L’harakiri di Fini e Follini
di Pierluigi Mennitti

“Bossi si liberi le mani e torni ad occuparsi della Lega Nord per prepararla alla futura e mai abbandonata lotta per le riforme”. Le conclusioni del documento finale del Consiglio federale della Lega, che ha sancito le dimissioni di Umberto Bossi da ministro e da parlamentare italiano, suonano come un guanto di sfida lanciato alla coalizione di centrodestra. Sommate alla volontà degli altri ministri leghisti di seguire il ledaer lasciando l’esecutivo – volontà bloccata dallo stesso Bossi – descrivono quel che accadrà al governo da domani. La Lega torna sulle barricate, si reimmerge nella lotta interna alla successione di Bossi e rompe definitivamente l’asse Forza Italia-Carroccio che aveva sostenuto il governo Berlusconi: asse già messo in crisi dalle dimissioni di Giulio Tremonti e solo apparentemente rinsaldato dalla nomina di Siniscalco a nuovo ministro dell’Economia.

E siccome questo asse aveva, nel bene e nel male, rappresentato l’essenza stessa dell’esperienza governativa della Casa delle Libertà, il suo sforzo di modernità, si può dire che la fase propulsiva di questa esperienza si sia conclusa. L’alternativa non c’è. Fini e Follini non la rappresentano e l’illusione del sub-governo si rivela per quello che era: una brillante invenzione giornalistica che aveva solleticato l’ambizione di qualche comprimario. Oggi che la coalizione del Polo si avvia verso un futuro incerto, Fini e Follini avranno di che meditare sul fatto di aver fatto precipitare una crisi politica senza sapere dove andare a parare. Il leader democristiano un progetto sembrava averlo ma al vaglio delle ultime evoluzioni politiche pare anch’esso del tutto campato in aria: non è detto affatto che lo spacchettamento del centrodestra (e di Forza Italia in particolare) possa offrire spazi di manovra al partito di Follini che non è forte abbastanza e non brilla per una classe dirigente innovativa, capace di intercettare le istanze modernizzatrici dell’elettorato deluso dal Cavaliere..

Per An il discorso è simile. Appare del tutto priva di sbocchi la scelta di Fini di precipitare le cose. E’ troppo facile scaricare sul solo Tremonti le difficoltà di una gestione collegiale della politica economica. An ha dimostrato in questo frangente di difettare di una vera cultura di governo e di non saper giocare neppure sul tavolo della crisi. Privo di un progetto politico a lungo termine, Fini si è fatto trascinare da istanze interne sull’orlo del precipizio e alla fine vi ci si è tuffato senza rete. Non ha la cabina di regia in economia. Non ha riscattato un briciolo di visibilità in più nel governo. E’ fuori dal giro dei poteri forti, dei giochi che contano: su quel terreno è semmai Follini a poter svolgere un qualche ruolo, seppure di rincalzo. Senza Berlusconi e senza Forza Italia, An rischia di tornare al margine della scena con tutto il bagaglio di politica assistenzialista che oggi ripropone sotto l’etichetta di “sociale” e che altri sanno meglio declinare sul terreno del clientelismo. Il governo non stava tanto bene ma oggi che sta peggio c’è qualcuno che ha più da rimetterci. E forse sono proprio gli alleati del Cavaliere.

20 luglio 2004
 

 

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