Georgia, la lunga marcia verso Occidente
di Stefano Magni
[18 gen 08]
In Georgia è finita la
festa e man mano che ci si allontana dal giorno delle elezioni del 5 gennaio
scorso, il riconfermato presidente Mikheil Saakashvili si sente sempre meno
sicuro della sua posizione. Nei primi giorni di novembre l’opposizione era
scesa in piazza contro di lui (la “Rivoluzione Bianca”), temendo che, col
pretesto di posticipare le elezioni parlamentari, diventasse un altro
“democratore” post-sovietico, pronto a farsi votare una sola volta e a
truccare le elezioni successive per restare in sella, come Eduard
Shevardnadze prima di lui. Non si trattò di una protesta alimentata dalla
Russia contro l’unico governo realmente filo-occidentale tra le repubblica
caucasiche, come denunciò il presidente sin dal primo giorno, perché gli
ideali e le richieste politiche dell’oppozione scesa in piazza (nove partiti
riuniti nella coalizione Consiglio Nazionale) erano gli stessi della
Rivoluzione Rosa, quella che portò alla presidenza Saakashvili. A finanziare
ed organizzare l’opposizione è soprattutto il magnate dei media Badri
Patarkatsishvili, un amico di Berezhovskij (dunque nemico di Putin) che si è
arricchito ai tempi di Shevardnadze e ha mantenuto intatta la sua ricchezza
sotto Saakashvili. Dunque, tutti i dati del problema georgiano suggeriscono
che non si tratta di una riedizione della crisi tra la Russia e i suoi ex
satelliti troppo filo-occidentali, ma di una lite politica tutta interna.
Mickheil Saakhashvili, autore di una riforma economica di
successo (il suo consigliere economico è Mart Laar, ex
premier estone e protagonista del boom economico delle
repubbliche baltiche) era sicuro di vincere a furor di
popolo quando, invece di comportarsi da dittatore, dopo
pochi giorni di stato di emergenza, ha indetto nuove
elezioni il 5 gennaio. Le elezioni presidenziali erano
accompagnate da un primo referendum per decidere la data
delle successive elezioni parlamentari (il primo oggetto del
contendere) e un altro referendum, non vincolante, per
vedere quanti georgiani sono favorevoli all’ingresso del
paese nella Nato. Nei due mesi di campagna elettorale,
secondo quanto denunciano sia l’opposizione che gli
osservatori dell’Osce, il presidente ha approfittato della
sua posizione di forza per gestire una costosa campagna
elettorale, villaggio per villaggio. “A volte sfumava il
confine tra l’attività di Stato e quella legata alla
campagna elettorale del presidente uscente”, ha dichiarato a
Radio Free Europe la funzionaria dell’Osce Alcee Hastings.
“Il candidato del partito governativo ha usato le risorse
pubbliche per conquistare il sostegno popolare”, ha ribadito
il direttore del servizio locale della radio americana David
Kakabadze. Il giorno del voto gli osservatori internazionali
hanno contestato pochi brogli e giudicato le elezioni nella
repubblica post-sovietica “essenzialmente libere ed eque”. E
soprattutto è stato premiato il comportamento
dell’elettorato: nessun incidente ai seggi, un clima
rilassato e un’alta affluenza alle urne (circa il 60 per
cento dei georgiani si è recata a votare). Saakashvili è
risultato vincitore già al primo turno con una maggioranza
assoluta: il 52,8 per cento contro il 27 per cento del suo
principale rivale, Levan, candidato unico per il Consiglio
Nazionale. Ma, man mano che procedeva lo spoglio delle
schede, aumentavano le critiche e le contestazioni di
brogli.
Un membro dell’opposizione ha denunciato che il partito di
Saakashvili, il Movimento dell’Unione Nazionale, trasportava
con gli autobus i suoi elettori fedeli da un seggio
all’altro, per farli votare più volte. Nei giorni
successivi, il partito di Saakashvili ha parzialmente
ammesso la colpa. Il 6 gennaio, a spoglio delle schede
ancora in corso, un ministro del governo, Davit Bakradze, ha
brindato pubblicamente alla vittoria del presidente,
basandosi su sondaggi condotti dai media filo-governativi,
quando, invece, altri sondaggi lo davano sì in testa, ma non
eletto al primo turno. L’8 gennaio la presidenza dell’Unione
Europea ha diffuso un comunicato in cui si invitavano le
autorità georgiane a indagare su eventuali brogli
elettorali. Benita Ferrero-Waldner, commissaria europea per
le Relazioni Estere, ha ribadito il concetto, denunciando,
in base ai rapporti degli osservatori, “notevoli
irregolarità” nel corso del voto. Il Consiglio Nazionale ha
chiesto immediatamente (senza ottenerlo) un riconteggio dei
voti. Oltre alle polemiche sulla regolarità delle elezioni,
a indurre Saakashvili ad una maggior prudenza politica è
stata l’analisi del voto. Il presidente che fu eletto in
modo plebiscitario dopo la Rivoluzione Rosa, ora governa con
i voti di poco più della metà del paese e ha perso il
consenso della capitale Tbilisi, dove in otto distretti
elettorali su dieci ha vinto Gachechiladze.
E anche i due referendum collegati alle elezioni hanno dato
risultati più magri del previsto. Il 61 per cento dei
georgiani si è espresso a favore dell’ingresso nella Nato,
quando, sino all’anno scorso, il consenso per l’adesione
all’alleanza delle democrazie occidentali era quasi unanime.
Quanto alla data delle prossime elezioni parlamentari, i
georgiani hanno votato per poter rieleggere il potere
legislativo in primavera, contro il parere del presidente
che avrebbe voluto rimandare le elezioni all’autunno
successivo. Saakashvili, per questi motivi, ha subito
dichiarato che non potrà “ignorare le opinioni”
dell’opposizione e si appresta a governare tenendo aperto un
canale di dialogo con i partiti di minoranza. Anche in
politica estera, il presidente filo-occidentale ha subito
fatto capire di voler correggere la rotta, dichiarando di
volersi “lasciare alle spalle” gli anni di attrito con la
Russia. Il Cremlino sta traendo un vantaggio immediato dalla
debolezza dell’esecutivo del suo vicino. Mentre la
prospettiva di entrare nella Nato si è allontanata. Secondo
alcuni osservatori, la Georgia resterà un partner esterno
nei prossimi anni. Prima della “Rivoluzione Bianca” era
invece in discussione il suo inserimento nel Membership
Action Plan, per un suo eventuale ingresso a pieno titolo
nell’Alleanza.
Malgrado tutto, non si possono ignorare i passi avanti
compiuti in occasione di queste elezioni. La Georgia è oggi
più democratica di un tempo. Shevardnadze emerse da una
guerra civile e non fu mai eletto regolarmente. Lo stesso
Saakashvili, nel 2004, fu eletto in modo plebiscitario dopo
la Rivoluzione Rosa. Quelle del 5 gennaio scorso sono state
le prime vere e proprie elezioni, con un candidato
dell’opposizione credibile e un clima di competizione e non
di guerra. Una messa, prima delle elezioni, a cui hanno
assistito sia Saakashvili che Gachechiladze, fianco a
fianco, è il simbolo di questo rinnovato clima democratico,
ben lontano dalla guerra civile dei primi anni ’90. E’ la
prima volta che il presidente vince con la maggioranza
assoluta, ma in modo non plebiscitario. Secondo Mart Laar
questo è un fattore positivo nel processo di
democratizzazione: “Il problema peggiore è quando
l’opposizione è debole, perché il governo fa cattiva
politica e commette più errori. Avere un’opposizione forte e
organizzata è il miglior regalo che si può fare ad un
governo. Non c’è bisogno di maggioranze schiaccianti”.
Inoltre, anche se il percorso verso la Nato ha subito una
battuta d’arresto, i partiti dell’opposizione sono anch’essi
filo-occidentali. Nella coalizione di minoranza spicca anche
il Partito Repubblicano, costituito dagli ex dissidenti
dell’Urss. I quali non hanno alcuna intenzione di ritornare
sotto l’influenza del Cremlino. Se nelle prossime elezioni
parlamentari dovesse vincere la coalizione del Consiglio
Nazionale, la Georgia farebbe un ulteriore passo avanti: vi
sarebbe una reale separazione dei poteri esecutivo e
legislativo, come nelle vere democrazie liberali di lunga
data. E il paese resterebbe sempre dalla parte
dell’Occidente.
(c)
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