Islamo-fascismo, la lezione di Horowitz
di Federico Punzi
[26 ott 07]
Quella appena
trascorsa, negli Stati Uniti, è stata la “settimana della consapevolezza
islamo-fascista” (“Islamo-Fascism Awareness Week”), il più recente evento di
rilievo della lunga e difficile battaglia culturale contro il
fondamentalismo islamico, che può essere sconfitto non solo dalla forza
delle armi, ma soprattutto dalla forza delle idee, a cominciare da quelle
che circolano nel fronte interno, nei paesi liberi. David Horowitz,
intellettuale della sinistra americana degli anni Sessanta, promotore di
terrorismawareness.org, ha promosso nei giorni scorsi una campagna di
mobilitazione, una serie di iniziative pubbliche, per far conoscere la reale
natura e portata della minaccia islamo-fascista e smascherare le “due grandi
bugie” raccontate dalla sinistra in questi anni: che Bush si sia inventato
la “guerra al terrorismo”; e che i cambiamenti del clima siano un pericolo
più grave del jihad globale e del razzismo islamista. Dal 22 al 26 ottobre,
all'interno di circa 200 tra college e campus universitari (tra cui
Columbia, Princeton, Berkeley, UCLA), con l'aiuto degli studenti
Repubblicani vicini al “Freedom Center” dello stesso Horowitz, si sono
svolti eventi di vario genere: la proiezione di documentari e la
presentazione di saggi; petizioni per denunciare la violenza islamo-fascista
contro donne, omosessuali, cristiani, ebrei e atei; lezioni sull'oppressione
della donna nell'islam; sit-in di protesta per il silenzio dei Dipartimenti
di studi sulla donna (una “vergogna nazionale”).
E naturalmente, conferenze, alle quali, oltre a Horowitz, sono intervenuti
personalità come l'ex deputata olandese di origine somala Ayan Hirsi Ali, il
conduttore di Fox News Sean Hannity, la polemista Ann Coulter, la femminista
Phyllis Chesler, l'editorialista Mark Steyn, gli analisti Daniel Pipes,
Michael Ledeen e Michael Medved, lo studioso musulmano Nonie Darwish e i
dissidenti Wafa Sultan e Ibn Warraq. Migliaia le persone che hanno
partecipato o assistito a questi eventi. Horowitz ha voluto che fossero
proprio le università il fronte della sua campagna, perché è convinto che
negli atenei Usa viga un pesante clima di conformismo, una cappa di censura
morale strisciante. Chiunque osi collegare il terrorismo all'Islam viene
accusato di islamofobia. I professori raccontano ai loro studenti una
versione politicamente corretta della guerra al terrorismo, secondo la quale
le violenze e il sentimento di odio anti-occidentale sarebbero causati dalle
politiche americane e non dal progetto politico del fondamentalismo
islamico. La responsabile è la cosiddetta “sinistra accademica”, che così
facendo abbassa le difese immunitarie dell'America, quelle culturali, contro
il terrorismo. Horowitz parla esplicitamente di una “alleanza profana” della
sinistra progressista con “le più retrograde e reazionarie forze del mondo
odierno”. Con questa campagna nei campus ha voluto così testare la reale
apertura politica e intellettuale dei santuari dell'istruzione e della
produzione culturale americana.
Un'apertura discutibile, visto che la campagna è stata contrastata on line
dai blog liberal e dal clintoniano e sorosiano “Campus Progress” ma anche
fisicamente da molte associazioni studentesche di sinistra, pacifiste e
islamiche, che hanno cercato di non far parlare gli oratori e di impedire lo
svolgimento dei vari eventi. All'Emory University circa trecento tra
studenti e professori di sinistra, militanti pacifisti e di Amnesty
International, appartenenti ad associazioni studentesche islamiche e
filo-palestinesi, hanno interrotto Horowitz, gli hanno impedito di
concludere il suo intervento e l'hanno costretto ad allontanarsi dal campus
scortato. Alcuni indossavano tute arancioni, come i detenuti di Guantanamo,
o abiti tradizionali arabi e kefiah. Christopher Hitchens, su Slate, ha
difeso l'uso del termine “fascismo islamico”, contestato da professori ed
editorialisti liberal. Ovviamente non c'è una corrispondenza perfetta tra i
due fenomeni storici, i fascismi e il fondamentalismo islamico, ma le
analogie – dal culto della morte al rapporto contraddittorio con la
modernità e la tecnologia, dalla nostalgia per le glorie del passato al
vittimismo e al revancismo, dall'antisemitismo all'ossessione per la
decadenza morale e dei costumi – sono evidenti. La differenza più rilevante
tra fascismo e jihadismo – che paradossalmente rende ancora più appropriato
l'accostamento dei due termini – è forse riscontrabile nei fenomeni di massa
alla base dei contesti socio-culturali indispensabili alla loro gestazione e
al loro sviluppo come ideologie politiche.
Diversa la categoria principale alla quale le masse si sono aggrappate per
recuperare un senso di appartenenza messo in discussione dalla
modernizzazione: la nazione, nel caso dei fascismi; la religione, nel caso
della deriva totalitaria dell'Islam. Si tratta di una reazione alla
modernità. Non un rigetto totale, come non lo fu per le ideologie del
Novecento. Ma il tentativo di riprendere il controllo “umano” dei processi
tecnologici, scientifici, economici e sociali che aggrediscono le
rassicuranti forme delle società umane pre-moderne e subordinarli al
“nobile” scopo di un'umanità nuova, purificata, identificabile attraverso
un'unica, totalizzante categoria. E su quale categoria poteva fondarsi la
reazione dell'Islam alla modernità se non sulla religione e sull'idea in
versione messianica e totalitaria di Umma musulmana? Mentre fascismo,
nazismo e comunismo sono state ideologie fondate sulla volontà di dominio
totalitario di una nazione, di una razza, e di una classe, questa quarta
ideologia politica, nata e cresciuta anch'essa, sebbene all'ombra delle
altre tre, nel Novecento, si fonda sulla volontà di dominio totalitario
della società informata in ogni suo aspetto da principi religiosi. Anch'essa
è un'utopia politica volta, attraverso la tirannia e lo sterminio, a
purificare l'umanità dall'“impuro modo di vita” insinuato dall'Occidente
della democrazia, delle libertà, del capitalismo, visto come disumana terra
del tramonto e della decadenza che complotta contro l'Islam.
Se in Europa abbiamo conosciuto il fenomeno della nazionalizzazione delle
masse, studiato dallo storico George Mosse, in Medio Oriente, dove oggi
l'idea di nazione è in declino, seppure negli scorsi decenni abbia giocato
un suo ruolo, conosciamo l'islamizzazione delle masse. Diverse le categoria
di riferimento, ma simile il meccanismo della ricerca di una purezza
identitaria smarrita che può assumere forme estremamente violente. Il
riferimento agli anni Venti non va banalizzato. Se negli anni Venti e Trenta
del secolo scorso l'Europa ha vissuto tragicamente l'ingresso delle masse
nella storia e nella politica, ingresso indotto dalla modernità, è perché il
fenomeno non fu compreso dal mondo liberale, e quelle masse furono
intercettate, indottrinate e irrigimentate da ideologie che con le loro
utopie rispondevano agli shock della modernizzazione. Un fenomeno che
rischia oggi di ripetersi nel mondo islamico.
(c)
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