Finanziaria 2008, perché i conti non torneranno
di Giuseppe Pennisi
[05 ott 07]

La legge di bilancio assomiglia ad un derivato finanziario: il suo sottostante è costituito dalla situazione della finanza pubblica nello scenario tendenziale (ossia cosa avverrebbe ove non si intervenisse con misure di politica economica) e dal quadro macro-economico ipotizzato. La normativa prevede che il sottostante venga discusso in Parlamento sulla base del Dpef. E’ prassi che, se si verificano turbolenze durante l’estate (come avvenuto nelle ultime dieci settimane), un’apposita “nota di aggiornamento” venga presentata una decina di giorni prima della discussione dei lineamenti della Finanziaria con le parti sociali. In ogni caso, prima del varo della Finanziaria da parte del governo, il Cipe esamina la relazione previsionale e programmatica (Rpp) –  un legato della programmazione degli anni Sessanta e Settanta raramente letto od anche solo sfogliato dai ministri e dai loro collaboratori. Il 28 giugno il ministro dell’Economia e delle Finanze ha presentato il Dpef alla stampa in 26 diapositive. Il pomeriggio del 2 ottobre è approdata in Senato, quasi alla chetichella, la “nota di aggiornamento”; non sappiamo se le parti sociali ne abbiano avuto una bozza, ma è facile presumere che, in tale ipotesi, sarebbe (come nel passato) finita sui giornali. Un’analisi delle differenze tra “nota” e Dpef consente di toccare con mano sia come l’esecutivo valuta le turbolenze dei mesi scorsi (e la loro proiezione nel futuro) sia quanto siano realistiche le stime di finanza pubblica.

In primo luogo, le tensioni finanziarie dell’estate, seconda la “nota di aggiornamento”, non scalfirebbero che debolmente (e nel breve termine) l’andamento dell’economia reale. Mentre il Dpef prevedeva una crescita del 2 per cento nel 2007, un leggerissimo rallentamento (1,7 per cento) nel 2008 ed una graduale risalita all’1,8 per cento dal 2010, la “nota” ammette che nell’anno in corso e nel successivo si avvertirà una flessione rispetto alle stime del 28 giugno (un aumento del Pil dell’1,9 per cento nel 2007 e dell’1,5 per cento nel 2008, per risalire all’1,8 per cento nel 2010). Tale andamento diverge dalle stime econometriche presentate del Centro studi Confindustria il 20 settembre: un aumento del Pil appena dell’1,3 per cento nel 2008 e quadro piatto negli anni successivi se non si risolvono i problemi strutturali indicati (sempre dal Csc) nello studio “Una democrazia funzionante per una politica economica riformatrice”. La “nota” non illustra la strumentazione econometrica utilizzata ma offre una chiave di lettura al lettore pignolo: una marcata riduzione dell’output gap (ossia della differenza tra crescita potenziale ed effettiva), in pratica l’assunto che le riforme (in gran misura ancora da concepire) siano già in vigore, ipotesi scarsamente realistica. Altre stime (nell’ambito dei 20 centri econometrici internazionali) vedono una crescita più debole; tenendo conto anche dell’apprezzamento del dollaro, prevedo un andamento quasi rasoterra (ossia attorno all’1 per cento).

Ciò ha effetti immediati sulla finanza pubblica: 4.500 milioni di euro di gettito aggiuntivo sono imputati al “tendenziale”, ossia all’aumento delle entrate connesso all’andamento dell’economia reale. Se tale “tendenziale” sarà (come è verosimile) la metà di quanto stimato nella “nota aggiuntiva” (anche in quanto il nuovo tesoretto annunciato il primo ottobre rappresenta anticipi sugli incassi dell’erario per il prossimo esercizio), restano scoperti 2.200 milioni di euro, a cui occorre aggiungere la parcella che verrà presentato il 12 ottobre; il costo della sostituzione dello “scalone” per le pensioni di anzianità previsto dalla riforma Maroni del 2004 stimabile (prudenzialmente) in tremila milioni di euro nel primo anno (ossia nel 2008) a cui aggiungere almeno mille milioni di euro di ammortizzatori occupazionali e sociali aggiuntivi. Si arriva a 6.200 milioni di euro. Forse sembrano pochi al governo, ma sono sufficienti a mettere a repentaglio gli impegni assunti in sede europea, a richiedere una nuova manovra (attorno alla prossima Pasqua) e a scatenare una nuova rissa all’interno del sinedrio a sinistra. A conclusioni ancora meno incoraggianti arrivano Tito Boeri e Pietro Garibaldi su lavoce.info: “Il complesso della manovra peggiorerà i conti pubblici rispetto a quanto avverrebbe in sua assenza: mezzo punto di Pil di deficit in più dovuto a maggiori spese piuttosto che a riduzioni di tasse. L’aggiustamento viene tutto rinviato al 2009-2011, come candidamente riconosciuto dai documenti pubblicati da Palazzo Chigi”.

 


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