Putin e il fallimento dei liberali russi
di Stefano Magni
[06 dic 07]
C’era una volta Boris
Eltsin. Nonostante le critiche sul suo progressivo autoritarismo, sulla
corruzione degli oligarchi e sul disordine della nuova Russia, l’ex
presidente voleva, almeno ufficialmente, avviare in Russia riforme liberali.
E nessuno temeva che Eltsin facesse tornare le lancette di Mosca indietro,
ai tempi dell’Unione Sovietica. Ora questo rischio appare più visibile con
l’avvento del nuovo “ordine” di Putin, il quale, tramite il suo partito
Russia Unita, ha conquistato i due terzi dei seggi della Duma, la
maggioranza necessaria a cambiare la costituzione. E c’è un risultato ancora
peggiore per chi sperava in un processo di riforme democratiche e liberali
della Russia: i partiti liberali sono scomparsi del tutto. Non hanno più
neppure un seggio. Ora l’opposizione è monopolizzata dal Partito Comunista,
nostalgico dell’Unione Sovietica, mentre gli altri due partiti che sono
riusciti ad entrare nella Duma, superando lo sbarramento del 7 per cento
sono gli ultra-nazionalisti di Zhirinovskij (sempre più vicino alle
posizioni del Cremlino) e un partito alleato di Putin, Russia Giusta. “Mai
più liberali al governo” aveva dichiarato Putin prima delle elezioni. E i
russi gli hanno obbedito fedelmente. Ma i liberali sono mai stati al governo
della Russia? “All’epoca di Eltsin abbiamo avuto effettivamente un primo
governo liberale, che voleva realmente fare riforme. Ora tutte le riforme
sono state fermate. Anzi, c’è un riflusso ben evidente. Si stanno
gradualmente nazionalizzando tutti i settori strategici dell’economia e sta
ritornando in auge un sistema di grandi corporazioni statali: navigazione,
linee aeree, trasporti, materie prime... tutto sta ritornando nelle mani
dello Stato” - ci spiega Sergej Filatov, il quale era uno dei consiglieri di
Boris Eltsin e, ora che presiede la Fondazione dei Programmi Socioeconomici
e Intellettuali, resta un riformatore convinto.
Filatov, che è giunto in Italia in occasione del Festival della Modernità
della casa editrice Spirali, proprio mentre in Russia si votava per la Duma,
non assolve del tutto i riformatori: “I liberali avevano recepito il
messaggio dell’economista Milton Friedman, avevano iniziato a privatizzare
tutti i settori. Ma questo progetto è fallito, ha causato un aumento della
corruzione (che è sempre stata molto diffusa in Russia), il governo si è
limitato a cedere settori dell’economia ai privati e questo non ha portato
ad una crescita della nostra economia”. Ma non è tanto per questo che la
Russia di oggi rigetta il liberalismo, quanto per una mentalità di fondo:
“La Russia è un paese molto esteso e diviso al suo interno, in una
molteplicità di nazionalità e di religioni. La maggior parte della gente
crede che solo una forte autorità che esercita un potere dal centro possa
tenere assieme il paese. E crede che chi promette democrazia, federalismo e
liberalismo possa portare solo disgregazione”. E’ soprattutto per questo che
Putin e la sua politica risultano vincenti: “Putin vuole esercitare
semplicemente un potere autoritario e dirigista, controllare tutti i
territori della Russia in modo centralista, rilanciare un ideale imperiale.
Non si può parlare di vero e proprio nazionalismo, perché la Russia non è
una nazione, ma un insieme di nazionalità e di religioni differenti. La cosa
è sempre stata vissuta come un problema: tante nazioni, in un unico Stato. E
non è possibile neppure parlare di una vera e propria ideologia: Putin è un
politico che vuole esercitare il suo potere in modo molto pragmatico.
L’ideologia di Putin è... obbedire a quello che vuole Putin”.
Tuttavia Filatov, che è entrato in politica nel 1990 e sa bene che cosa era
l’Unione Sovietica, non crede che si possa ritornare al passato, anche se
ammette: “Sì, temiamo il ritorno di un regime autoritario, se non
totalitario” e che “l’era dei totalitarismi che credevamo fosse
definitivamente tramontata con la fine del secolo scorso, all’alba del nuovo
millennio si sta ripresentando. Quello su cui dobbiamo premere è l’apertura
di un paese, la sua trasparenza. Basta vedere quel che è successo in Iraq:
la guerra è scoppiata, perché il paese era impermeabile, non faceva passare
alcuna informazione sulle armi di distruzione di massa. Solo governi aperti
e trasparenti non sono nocivi gli uni agli altri”. Anche la Russia di Putin,
però, sembra un paese sempre più impermeabile. L’Osce ha condannato brogli e
pressioni del presidente sugli elettori in queste ultime consultazioni
parlamentari. Sergej Filatov ce le conferma: “Ci sono state grandi
differenze tra queste elezioni e quelle del 2003. Quattro anni fa era tutto
molto più complicato per l’elettore russo, perché c’era molta più libertà e
molto più pluralismo nell’informazione, era stato lasciato agli elettori
molto più tempo per riflettere e decidere nel corso della campagna
elettorale e il presidente era rimasto neutrale, non era intervenuto così
pesantemente per influenzare il processo elettorale”.
Oggi invece “è stato tutto molto più duro. Il presidente non si è limitato a
fare una scelta e a condizionare gli elettori: ha guidato direttamente la
campagna elettorale. Il presidente ci ha messo di fronte ad una scelta
plebiscitaria: siete con me o contro di me? Credete nel mio progetto o no? E
l’impatto che ha avuto è stato molto forte. Gli elettori si sono recati alle
urne non pensando neppure a quale partito eleggere nella Duma, ma pensando a
lui”. Il consenso non si concentra tanto sui singoli aspetti della politica
di Putin, quanto sulla sua persona. Infatti, Filatov divide il consenso
russo per Putin in singoli settori e constata che: “in campo economico e
sociale non è molto amato. L’economia è cresciuta enormemente e questo è
vero. Ma alla crescita non è seguito un aumento del benessere per tutti i
settori della società: si è arricchito solo il settore dell’estrazione e
dell’esportazione delle materie prime, dominato da grandi aziende di Stato”.
Sarà questo il tallone di Achille del nuovo “zar di tutte le Russie”?
(c)
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