Quote rosa, una vittoria di Pirro
di Susanna Creperio Verratti
Il 20 febbraio 2004, nell’ambito del Decreto legislativo “Election Day”,
il Consiglio dei Ministri ha inserito la norma in base alla quale “in ogni
lista, per le prime due elezioni dei membri del Parlamento europeo,
nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due
terzi dei candidati”. In base alla stessa norma, a quei partiti e
movimenti che non rispettino tale quota di presenze femminili del 33,33
per cento, verrà ridotto, fino ad un massimo della metà, l’importo del
rimborso per le spese elettorali. Questa normativa riprende la precedente,
inserita nella legge n.81/93, che già dieci anni fa prevedeva, senza
ammenda, l’introduzione di quote al 30 per cento a favore dell’inserimento
di donne nelle liste elettorali, sospesa tre anni dopo in quanto
dichiarata incostituzionale. Ora è stata reintrodotta ma in un contesto
diverso, grazie alla copertura costituzionale della modifica dell’articolo
51, approvata dalle Camere il 20 febbraio 2003, su proposta del ministro
per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo, con un consenso
trasversale.
Pur ritenendo la normativa delle quote più adatta a difendere la
rappresentanza delle minoranze oppure l’accesso delle donne alla politica
in paesi di recente o scarsa democrazia, non si può non riconoscere che
essa abbia favorito un piccolo passo avanti rispetto alle precedenti
elezioni del ‘99 per il Parlamento europeo. Le candidate presenti nelle
liste elettorali sono raddoppiate, dal 15 al 30 per cento e la presenza
femminile italiana al Parlamento europeo è aumentata di qualche punto
percentuale. A Strasburgo su un totale di 78 seggi destinati all’Italia,
ora le donne ne occupano 16. Nella precedente legislatura le italiane
erano 10 su 87 eurodeputati. Tenendo conto della contrazione dei seggi, da
87 a 78 per l’ingresso dei nuovi dieci paesi nell’Unione, ora le presenze
femminili sono circa il 20 per cento. Definirlo un “raddoppio” è davvero
troppo ottimistico. Con maggiore realismo è meglio osservare che si tratta
di pochi punti in percentuale in più che neppure raggiungono la soglia del
30 per cento di elette, considerata minima dalla normativa europea.
In realtà è una vittoria di Pirro. Infatti, a parte le tre donne
capolista, quasi tutte le altre entrano in Parlamento grazie alle rinunce
per incompatibilità di incarichi di uomini capolista.
Donne come riempilista
La maggior parte delle donne presenti in lista – fatta eccezione per
alcune già note per la loro precedente visibilità sugli schermi
televisivi-, si sono classificate agli ultimi posti. Hanno ricevuto un
consenso di gran lunga inferiore a quello medio maschile.Due i motivi
principali, a mio parere, di questi scarsi risultati. In primo luogo, le
candidate non sono state votate dall’elettorato femminile nonostante lo
slogan diffuso dal ministero per le Pari Opportunità, “Donna vota donna”,
e nonostante le elettrici costituiscano più della metà dell’elettorato. Su
un totale di 49.845.299 votanti, 24.000.587 sono maschi e 25.844.712 sono
femmine. Il sondaggio condotto da Ipr Marketing su un campione di 800
elettrici, sembra confermare la tendenza femminile delle italiane a votare
solo uomini, senza fiducia nelle capacità delle donne. Il 53 per cento
infatti ha votato solo uomini, il 22 per cento ha scelto almeno una donna
e il 25 per cento non ha espresso preferenze.
In secondo luogo, le donne sono state poco sostenute dagli uomini dei
partiti politici che considerano la figura femminile, a parte rare
eccezioni, perdente. Le candidature espresse dalla società civile, le
cosiddette outsider, non hanno avuto aiuti neppure dalle donne già
impegnate nei partiti oppure già elette. Anch’esse, come gli uomini di
partito, in nome della “neutralità”, hanno fatto quadrato attorno alle
indicazione che arrivavano dalle segreterie maschili dei loro partiti.
L’unica risposta al coraggio e alla determinazione di molte donne che,
“favorite” dalle quote, hanno accettato, con lo scarso preavviso di poco
più di un mese, la sfida difficile di una competizione elettorale
impegnativa e onerosa, giocata su ampie circoscrizioni, è stata la
sensazione di essere usate come riempilista. Inoltre l’attuale sistema
proporzionale a tre preferenze riserva di solito alla donna la terza
preferenza. E’ evidente che in una società ancora dominata dalla mentalità
maschilista e dalla convinzione anche femminile che la politica sia di
genere maschile, in assenza di un adeguato sostegno da parte dei partiti e
di una condivisione da parte della società civile, le preferenze
dell’elettorato continuano ad esprimersi al maschile.
Occorre esigere la parità non la carità
Eppure le recenti modifiche costituzionali, mettendo al centro la
questione della parità anche in una prospettiva di decentramento
territoriale (modifica dell’articolo 51 e del Titolo V della
Costituzione), offrono oggi la possibilità di vedere proclamata non solo
la parità di accesso ma anche la promozione di iniziative effettive e
concrete per realizzare la pari rappresentanza.
Ma per sfruttare al massimo l’occasione fornita dal nuovo apparato
legislativo occorre la convergenza di altri fattori cruciali, primo tra
tutti l’adesione trasversale di tutte le donne elette verso l’unico
obiettivo della parità, indipendentemente dai partiti di appartenenza. E
insieme all’azione delle donne già impegnate in politica, necessita la
condivisione culturale della società civile. Determinante a tale fine
l’azione che può svolgere l’associazionismo femminile, senza esclusione
degli uomini. Il ruolo delle donne, con il sostegno degli uomini
“migliori”, in questa fase è determinante. Tocca a loro esprimere maggiore
impegno e una maggiore solidarietà, avere più coraggio nell’esporsi alla
vita pubblica esigendo visibilità, attivando la comunicazione tra chi sta
dentro e chi è fuori dalla cittadella politica. L’azione comune delle
elette e delle rappresentanti delle associazioni come pressione sulle
istituzioni e sul legislatore, dovrebbe condurre non solo a nuove leggi
elettorali ma anche a un maggiore coinvolgimento dei partiti politici
perchè promuovano pari opportunità ai vertici delle loro organizzazioni e
delle organizzazioni economiche e sociali.
Gli ostacoli all’ingresso delle donne in politica
Negli anni Novanta la mancanza dell’apporto del movimento delle donne che
non ha saputo e non ha voluto svolgere un ruolo di sensibilizzazione e
mobilitazione nelle istituzioni e nella società, ha impedito una seria e
pubblica riflessione sul valore e sul significato della rappresentanza in
democrazia. A loro volta i governi non hanno promosso azioni concrete di
empowerment verso il genere femminile, contribuendo a fare della politica
un connotato maschile. Oggi la scarsa partecipazione delle italiane alla
politica é ancora argomento molto ignorato e scarsamente dibattuto. Il
tema della scarsa rappresentanza femminile come grave deficit democratico
viene trascurato in quanto non costituisce un problema il fatto che le
donne nelle istituzioni siano poco numerose. La convinzione che
dall’entrata delle donne in politica nelle istituzioni deriverebbe un bene
per il paese come fattore di rinnovamento e reale cambiamento della
società, appartiene a una cerchia ancora limitata di intellettuali e
politici, mentre contrasta con una mentalità maschilista ancora molto
diffusa e con il pregiudizio assai radicato tra le donne che gli uomini
siano più adatti alla politica.
Le cause soggettive che ostacolano l’ingresso delle donne nelle
istituzioni politiche e nei posti di comando sono per lo più riconducibili
alla difficoltà di conciliare l’attività politica, e non solo, con la
famiglia; altre derivano dal comportamento degli elettori (le donne non
votano le donne e gli uomini preferiscono votare gli uomini). La cause di
ordine oggettivo sono riconducibili al funzionamento dei partiti e alle
leggi elettorali. Ma gli impegni familiari per la mancanza di servizi di
supporto adeguati sono considerati da tutte le donne ostacolo
fondamentale. In una indagine comparata, condotta dal Consiglio regionale
della Lombardia, sul ruolo delle donne e degli uomini nell’attuale sistema
istituzionale lombardo, risulta che le donne elette indicano tra gli
ostacoli alla carriera politica, al primo posto vincoli di natura
famigliare, fattore che supera anche la tradizionale riluttanza dei
partiti ad aprirsi alla componente femminile. Circa la metà delle
intervistate (49%) suggerisce come prima causa motivi famigliari,
indicando, immediatamente dopo, un fattore “tecnico” quale la preferenza
accordata dai partiti agli uomini nella formazione delle liste (24%) e,
ultima delle tre, la mancanza di motivazione delle donne (16%).
Interessante il confronto con gli uomini eletti che concentrano nella
mentalità maschilista diffusa nella società e nel mondo politico il primo
posto e poi gli ostacoli dovuti al sistema dei partiti, per citare solo al
terzo gli ostacoli di natura famigliare. La percezione maschile è
differente da quella femminile, si sposta su difficoltà di ordine
oggettivo. E’ evidente anche in questo senso il perdurare della loro
mentalità, estranea al carico di lavoro domestico.
Dall’indagine comparata condotta tra donne e uomini emerge quindi una
certa discrasia tra le rispettive opinioni. Se le donne che ricoprono
incarichi istituzionali mettono al primo posto le difficoltà soggettive,
gli uomini sembrano attribuire peso maggiore ai fattori “esterni”. Dalla
ricerca “emergono senza dubbio elementi di conflittualità di coppia,
connessi soprattutto alla gestione temporale dell’organizzazione
familiare, il che fa pensare a una ridotta condivisione delle
responsabilità e della gestione materiale dei compiti: le donne hanno il
problema di doversi organizzare e conciliare i tempi della politica con i
loro tempi familiari”. E comunque anche la condivisione ideale non risolve
il problema dei tempi della politica attiva i cui ritmi e regole sono
governati esclusivamente dagli uomini. Non vi è dubbio che una migliore
conciliazione tra lavoro, carriera, famiglia e relazione di coppia siano
negoziabili e praticabili in presenza della disponibilità da parte di
entrambi i partner di rimodellare ruoli e identità.
Una proposta alternativa alle quote
Per recuperare questo enorme divario culturale che separa il nostro paese
dalle democrazie più avanzate, occorre incentivare un vasto dibattito
pubblico, sostenuto dai media e dagli intellettuali, uomini e donne,
insieme a interventi legislativi più incisivi e vincolanti da parte del
governo centrale e dei governi locali, soprattutto nei confronti dei
partiti politici. I compiti spettano a tutti, politici, intellettuali,
direttori di giornali e di televisioni, rappresentanti della società
civile. Non si tratta di impegnarsi per il vantaggio di una parte del
paese, considerata da sempre di serie B, ma per il futuro di tutti. E’ in
gioco la credibilità del sistema democratico rappresentativo, bloccato dal
sistema dei partiti e delle lobby, privo, a differenza delle società più
aperte, di qualsiasi trasparenza. Basterebbe gettare uno sguardo alle
democrazie più avanzate per riproporre anche nel nostro sistema
politico-elettorale regole più esplicite e trasparenti. Sono allo studio
del Consiglio dei ministri diverse proposte per incentivare con sostegni
economici l’accesso delle donne agli incarichi elettivi e per modificare i
sistemi elettorali.
In realtà, promuovere più presenze al femminile in politica non significa
soltanto favorire l’accesso a più donne, ma utilizzare risorse nuove e
fresche per rinnovare la classe politica. Ecco perché, se è giunta l’ora
di sostenere le donne già impegnate nei partiti, è determinante
incentivare l’elezione delle donne e degli uomini migliori che stanno al
di fuori dei giochi politici, delle lobby e degli schermi televisivi,
impegnati altrove. E i media potrebbero avere un ruolo determinante per
dare visibilità alle persone di spessore. Per rinnovare davvero la
politica basterebbe che i governi regionali e comunali inserissero nei
propri statuti l’obbligo per i partiti politici di definire criteri
razionali e trasparenti nella scelta delle candidature. Come del resto
accade con i concorsi pubblici.
Senza un’opportuna accelerazione innovativa non solo la società italiana
continuerà ad essere rappresentato solo a metà ma l’astensionismo e il
conformismo ammorberanno in breve tutto il nostro paese.
12 luglio 2004
susanna.creperio@tiscali.it
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