Cattivi pensieri: il labirinto della legge Boato
di Vittorio Mathieu

Forse bastava un’interpretazione della Corte Costituzionale: il potere di grazia del presidente della Repubblica è il residuo di un privilegio sovrano, rispetto al quale un “segretario” come il guardasigilli non può avere altra funzione che notarile. E’ vero che nell’Ancien régime il Parlamento era libero di non registrare i decreti sovrani: ma il Parlamento francese era, anzitutto, un organo giurisdizionale, non esecutivo; e, inoltre, il re poteva sempre imporre la sua volontà con un “letto di giustizia”. La grazia dipendendo dalla volontà insindacabile del sovrano non dovrebbe essere sottoposta ad altre condizioni. Si dirà: tutto questo è fuori moda. Senza dubbio. Anche l’irresponsabilità del Capo dello Stato è fuori moda, ma serve a dare un contenuto al suo titolo.
Per le stesse ragioni è irrilevante che la grazia sia o no richiesta. La ragione che adduce Boato – e cioè che il requisito fu introdotto dal Codice Rocco – è irrilevante a sua volta, ma la discrezionalità del potere di grazia implica che la richiesta non sia necessaria.

Si potrebbe tuttavia ipotizzare una questione elegante: se, per la validità della grazia, sia necessario, non la richiesta, ma l’assenso esplicito del graziato. Costui dovrebbe anche poter respingere l’atto di clemenza. Il fondamento di tale interpretazione è che scontare la pena deve considerarsi come un diritto del condannato, perché la pena lo reintegra in quella condizione da cui lui stesso, peccando, si è eccettuato. Infliggere la pena è un dovere della società verso il reo, prima che verso la parte lesa: quindi scontarla è per il reo un diritto. Questa giustificazione della pena – enunciata con chiarezza da Hegel e ripresa tra noi da Ugo Spirito – non va assolutamente confusa con una correzione psicologica del reo (che oggi le prigioni tendono spesso a pervertire ulteriormente). E, poiché Boato cita dottamente l’opinione di Socrate secondo Platone, converrà ricordare il “Gorgia”, dove si spiega che, non solo è meglio subire ingiustizia che commetterla, ma, avendola commessa, è meglio subire la pena che andarne esenti (in tutt’altro clima, si pensi a “Delitto e castigo” di Dostoewsky).

Dunque, il Capo dello Stato ha diritto pieno e insindacabile di concedere una grazia anche non richiesta, ma il graziato dovrebbe dichiarare esplicitamente se accetta o no la remissione della pena. A questo punto la situazione diverrebbe molto interessante: si vedrebbe se Sofri, nel rifiutare di richiedere la grazia, lo faccia perché pensa di essere stato condannato ingiustamente – e questo è un suo diritto – o perché persiste a credere che Lotta continua avesse in ogni caso ragione di opporsi al potere costituito: e in questo caso la sua è tracotanza, quand’anche non sia stato mandante dell’omicidio Calabresi. Queste osservazioni non sono dettate da simpatia o antipatia. Su Sofri non mi pronunzio. Però, al di fuori della questione giuridica, confesso che i boati non mi vanno a genio; e i bruti preferisco che non siano liberati.

29 gennaio 2004