutto, sarà di certo ripescato con qualche strana
formula. Ma per Morando e Claudio Petruccioli, due tra i precursori
dell’operazione ulivista, la trombatura è da considerarsi definitiva.
Eppure proprio i morandiani, da quasi dieci anni esatti aspettavano il
momento di poter festeggiare. Era il 1997 e il partito della Quercia
portava ancora il nome di Pds quando quando i liberal di Morando si
presentarono al congresso nazionale con un documento, “Per una
Federazione dell’Ulivo”. Ovvero il copione che Fassino e D’Alema stanno
recitando (molto tatticamente e poco strategicamente) in questi giorni.
Ma, come ha detto amaramente Morando nel suo sfogo al Corriere della
Sera: “Chi viene dal Pci, quando vince una battaglia, ha il vizio di
dimenticare chi l’ha combattuta”. Per quanto sconsolato, il leader dei
liberal Ds, rischia di essere ancora una volta ottimista. Fassino e
D’Alema, forse, hanno imparato a dire qualcosa di riformista. Ma per il
momento, di riformista, non hanno ancora fatto un bel niente.
28 febbraio 2005
missiroli@opinione.it
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