Si apre un varco tra le due Coree
di Rodolfo Bastianelli
[05 ott 07]

Nell’ultimo muro della Guerra Fredda si apre forse una breccia. Nel secondo incontro dopo quello svolto nel 2000 tenuto in questi giorni a Pyongyang tra il presidente sudcoreano Roh Moo – Hyun ed il leader nordcoreano Kim Jong – Il, i due esponenti politici hanno dichiarato di voler siglare un trattato di pace che ponga formalmente fine tra i due paesi al conflitto concluso nel 1953 unitamente all’impegno di svolgere regolarmente incontri a livello bilaterale, di favorire gli scambi turistici e rafforzare la cooperazione in campo economico nonché la possibilità di formare una squadra comune per le prossime Olimpiadi di Pechino. E’ chiaro che il meeting rappresenta un segnale di ottimismo ed un passo verso la distensione proprio un anno dopo il test nucleare effettuato da Pyongyang che aveva fatto temere un’escalation della tensione in tutta la regione. Tuttavia, come non si può sottovalutare l’importanza simbolica del riavvicinamento tra le due Coree, allo stesso modo va sottolineato come gli interrogativi ed i dubbi sul regime nordcoreano continuino a rimanere intatti anche dopo l’incontro.

Il primo segnale di apertura si era avuto a febbraio, quando Pyongyang aveva dichiarato
di essere disposta a chiudere entro sessanta giorni il reattore di Yongbyon in cambio dell’invio da parte statunitense di 50mila tonnellate di carburante e generi alimentari, un primo passo al quale avrebbero dovuto fare seguito, una volta confermata dagli ispettori dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica), la cessazione di ogni attività nucleare, la concessione di ulteriori 950mila tonnellate di forniture energetiche insieme all’avvio di colloqui per la rimozione della Corea del Nord dalla lista degli Stati che favoriscono il terrorismo, l’apertura di formali relazioni diplomatiche. E, soprattutto, lo scongelamento dei 25 milioni di dollari depositati su un conto presso il Banco Delta di Macao, sequestrati poco tempo prima dal servizio segreto statunitense che accusava Pyongyang di essere implicata nella falsificazione di banconote americane. L’incidente si è concluso grazie alla mediazione di Pechino, la Cina è l’unico paese ad esercitare un’influenza sulle vicende politiche nordcoreane e più volte aveva espresso i suoi timori sui rischi per la stabilità regionale derivanti dal programma nucleare di Pyongyang. Il disgelo tra i due Paesi rifletteva l’estrema limitatezza delle contromisure a disposizione della comunità internazionale.

Un’opzione militare contro il regime nordcoreano era apparsa fin dall’inizio impraticabile sia per gli effetti devastanti che avrebbe avuto un’eventuale rappresaglia nordcoreana sulla Corea del Sud, visto che Pyongyang dispiega buona parte dell’armamento e degli effettivi del suo Esercito proprio lungo il 38° parallelo, ma anche perchè le informazioni a disposizione dell’intelligence sui siti nucleari nordcoreani erano ritenute dagli esperti alquanto imprecise ed inaffidabili. La stessa prospettiva di un “regime change”, sostenuta da alcuni esponenti dell’Amministrazione americana, si presentava quanto mai improbabile data l’assenza di ogni forma di dissenso organizzato ed il controllo esercitato dallo Stato su ogni mezzo di comunicazione. Da alcuni anni inoltre i rapporti tra le due Coree attraversano una fase di miglioramento. La “sunshine policy” avviata dieci anni fa dal presidente sudcoreano Kim Dae – jung ha portato alla creazione nel 2003 di un polo industriale a Kaesong presso la zona smilitarizzata dove operano diverse imprese sudcoreane che impiegano almeno 15mila operai nordcoreani, all’apertura di un collegamento ferroviario diretto tra i due paesi inaugurato la scorsa primavera e, soprattutto, all’invio di massicci aiuti alimentari alla Corea del Nord da parte di Seul.

E proprio la grave crisi economica che sta attraversando il paese sarebbe, secondo gli osservatori, una delle ragioni che hanno spinto Pyongyang a cambiare la sua posizione. Dopo le recenti inondazioni la situazione si sarebbe poi ulteriormente aggravata e, se in precedenza il regime aveva sempre diffidato della presenza di operatori internazionali sul suo territorio, stavolta il rischio del ripetersi di una catastrofe umanitaria come quella avvenuta all’inizio degli anni Novanta ha spinto Kim Jong – il ad aprirsi al mondo esterno accettando come contropartita la sospensione del suo programma nucleare. Salutato con favore dalla Casa Bianca per la quale l’accordo rappresenta un primo passo verso la distensione nella regione, l’intesa è stata tuttavia accolta con scetticismo da chi ritiene che sull’atteggiamento di Pyongyang si possa fare ben poco affidamento. Il governo giapponese prima di impegnarsi un programma di aiuti, vuole infatti avere informazioni ed assicurazioni sulla sorte di diversi suoi concittadini sequestrati dai servizi segreti nordcoreani tra gli anni Settanta ed Ottanta, mentre a Seul diversi esponenti conservatori non hanno risparmiato le critiche all’operato del Presidente Roh Moo – hyun ritenendo insufficienti le misure prese per spingere la Corea del Nord ad abbandonare il suo programma nucleare.

A dicembre inoltre nel paese si terranno le elezioni presidenziali ed un successo dell’opposizione conservatrice, largamente in testa nei sondaggi, potrebbe modificare l’atteggiamento e la linea politica fin qui tenuta dalla Corea del Sud. Ma quello che suscita le maggiori perplessità di una parte degli osservatori è la possibilità che Pyongyang metta a disposizione la sua tecnologia ad altri Stati od addirittura a gruppi terroristici. In un articolo recentemente apparso sul Jerusalem Post, alcuni esponenti militari statunitensi ed israeliani hanno sostenuto come la Corea del Nord stia fornendo assistenza nucleare alla Siria, un’accusa prontamente respinta da Pyongyang ma sufficiente a riproporre gli interrogativi sull’esistenza di legami tra il regime nordcoreano e quelli di altri paesi sospettati di favorire il terrorismo internazionale. Nell’ultimo muro della guerra fredda sembra quindi che si stia aprendo una breccia. Vedremo nei prossimi mesi se l’incontro di Pyongyang è stato veramente il primo passo verso la sua demolizione oppure soltanto  l’ennesima operazione di propaganda nordcoreana tesa a garantire la sopravvivenza del regime di Kim Jong – il.

 


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