Europee: il pareggio italiano
di Pierluigi Mennitti

A dispetto dell’inutile sfuriata notturna di Piero Fassino, i risultati effettivi delle elezioni europee non divergono troppo dagli exit poll che la Nexus ha fornito a urne chiuse. Salvo rare eccezioni, i voti dei partiti sono tutti all’interno delle forchette che, a pochi minuti dalla chiusura dei seggi, hanno fornito materiale per i primi commenti. Il giorno dopo, a risultati reali ormai acquisiti, si può confermare la sostanziale tenuta della coalizione di governo al cui interno Forza Italia registra un calo sensibile, bilanciato dalla crescita dei partiti alleati, Udc di Follini in testa. Ma bene anche la Lega Nord e Alleanza nazionale. L’opposizione di centrosinistra vede appassire il progetto del nuovo Ulivo che non raggiunge complessivamente neppure la semplice somma dei partiti che lo compongono e rafforzarsi la variegata galassia dell’antagonismo, con Rifondazione e Comunisti italiani in testa. Anche all’estrema sinistra vincono i partiti più solidi mentre rallentano le formazioni legate alla cosiddetta società civile, come la lista Di Pietro-Occhetto. Delusione nelle file radicali che vedono completamente riassorbito l’exploit di cinque anni fa.

A una prima occhiata, nel centrodestra Forza Italia paga una leadership di governo che non riesce a presentare la propria azione come un chiaro progetto politico e una situazione organizzativa di partito che alla lunga non regge la competizione elettorale sul territorio. Le amministrative potrebbero infatti accentuare questo risultato negativo sul territorio, testimoniando come un partito che non riesce a strutturare la propria presenza e formare una nuova classe dirigente difficilmente può sostenere a lungo un ruolo di guida nazionale. Ma nella coalizione di governo il successo dei democristiani di Follini consegna una fetta dell’elettorato di Forza Italia a una formazione moderata. Al governo si chiede più politica, più moderazione, più consapevolezza. Moderazione nello stile ma anche incisività nell’azione, se è vero che al Nord la Lega risale rispetto alle politiche precedenti riassestandosi intorno al 5 e mezzo per cento. Buona la performance di An, sempre in sofferenza nelle elezioni europee: la scelta di candidare i dirigenti nazionali impegnati nel governo ha almeno movimentato la competizione sul territorio, impegnando le strutture territoriali del partito un po’ arrugginite negli ultimi anni.

La tenuta della coalizione di governo è dunque un fatto iscritto nelle cifre uscite dai seggi. Risultato particolarmente importante se messo a confronto con le performance degli altri governi europei, largamente sconfitti dai propri elettori. Non si comprende, dunque, la falsa euforia degli esponenti dell’Ulivo (e si comprende invece assai meglio il nervosismo notturno di Fassino). Il calo di Forza Italia sembra soddisfare la malinconia elettorale del centrosinistra ma il risultato del triciclo è assai deludente. Difficile sottoscrivere la dichiarazione di Romano Prodi: il nuovo Ulivo non sembra il punto di riferimento di una nuova maggioranza ma il flop più rilevante del fine settimana elettorale. A sinistra si gonfiano le urne degli antagonisti, Rifondazione in testa che riesce a raccogliere la rabbia sociale e l’opposizione alla politica estera del governo. I riformisti invece non fanno il pieno neppure dei propri voti di partenza e il basso dato di affluenza in tutta Europa getta una luce di sfiducia complessiva sull’opera quinquennale di Romano Prodi a Bruxelles. Sono davvero tutti sicuri che sia lui l’uomo giusto per contendere fra due anni il governo a una coalizione forse non più Berlusconi dipendente?

14 giugno 2004

 

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