In scena al Senato la lunga crisi della politica italiana
di Pierluigi Mennitti
[24 gen 08]

Sarà un’altra lunga e sfibrante giornata sul versante della politica. Pochi minuti fa Romano Prodi, dopo un secondo colloquio al Quirinale con il capo dello Stato, ha deciso di andare in Senato, portare la crisi fino in fondo, affrontare il voto di fiducia nell’aula dove la maggioranza si tiene grazie al voto dei senatori a vita, provare sino all’ultimo a modificare il quadro che al momento indica pollice verso per il suo governo. Il premier è fatto così. Cocciuto e determinato, al di là di quell’atteggiamento bonario che dispensa davanti alle telecamere. Soprattutto quando deve dimostrare tenacia caratteriale, Prodi è molto più simile al suo eterno rivale Berlusconi che ai tanti polli di batteria cresciuti nelle officine di partito degli anni Settanta, i Veltroni, i D’Alema, i Fini, i Casini, eterne promesse di una stagione di rinnovamento che non arriva mai. Non arriva, forse, anche per questa mancanza di carattere. Un temperamento che invece i “vecchietti” ancora dimostrano. Così Prodi resta fedele a se stesso e se cadrà lo farà in piedi. Glielo ha riconosciuto anche un avversario come Calderoli, una volta tanto lontano dalle battute splatter che lo hanno reso famoso in questi anni.

Quando la politica raggiunge punte di drammaticità, come quelle che da due giorni ci sta facendo vivere il governo Prodi, la tensione ovatta l’atmosfera, il Palazzo ritrova la solennità e la dignità dei momenti decisivi. Saremo attaccati alla radio e alla tv, nel pomeriggio, ad ascoltare l’intervento del premier, il dibattito dei senatori, le dichiarazioni di voto, eventualmente le repliche, attenti a captare da una sfumatura o da un’inflessione la decisione del più sconosciuto senatore del più piccolo gruppo politico. Dal suo voto dipenderà la vita del governo o la sua crisi. Riti parlamentari che, per chi segue la politica hanno sempre un fascino speciale. Peccato che il paese avrebbe bisogno non di riti ma di azione. E avrebbe bisogno di un governo più forte e incisivo di quello avuto sinora. Che affrontasse le turbolenze economico-finanziarie mondiali di queste settimane. Che potesse assumere decisioni straordinarie per rimettere in sesto un paese che scivola ogni giorno di più nelle classifiche internazionali. Che non fosse costretto ogni giorno a misurare l’umore e la salute dei senatori a vita. Il cui premier non dovesse fornire solidarietà aperta a un suo ministro inquisito dalla magistratura. Non sappiamo come andrà a finire il voto di questa sera. Non sappiamo se il governo Prodi sopravviverà anche questa volta. Ma se dovesse farlo il rischio è che continui la sua corsa impacciata e sfilacciata sino al prossimo ostacolo, che arriverà come è arrivato questo, anche in assenza di un’opposizione compatta.

Ci sono molte ragioni per le quali il governo Prodi non è riuscito a soddisfare innanzitutto le aspettative degli elettori che lo hanno votato; ragioni sulle quali converrà tornare nelle analisi delle prossime settimane. Tuttavia, la situazione complessiva della politica italiana appare tanto slabbrata da rendere onestamente poco credibile che la soluzione possa arrivare da un altro governo di segno opposto. A certificarlo, oltre le ovvie dichiarazioni di propaganda di queste ore, è lo stesso Berlusconi. Al Corriere della Sera avrebbe confidato: “Volete che vi descriva com’è realmente Palazzo Chigi? Ecco: immaginate una macchina modernissima, dotata di tutti i comfort, allestita con tutte le tecnologie a disposizione, con un motore che ha centinaia di cavalli. Un gioiello di potenza e tecnica. Arrivi lì, ti siedi, sei tutto contento. Poi fai per cominciare a guidare, ingrani la marcia, ma all’improvviso ti rendi conto che manca qualcosa: ti guardi in giro, non c’è il volante!”. Aumenta dunque il rimpianto per una politica che, pur capendo la gravità del momento, non riesce a trovare una soluzione comune. E aumenta il rimpianto per la scelta dell’aprile del 2006 quando, dopo un voto che aveva diviso a metà l’Italia, Prodi decise che ce l’avrebbe fatta da solo con una maggioranza confusa e disomogenea nelle idee e nei programmi. Si fosse deciso allora di aprire un percorso comune non avremmo perso venti mesi di tempo. Ammesso e non concesso che siano solo venti.

 

La seduta in diretta sul sito del Senato
La diretta di SkyTg24

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