Il papà di Dolly boccia la ricerca sugli embrioni
di Tiziana Lanza
[26 nov 07]
Lo ha annunciato
qualche giorno fa sul Daily Telegraph lo scienziato più famoso del
mondo in fatto di clonazione. Il britannico Ian Wilmut, sessant’anni, il
padre della pecora Dolly, decide di abbandonare le ricerche sulla clonazione
a favore della produzione di cellule staminali senza embrioni. Due anni fa
ottenne la licenza per creare embrioni umani, ma oggi rinuncia e decide di
seguire le orme del giapponese Shinya Yamanaka, il quale ha creato cellule
staminali a partire da pezzetti di pelle di topo senza toccare gli embrioni.
Lo scienziato scozzese ha una lunga esperienza in merito. Fra lo stupore
generale, nel 1996 venne alla luce la pecora Dolly, il primo mammifero
clonato (anche se gli esperimenti sulla clonazione animale erano iniziati
nel lontano 1952). Lo scienziato mise la sua firma su quel primo
esperimento che attraverso le pagine dei giornali e gli schermi televisivi
ci guardava con gli occhi di una pecora dallo sguardo insolito. O forse
eravamo noi umani a sentirci guardati in modo strano?
In ogni caso, le perplessità che lo scienziato aveva espresso in passato su
quel suo stesso esperimento fanno sì che questo annuncio non ci colga di
sorpresa. A cinque anni Dolly sviluppò tutta una serie di disturbi tipici
delle pecore in età avanzata, come l’artrite che la portava a zoppicare.
L’anno dopo si decise di sopprimerla perché stava soffrendo troppo a causa
di complicanze dovute a un’infezione polmonare. Lo scienziato e la sua
equipe, si trattasse o no di fallimento, vennero segnati dall’esperienza con
Dolly. Wilmut ne ha descritto i particolari in un libro dal tono
confidenziale. La tecnica usata per clonare Dolly era quella del
trasferimento del nucleo. Si prende una cellula da un esemplare adulto, e
una seconda cellula-uovo che viene svuotata del suo nucleo contenente il
Dna. Si mettono vicine e si fa passare una corrente elettrica per fare in
modo che si fondano e cominci a svilupparsi l’embrione che poi viene
trasferito nell’utero di un altro esemplare dove rimane fino alla nascita.
Ci sono naturalmente altre tecniche di clonazione.
Dopo l’esperimento di Wilmut, sono stati clonati molti altri animali in
diverse parti del mondo. Si è in seguito passati anche alla sperimentazione
sull’uomo, con tutte le implicazioni etiche connesse, attraverso la ricerca
sulle cellule staminali che ha avuto un grosso impulso. Si tratta, infatti,
di cellule primitive che possono trasformasi in qualunque altro tipo di
cellula del corpo. Ecco perché si pensa che potranno avere una ruolo
fondamentale a scopo terapeutico nella medicina del futuro. C’è un organo da
sostituire? Basta con i trapianti! Con le staminali si parlerà di
autotrapianti eliminando tutta una serie di problemi connessi alla
disponibilità di organi da trapiantare e al rigetto. E siccome ogni cosa ha
sempre il rovescio della medaglia, alla donazione di organi si contrappone
il traffico di organi con tutta una serie di conseguenze che è facile
immaginare. Dunque che ben venga la ricerca sulle staminali, anche per
curare malattie come il Parkinson e l’Alzheimer. Anche qui, però, il
discorso non è semplice. Ci sono infatti staminali e staminali. Quelle
embrionali sembrano avere una serie di potenzialità che quelle adulte non
hanno. Infatti esse sono dette “totipotenti” in quanto sono in grado di
trasformarsi in qualsiasi tipo di tessuto. Esse sono presenti solo negli
embrioni nei primi stadi di vita.
Eccoci allora al bivio: è chiaro che manipolare embrioni ha tutta una serie
di conseguenze etiche di un certo rilievo. E’ giusto far crescere un
embrione nei suoi primissimi stadi di vita, appropriarsi di ciò che è utile
e poi disfarsene come se nulla fosse? E’ proprio questo che Wilmut non vuole
più fare? Intanto dobbiamo precisare che la ricerca sulle cellule staminali
embrionali è ancora agli inizi. Alcuni paesi hanno permesso questo tipo di
ricerca. Il nostro paese no. Ma se ora uno scienziato del calibro di Wilmut
ci viene a dire che forse se ne può fare a meno, non c’è che da esserne
contenti. Non soltanto. Wilmut si è messo proprio sulle orme del suo rivale,
il giapponese Shinya Yamanaka, dell’università di Kyoto, che con le sue
ricerche è riuscito a dimostrare che si possono fare regredire cellule
staminali adulte a staminali embrionali, spostando semplicemente indietro
l’orologio biologico. Non c’è dubbio che dopo anni e anni di accese
competizioni, di annunci falsi e di ricerche truccate riguardo alla
clonazione e allo studio delle staminali - il più recente risale al 2005 ad
opera del coreano Hwang Ho Suk, lo stesso che per primo clonò un cane -
l’annuncio di Wilmut legato al riconoscimento del lavoro del suo rivale e
alla rinuncia della sua linea di ricerca perseguita in molti anni, ha una
grossa valenza etica, in tutti i sensi.
(c)
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