Chi ha paura dei theocon?
di Eugenia Roccella
Sabato sera, all’Infedele, i cattolici di sinistra lamentavano l’uso
strumentale che alcuni intellettuali laici farebbero del cristianesimo,
facendo scadere al rango di vile ideologia, di “cristianesimo”, come l’ha
definito Gad Lerner. Avendo scoperto, con la vittoria di Bush, l’impatto
elettorale dei temi etici, i “theocon”, gli “atei devoti”, brandirebbero la
morale cristiana come un’arma squisitamente politica, oscurandone i
risvolti spirituali e di fede. Si tratta però di una riscoperta tardiva.
Proprio la sinistra cattolica ha per anni tenacemente subordinato la
dottrina spirituale della Chiesa alla sua traduzione sociale, soprattutto
attraverso il concetto (tutto politico) di solidarietà. La carità, virtù
teologale, è stata cancellata, peggio, caricata di significati negativi di
tipo sociale: non è più stata considerata nella sua qualità di
atteggiamento spirituale, ma come un comportamento tutto mondano, che
implica il riconoscimento di una deprecabile disparità tra chi dà e chi
riceve. Mentre la solidarietà offre una giustificazione morale alle
politiche di redistribuzione del reddito e attribuisce un valore di
condivisione alla onnipresente concertazione. Finché il terreno di
contiguità tra religione e politica è stato il sociale, nessuno ha mai
eccepito che si trattava di una banalizzazione ideologica del
cristianesimo.
Questo slittamento mondano favoriva l’incontro tra cattolici e sinistra,
anzi, contribuiva a creare - quella particolare cultura
sindacal-corporativa che costituisce il collante tra la sinistra
postcomunista e quella cattolica. Ora che questa contiguità possibile si è
spostata sul piano dei grandi problemi morali, che creano lacerazioni e
imbarazzi tra i cattolici di sinistra, si usa (politicamente!) la fede
come ultima trincea per impedire che le questioni etiche acquistino, nel
dibattito pubblico, la centralità che era un tempo delle vecchie, care
questioni sociali.
10 novembre 2004
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