Sulla Grossa Coalizione gli arancioni si dividono
dal nostro inviato Pierluigi Mennitti
[03 ott 07]

Kiev (Ucraina) - Ora comincia la partita vera. E i leader calano le carte pesanti sul tavolo di poker. Il presidente Viktor Yushchenko gela le illusioni di una riedizione dei fasti arancioni di tre anni fa, osserva il paese spaccato e chiede una Grossa Coalizione per gestire l’emergenza. Il premier uscente Viktor Yanukovich approva e si dice disponibile a trovare una soluzione. Julia Timoshenko mangia la foglia e lancia una dichiarazione di fuoco: “Non sono disponibile a sedermi attorno a un tavolo con nessuno. Ribadisco la richiesta di formare un governo con il blocco di Nuova Ucraina, altrimenti il mio posto è all’opposizione”. Prende così forma, nella maniera più clamorosa possibile, il grande inciucio tra i due ex rivali (sponsorizzato dall’oligarca di Donetsk Rinat Achmetow, l’uomo più ricco di Ucraina) di cui si vociferava informalmente negli ambienti giornalistici di Kiev, qualche giorno prima delle elezioni. Il piano: un governo di compromesso guidato da un tecnico vicino al Partito delle Regioni. Yanukovich fa un passo indietro, giusto il tempo di prendere la rincorsa per le presidenziali del 2009. Dove se la vedrà di nuovo con Viktor Yushchenko, che dovrà far fruttare il suo ruolo di presidente uscente.

Il problema è lei, Julia. L’exploit del suo partito ha un po’ complicato le cose. Che potesse raccogliere un buon successo, questo era scontato. Ma che superasse il 30 per cento, tallonando il “partito blu” del capo del governo e rendendo possibile, almeno sulla carta, un governo arancione, non se lo aspettava nessuno. Eppure i suoi gazebo erano quelli più frequentati dalla gente, la sua propaganda populista faceva breccia nel cuore dell’elettorato deluso da Yushchenko, specie fra i giovani, a ovest come ad est, nella Galizia filo-occidentale e nel distretto industriale e finanziario di Dnepropetrovsk, la città da dove proviene e che coniuga la toponomastica dei soviet e l’aggressività dei nuovi manager. Questo exploit rende la strada verso la Grossa Coalizione un percorso stretto e rischioso. Yushchenko si gioca le ultime briciole di credibilità, innanzitutto verso il suo elettorato ancora solido nelle roccaforti occidentali, poi verso l’intero paese. Se il governissimo dovesse partire senza l’apporto della Timoshenko, la sua corsa per il secondo mandato potrebbe chiudersi prima ancora di cominciare. Sarebbe la pasionaria bianca a correre contro Yanukovic e avrebbe buone chance di successo. A meno che la stabilità tanto ricercata non dovesse davvero realizzarsi, con o senza Julia. E a quel punto Yushchenko potrebbe rivendicare il ruolo di uomo saggio, di padre nobile della patria, che ha saputo tenere unito il paese, senza cedere a estremismi e populismi.

Per completezza di informazione, ecco in dettaglio i risultati del voto. Possono ormai considerarsi definitivi: i pochi seggi che mancano (meno dell’1 per cento del totale) non sovvertiranno i dati acquisiti, a detta dei responsabili dell’ufficio elettorale di Kiev. Cinque partiti entrano in Parlamento, avendo superato la soglia di sbarramento del 3 per cento. Primo: il Partito delle Regioni del premier uscente Viktor Yanukovich con il 34,2. Secondo: il Blocco Timoshenko di Julia Timoshenko con il 30,8. Terzo: gli arancioni di Nostra Ucraina e gruppi alleati guidati dal presidente Viktor Yushchenko con il 14,2. Quarto: il Partito comunista con il 5,4. Quinto: i centristi del Blocco Lytvyn con il 4 per cento. Da qui si parte e non da arbitrarie somme di partiti che, in queste elezioni, non hanno stipulato alcun accordo pre-elettorale di governo. Risulta così impropria la divisione che fanno alcuni organi di stampa (specie in Europa e negli Usa) tra blocco filo-occidentale (Timoshenko-Yushchenko) e blocco filo-russo (Yanukovich e comunisti). Tutto è aperto, compresa la scelta di alleanza che dovranno fare gli uomini di Lytvyn. Le carte sono sul tavolo. E non è detto che siano quelle definitive.


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