Le riforme in Bosnia tra etnie e interessi di parte
di Rodolfo Bastianelli
[27 giu 07]


La complessa struttura istituzionale creata dagli accordi di Dayton del 1995 riflette la profonda sfiducia esistente tra le diverse etnie del paese dopo il tragico conflitto che devastò la Bosnia-Erzegovina all’inizio degli anni Novanta. L’esecutivo ed il legislativo si reggono infatti su un complesso sistema che garantisce ad ognuna delle tre nazionalità un diritto di veto sulle decisioni che potrebbero mettere in pericolo i diritti e l’autonomia del proprio gruppo etnico. Tuttavia, in questi ultimi anni, si è fatta strada la convinzione che le attuali istituzioni bosniache non funzionino correttamente e che sia quindi necessario avviare un progetto di revisione costituzionale, anche se le tre etnie del paese rimangono quantomai divise sulle soluzioni da adottare per riformare l'assetto politico ed istituzionale della Bosnia.

Le istituzioni della Bosnia–Erzegovina riflettono non solo la divisione etnica uscita dalla guerra civile ma soprattutto il modo in cui questa si è conclusa. I conflitti di questo tipo possono portare infatti alla formazione di un regime autoritario unito ad una divisione debole tra le varie nazionalità che permette ancora un certo livello di interetnicità, come è accaduto nel Libano, oppure ad una netta divisione etnica ma con un governo democratico, quale è il caso di Cipro, o ancora all’affermazione di una delle parti che poi nel dopoguerra decide di imporre il suo ordine. Nessuna di queste situazioni si è verificata in Bosnia–Erzegovina, che presenta una netta divisione su base nazionale del territorio unita a istituzioni statali formalmente democratiche ma estremamente deboli. Come ha affermato l’Unione Europea, le attuali istituzioni bosniache non funzionano correttamente e solo una maggiore attribuzione di competenze al governo centrale consentirebbe al paese di procedere verso l’integrazione con l’Europa. Un’opinione condivisa anche dagli Stati Uniti, per i quali sarebbe opportuno introdurre una presidenza unitaria in luogo di quella tripartita attuale e procedere ad un rafforzamento del ruolo dell’esecutivo e del Parlamento nazionale[1]. Gli stessi bosniaci appaiono comunque divisi sulle soluzioni da proporre per riformare le istituzioni nazionali. Ma se gran parte della popolazione ritiene inefficace l’attuale Costituzione, al momento di indicare quale assetto sarebbe preferibile per il paese le risposte divergono profondamente a seconda dell’appartenenza etnica (vedi tabella). Per arrivare ad una proposta comune, due anni fa è stato così istituito il “Progetto Dayton”, che nelle intenzioni doveva portare ad una revisione dell’assetto istituzionale del paese.



Promosso dall’ex vice Alto Rappresentante per la Bosnia-Erzegovina Donald Hays e sostenuto dallo United States Institute for Peace (Usip), dall’Ambasciata statunitense a Sarajevo e dall’Unione Europea, il progetto intendeva adottare alcune riforme nel funzionamento della presidenza, del governo e delle assemblee parlamentari. Secondo quanto previsto, il disegno proponeva di abolire la presidenza collegiale per sostituirla con un singolo presidente, assistito da due vicepresidenti, eletto non più a suffragio popolare ma dal parlamento, di rafforzare le prerogative del primo ministro aggiungendo alle competenze dell’esecutivo l’agricoltura e la scienza e la tecnologia, nella prospettiva di poter attribuire in futuro al governo centrale anche l’istruzione. Riguardo alla struttura del Parlamento, la Camera dei popoli avrebbe dovuto essere composta non più da 15 ma da 21 membri, aggiungendo tre seggi per le altre nazionalità non considerate come popoli costituenti, e la Camera dei rappresentanti sarebbe passata da 42 a 87 membri, diventando il solo organo legiferante lasciando alla Camera alta solo il potere di porre il veto a tutela degli “interessi nazionali” dei diversi gruppi etnici[2]. Nonostante il sostegno di diverse forze politiche, lo scorso anno il progetto non ha ottenuto la maggioranza necessaria alla Camera dei rappresentanti del parlamento bosniaco per soli due voti.

In Bosnia–Erzegovina il problema maggiore nel varare riforme costituzionali consiste nel confrontarsi con un quadro politico frammentato e diviso lungo linee di appartenenza etnica. Ma se due dei tre partiti d’ispirazione nazionalista che avevano precedentemente approvato l’intesa – l’Unione democratica croata (Hdz) e il Partito democratico serbo (Sds) – riconoscono la necessità di introdurre delle modifiche dichiarando allo stesso tempo di non accettare alcuna riduzione delle prerogative delle due entità statali, al contrario il Partito per la Bosnia–Erzegovina (SBiH), la formazione moderata guidata dall’ex premier Haris Silajdžić, ha rigettato il progetto sostenendo come l’unica soluzione per ricostituire un paese multietnico sia proprio la sua abolizione, un’affermazione questa aspramente contestata dalle forze serbe, tanto che anche l’Unione dei socialdemocratici indipendenti (Snsd) di Milorad Dodik è arrivato a minacciare un possibile referendum sull’indipendenza della Republika Srpska qualora questo progetto venisse portato avanti. Più sfumata si presenta invece la posizione espressa dal Partito di azione democratica (Sda) che rappresenta l’elettorato musulmano. Pur avendo sostenuto il pacchetto di riforme sostenuto dalla comunità internazionale, lo Sda ha come obiettivo quello di superare l’attuale divisione in due entità statali e creare una Bosnia–Erzegovina unitaria ma decentralizzata, ripartita in una serie di cantoni multietnici.

Ancora più articolato è l’atteggiamento delle forze croate. Strettamente legata alla sua omologa croata pur dichiarandosi autonoma, l’Unione democratica croata (Hdz) raccoglie la maggioranza dei voti dei croati dell’Erzegovina occidentale ed è divisa tra un’ala favorevole all’autonomia ma all’interno della Federazione della Bosnia–Erzegovina ed una più radicale sostenitrice invece di una confederazione con Zagabria. Dopo la scissione avvenuta all’interno dell’Hdz e la conseguente nascita della nuova formazione denominata Hdz 1990, il quadro si è ulteriormente complicato. Mentre quest’ultima afferma come sia ormai urgente una riforma totale della Costituzione, i vertici dell’Hdz ritengono invece sufficiente il pacchetto precedentemente proposto in quanto la modifica dell’intero testo costituzionale dovrebbe essere oggetto di un nuovo tavolo negoziale tra le parti, visto che questa potrebbe portare al risultato di avere una Bosnia–Erzegovina divisa non più in due ma in quattro entità statali.   


 

Note
1.    Vedi su questo il rapporto Bosnia: Overview of Current Issues, Congressional Research Service, Washington D.C, Dicembre 2006

2.    Il progetto prevedeva inoltre che la “Camera dei Rappresentanti” potesse essere dissolta anticipatamente qualora non fosse stata in grado di eleggere il Primo Ministro. Vedi su questo lo studio Constitutional Reform in Bosnia and Herzegovina 2005-06, apparso in “European Yearbook of Minority Issues”, Vol 5, Anno 2005 / 2006

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