La prima volta di Lubiana e le convenienze italiane
di Pierluigi Mennitti
[31 gen 08]

L’Europa ha fatto di tutto per strappare la Slovenia dal suo legame con i Balcani, ma è sempre difficile staccare la politica balcanica dalla Slovenia. Su questo paradosso, evidenziato da Radio Free Europe, si staglia la prima presidenza europea affidata a uno dei nuovi membri dell’Unione. Dal primo gennaio, l’Europa ha sede di fianco a noi, nel piccolo paese del miracolo che in soli quindici anni è passato dai rombi dei cannoni serbi all’introduzione dell’euro. La Slovenia è sempre stata il primo della classe della pattuglia di Stati est-europei che, dopo il crollo dei regimi comunisti, ha preso la strada di Bruxelles. Non ha subito grandi danni dai “nove giorni” che cambiarono la Jugoslavia, la guerra breve che Belgrado appena accennò contro Lubiana per poi ritirarsi a far macelleria nel resto dei Balcani. Tanto, nove giorni, bastarono per le barricate slovene: la Serbia capì che la Lombardia jugoslava era perduta e diresse i carri armati altrove. A Lubiana ci si potè dedicare allora alle riforme e allo sviluppo, poggiandole sul restauro del mito asburgico e mitteleuropeo, vero cemento della storia e dell’identità nazionale. I Balcani parevano una storia chiusa.

A sud la guerra civile infuriava, le truppe militari e para-militari di Milosevic sconquassavano la Croazia e la Bosnia. In Slovenia si liberalizzava il mercato e si aprivano le frontiere agli investimenti stranieri, austriaci e tedeschi soprattutto, perché con l’Italia serpeggiava sempre una certa tensione dovuta alle storiacce del passato, del fascismo prima e delle foibe poi. Lentamente quell’astio s’è sciolto, anche se gli estremisti sui due lati del confine hanno tenuto banco fino a poco tempo fa: durante un’amichevole fra le nazionali di calcio, i tifosi italiani e sloveni se le diedero di santa ragione sugli spalti, una messinscena ridicola per rinfocolare rancori che il tempo andava sopendo fuori dal catino di uno stadio. Ma più Lubiana si staccava dai Balcani e si avvicinava all’Europa, più i Balcani tornavano a bussare la porta a Lubiana. Lì, in quel nord che ora sembrava sempre più austriaco, risiedeva l’elisir magico per sfuggire al medioevo della guerra civile. La Slovenia ce l’aveva fatta e diventava un esempio da seguire per Zagabria e per la martoriata Sarajevo. Alla fine lo divenne anche per una Belgrado stremata da Milosevic e dalle bombe e che provava a voltare pagina.

Oggi Lubiana ritrova il suo passato proprio nel momento in cui sale sul gradino più alto dell’Europa. A questa presidenza è affidato il compito di mettere la Serbia sulla corsia di marcia verso Bruxelles e di sancire il processo di indipendenza del Kossovo. Un esercizio a un tempo di equilibrismo e decisionismo, che in questi giorni si deve confrontare con gli avvenimenti della cronaca. Primo: in Serbia si vota per ballottaggio delle presidenziali: una battaglia agguerrita fra il “moderato” Boris Tadic (presidente uscente) e il “nazionalista” Tomislav Nikolic (in vantaggio dopo il primo turno). Secondo: a Bruxelles, l’Unione Europea oscilla tra la Realpolitik della maggioranza dei suoi membri e l’ostinazione di Belgio e Olanda che non ritengono di dover cedere neppure di un millimetro sulla questione della consegna dei militari serbi colpevoli di genocidio al tribunale dell’Aia. Il compromesso trovato è l’offerta a Belgrado di un accordo politico (di fatto una liberalizzazione dei visti d’ingresso dei cittadini serbi nei paesi dell’UE) in attesa di riprendere i dossier sull’accordo di associazione e stabilizzazione. L’Europa attende di capire chi sarà il nuovo presidente serbo ma Belgio e Olanda hanno detto chiaro che sulle colpe del passato non ci sarà amnistia (e forse nella rigidità di Amsterdam gioca qualche ruolo anche la cattiva coscienza di Srebrenica). Terzo: tra Washington e Bruxelles si rimpallano le voci su un’imminente decisione sull’indipendenza del Kossovo. Ma le indiscrezioni hanno infiammato la campagna elettorale a Belgrado e nessuna notizia ufficiale pare attesa prima del voto di domenica.

In questo scenario agitato si muove la diplomazia di Lubiana. Alla piccola repubblica adriatica non mancano né la conoscenza della problematicità balcanica né la sapienza diplomatica maturata in questo ultimo decennio. L’integrazione della penisola al di là dell’Adriatico è peraltro di vitale importanza anche per noi italiani. E nell’ultimo decennio Italia e Slovenia hanno proficuamente collaborato sul terreno militare proprio nell’area balcanica. Roma ha tutto da guadagnare nel supportare il semestre di presidenza sloveno, rafforzando i legami con il vicino ritrovato e superando una volta per tutte, in nome dell’unità europea e dell’interesse nazionale, le ruggini residue.

 

Il sito ufficiale della presidenza slovena


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