Se Piazza Affari diventa la succursale di Londra
di Giuseppe Pennisi
[25 giu 07]


Sotto il profilo della politica economica internazionale, l’inizio dell’estate non è stato dei migliori: il 21 giugno, solstizio, la riunione del gruppo dei quattro (Stati Uniti, Unione Europea, India e Brasile) a Potsdam pare avere messo una pietra tombale su quella Doha development agenda (Dda), il maxinegoziato multilaterale sugli scambi in corso dal 2001 ed in pratica sospeso da qualche mese; il 22 giugno, a Bruxelles, si è evitata per il rotto della cuffia una nuova profonda crisi del processo d’integrazione europea (ma la strada è ancora tutta in salita), mentre a Roma la “banda dei quattro” (colleghi di governo appartenenti alla sinistra radicale) ha minacciato di mandare a casa l’esecutivo e di bloccarne il pur modesto programma di liberalizzazione dell’economia italiana. Quanto tale programma sia piccolo (e comporti pure dei passi indietro) lo descrive il “Quinto Rapporto sul Processo di Liberalizzazione della Società Italiana”, appena pubblicato dall’Associazione Società Libera.

Nonostante queste notizie non affatto liete, il governo e la stampa italiana paiono entusiasti della nascita di quella che viene presentata come la Superborsa Londra-Milano. Un entusiasmo che ricorda quello di Ugo Tognazzi quando venne nominato federale nel film di Luciano Salce. In effetti, non si tratta di fusione tra pari, ma di acquisizione di una piccola borsetta locale da parte di una dei maggiori centri finanziari internazionali. In effetti, Piazza Affari rimasta, come la pucciniana Manon Lescaut nel processo di integrazione che ha portato, tra l’altro, all’accordo Nyse-Euronext, si è fatta acquisire dal London Stock Exchange di cui diventerà qualcosa a metà tra la succursale ed il cugino povero. Ciò avviene proprio nel momento in cui il processo d’integrazione economica internazionale sta per subire un duro colpo.

Il fallimento della Dda potrebbe aprire la strada ad una ripresa, alla grande, del protezionismo, con conseguenze non soltanto economiche. Un lavoro scientifico fresco di stampa fornisce una forte base teorica a queste preoccupazioni: il saggio di Kevin O’Rourke del Trinity College della Università di Dublino, “Democracy and Protectionism” apparso nella IIIS Discussion Paper Series n. 191. Il lavoro parte dalla teoria pura del commercio internazionale (ossia dal teorema Hecksher - Ohlin - Stolper - Samuelson) e la applica ad un vasto numero di paesi utilizzando indicatori quantitativi di apertura agli scambi e di democrazia (sistema politico, meccanismi elettorali, libertà di stampa, e via discorrendo); O’Rourke conclude che il processo di democratizzazione dovrebbe indurre a politiche commerciali più liberali in paesi in cui i lavoratori guadagneranno da mercati più aperti. Mentre il mondo sta andando verso politiche commerciali liberali, in Italia si brinda perché siamo stati accettati come poco più che comprimari.

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