Se la terza Camera è in Tv
di Bruno Vespa
da Ideazione, settembre-ottobre 2003

Lunedì 22 gennaio 1996 Romano Prodi accettò di aprire il ciclo di trasmissioni di Porta a porta per lanciare ai suoi amici dell’Ulivo un segnale preciso: io sto qui. Meno di quattro mesi dopo, Prodi sarebbe diventato presidente del Consiglio dei ministri. Ma quella sera rischiava di non essere nemmeno il candidato del centro-sinistra, visto che una trattativa dalla quale egli era rigorosamente escluso stava cercando di evitare le elezioni anticipate e di mettere insieme un governo per le riforme istituzionali presieduto da Antonio Maccanico. Due giorni dopo, la trasmissione ospitò Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema che erano i protagonisti di quella trattativa: essa fallì proprio in quelle ore perché Vittorio Feltri, allora direttore de il Giornale, ne rivelò il contenuto facendo fallire il disegno di quello che è tuttora considerato l’editore occulto del quotidiano e precipitando il paese nelle elezioni che sarebbero state vinte dall’Ulivo.

Nell’autunno del 2000 il presidente del Consiglio in carica Giuliano Amato approfittò di Porta a porta per annunciare la sua rinuncia alla candidatura come presidente del Consiglio nelle elezioni della primavera successiva in favore di Francesco Rutelli. Questi ne fu informato al suo arrivo in Australia dal caposcalo dell’Alitalia. Qualche mese più tardi, Silvio Berlusconi firmò in diretta nello studio di Porta a porta il suo “contratto con gli italiani” che fu considerato decisivo per la vittoria elettorale della Casa delle libertà. Nella stessa trasmissione, il Cavaliere aveva annunciato qualche settimana prima il gigantesco piano di opere pubbliche che il suo governo avrebbe realizzato in caso di vittoria, mentre Francesco Rutelli aveva approfittato di Porta a porta per illustrare il disegno di riforma fiscale dell’Ulivo che avrebbe portato grandi vantaggi economici alle famiglie italiane.
Ci si è chiesti spesso perché tutto questo e tanto d’altro è avvenuto nel nostro studio televisivo e se davvero, come ha detto Giulio Andreotti, Porta a porta è diventata la terza Camera del Parlamento italiano.

Credo che sul primo punto la risposta più corretta sia tecnica e politica insieme. I leader politici, com’è ovvio, non vengono a Porta a porta per un atto di cortesia verso il conduttore del programma, ma per parlare al loro elettorato: un elettorato che in parte purtroppo rilevante non legge i quotidiani e, se li legge, spesso si ferma alle notizie di cronaca e di sport, saltando a piè pari quello che Berlusconi da anni chiama il “teatrino della politica”. Alla nostra trasmissione in quasi otto anni e seicento puntate è stata riconosciuta da tutti una correttezza di fondo: essa può piacere o non piacere, ma nessuno ha mai detto di essere stato imbrogliato o di essere caduto in una trappola o di essersi trovato da solo a fronteggiare un esercito di oppositori. Nonostante Roberto Zaccaria avesse teorizzato che il tempo della politica in televisione dovesse essere ripartito in tre terzi uguali (governo, maggioranza, opposizione), noi abbiamo tenuto sempre maggioranza di governo e opposizione sostanzialmente sullo stesso piano, chiunque fosse a Palazzo Chigi. Nell’ultima stagione abbiamo ospitato 70 tra ministri e sottosegretari, 70 esponenti dei partiti di maggioranza e 128 esponenti dell’opposizione.

Intervenendo a Porta a porta, gli uomini politici ottengono contemporaneamente tre risultati: parlano a un pubblico molto folto e trasversale per distribuzione regionale, reddito e livello culturale; hanno un immediato rilancio nei telegiornali, quando le notizie sono importanti e i loro interventi vengono sempre ripresi dai quotidiani dell’indomani. Inoltre, la presenza costante dei fotografi in trasmissione fa sì che una buona metà di tutte le immagini degli uomini politici che compaiono sui giornali siano state scattate a Porta a porta in condizioni tecniche ideali.
Al tempo stesso - e senza arrivare al cortese paradosso di Andreotti - i tempi televisivi garantiscono al dibattito politico un ritmo e una chiarezza che sono impensabili in Parlamento. Come è noto, Porta a porta va immediatamente sulla notizia: se c’è una decisione giudiziaria che riguardi direttamente o indirettamente Berlusconi, se c’è un attentato terroristico o un grave episodio bellico, se va in decisione qualunque provvedimento che riguardi un gran numero di cittadini, la nostra trasmissione se ne occupa la sera stessa. Nel giro di poche ore, dunque, l’elettorato di destra e di sinistra viene messo nella condizione di conoscere nella maniera più chiara e spesso più autorevole la posizione del partito per cui ha votato.

In Parlamento un dibattito del genere è tecnicamente impossibile. Non ci deve dunque meravigliare più di tanto se la televisione - e la nostra trasmissione in particolare - ha assunto nel tempo un rilievo impensabile quando il 22 gennaio del ’96 Romano Prodi è stato il nostro primo ospite.
Ho sempre creduto, peraltro, che la televisione non sia un concorrente dei quotidiani, ma un elemento integrativo di informazione e semmai uno stimolo a comprare i giornali per saperne di più. La guerra in Iraq ha tuttavia prodotto un risultato inatteso: dopo i primi giorni, i quotidiani sono tornati a tirature normali, mentre Porta a porta ha continuato ad avere ogni sera ascolti altissimi. Anche in questo caso, evidentemente, ha fatto premio la freschezza delle informazioni (siamo andati in onda in diretta per un mese intero) e l’asprezza del dibattito in studio. Purtroppo, questo non è possibile né in Parlamento né sui giornali.

29 gennaio 2004