Napoli, la fine Ingloriosa del rinascimento bassoliniano
di Stefano Caliciuri

Quattro omicidi, cinque scippi, dieci rapine, tre carabinieri feriti, tredici loculi profanati al cimitero di Poggioreale: è il prodotto degli ultimi dieci giorni di “ordinaria normalità” napoletana. L’impennata dei delitti è stata tanto repentina da indurre il Viminale ad impegnare in fretta e furia 300 milioni di euro per la costruzione di una cittadella della Polizia che sarà operativa a partire dal 2007. In questo modo i quattromila agenti dei reparti speciali che vi entreranno dovranno essere in grado di monitorare, ma soprattutto prevenire, il crimine camorristico. Anche se il picco dei 264 omicidi del 1982, anno della guerra tra Cutolo e la Nuova Famiglia, pare esser lontano - da gennaio ad oggi sono state 102 le morti violente - il trend è ricominciato a salire ormai da tre anni. Il timore è che nuove fazioni siano entrate nel ristretto giro della malavita napoletana e che stiano facendo di tutto per farsi notare e rispettare dai rivali. Una nuova generazione di capibanda che, stanca di stare nell’ombra, avrebbe deciso di conquistare la supremazia cittadina nel controllo dell’illecito. Anche se i clan camorristici non hanno mai abbandonato Napoli, la silenziosità di questi ultimi anni avevano di fatto donato alla città una sorta di nuova immagine.

Il Rinascimento napoletano, tanto strombazzato dalla sinistra all’epoca del sindaco Bassolino e acriticamente amplificato dai media del tempo, avrebbe dovuto cominciare dalla rimessa a nuovo della terrazza cittadina, per poi proseguire con la risistemazione di tutte e ventuno le circoscrizioni cittadine. Così però non è stato. I lavori di rifacimento del centro storico sono partiti da piazza del Plebiscito e lì si sono fermati, quasi a volerla usare come semplice specchietto delle allodole per i turisti, oltre al quale non è consigliato fotografare, tanto meno inoltrarsi. Secondigliano, Fuorigrotta, Barra, Ponticelli, Miano sono invece rimasti quelli che erano: pesanti complessi dormitorio ad enorme densità abitativa. Un esempio per tutti: i 44 mila residenti del rione Scampia, sanguinoso teatro degli ultimi regolamenti di conti, non hanno a disposizione null’altro che i loro palazzoni. Non un bar, un negozio, un campetto verde, un luogo d’incontro. Soltanto asfalto che si allunga, costeggiando le mura di quei grandi parallelepipedi grigi vomitati sulla collina secondo i peggiori criteri edil-popolari degli anni Sessanta. E due statue religiose: il Redentore e Padre Pio, che nel linguaggio locale sono divenute simbolo di appartenenza e di distinzione tra i due clan della zona. Il settanta per cento della popolazione giovanile del rione è senza lavoro, il che equivale a dire diecimila ragazzi che quotidianamente si svegliano e non sanno che fare e dove andare.

La delinquenza, il vandalismo, il teppismo, in questo caso non nascono come conseguenza di ignoranza, ma al contrario di coscienza e consapevolezza del loro essere “dimenticati”. Una percezione che si tramuta in astio verso coloro che invece i servizi li hanno e li sfruttano, parte integrante di quella Napoli da cartolina di cui si innamorano i turisti. Ecco che allora le nottate del venerdì e del sabato rappresentano il tempo del riscatto, quando la movida di Mergellina è animata anche dai dimenticati di Scampia, ai quali basta un qualsiasi pretesto per far roteare il coltello e dimostrare così che anche loro esistono, emarginati tra i privilegiati ma pur sempre vivi. Una dimostrazione di presenza che non può che dimostrarsi con la forza, a cui però la città non reagisce, chiudendosi in se stessa. E nessuno si occupa di quanto succede oltre il proprio ambiente naturale: la spazzatura si ammucchia in ogni dove; le auto parcheggiano in terza fila; le serrande si chiudono al passaggio di un qualsiasi corteo; gli occhi si chiudono di fronte a tutto quanto venga considerato estraneo, almeno sino al ritorno della normalità. D’altronde, come un partenopeo Doc canta da quasi trent’anni: “Napule è mille paure, Napule è na carta sporca e nisciuno se ne importa e ognuno aspetta a’ sciorta”. Purtroppo o meno male, anche questa è Napoli.

13 novembre 2004

stecaliciuri@hotmail.com

 

 

 

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