La storia di Lu Guanqiu, American dream alla cinese
reportage di Elisa Borghi
[22 giu 07]


Se glielo avessero raccontato nel 1960, quando decise di trasferirsi ad Hang Zhou per scampare alle alluvioni che sconvolgevano le campagne dello Zhejiang, quello che sarebbe stato della sua vita, Lu Guanqiu di certo non ci avrebbe creduto. E nemmeno ci avrebbero creduto i poliziotti della città, che lo tenevano costantemente sotto controllo soltanto perché aveva osato rinnegare le sue origini di agricoltore, contravvenendo così a una delle regole non scritte ma più osservate dalla società cinese, quella secondo cui i contadini devono restare nei campi, e tutti gli altri nei rispettivi ambienti di nascita. Ebbene, oggi Lu Guanqiu è uno degli uomini più ricchi della Cina. È presidente dello Wangxiang Group, una multinazionale di cui è anche il fondatore, che produce ricambi e parti d’auto destinati a 40 Paesi del mondo, vanta clienti come Audi, Ford, GM, Toyota ed entrate che, nel solo 2006, hanno superato i 31,3 bilioni di Yuan (circa 3 miliardi di euro). Il signor Lu, come lo chiamano rispettosamente i suoi dipendenti, è anche azionista di una trentina di società internazionali che producono parti d'automobile. E ha diversificato il suo business nei settori bancario, agricolo, immobiliare, finanziario.

Con la sua intraprendenza Lu ha aiutato a scrivere un nuovo capitolo della storia del capitalismo cinese, quello dell'impresa familiare e privata, sorta per volontà di un piccolo gruppo di individui determinati ad avere successo anche a costo di andare controcorrente, e uscire dal circuito dell'economia pianificata. Che in Cina equivale a fare una piccola rivoluzione. La storia di Lu la si potrebbe anche leggere come il classico “American dream”, ma in salsa cinese. O almeno così ama presentarla il protagonista, che ripercorre volentieri le origini travagliate della sua carriera, iniziata insieme alla moglie, e nella miseria più nera, 38 anni fa. “Nel 1961 - racconta - avevo solo 19 anni ma conoscevo già tutta l'amarezza che la vita può riservare. Da tre anni io e i miei genitori soffrivamo la fame nelle campagne dello Zhejiang [provincia orientale a Sud di Shanghai, ndr.], le catastrofi naturali rovinavano semine e raccolti, la situazione era tragica al punto che una famiglia si poteva dire “felice” se tutti i suoi componenti riuscivano a fare almeno un pasto al giorno. Così mi sono trasferito nel capoluogo, Hang Zhou, per cercare lavoro. Prima ho fatto il garzone in un negozio che riparava biciclette. Poi ho provato a mettermi in proprio, ad aprire la mia attività. E allora sono iniziate le più grandi difficoltà”.

Tradotto dai pacati toni del cinese, quel “grandi difficoltà”, indica l’ostruzionismo di un governo che tollerava a malapena la libera iniziativa, specialmente in economia, e ha costretto Lu a chiudere il suo negozio e trasferirsi da un quartiere all’altro per ben sette volte. Ma “i giovani devono imparare a salire sulla schiena del dragone”, recita un antico detto mandarino. E Lu il suo salto ormai l’aveva fatto, e una volta in ballo si sentiva moralmente obbligato a tenere duro, a resistere ai soprusi, come poi ha fatto, con grande determinazione, fino alla fine degli anni Sessanta. “Nel 1969 - ricorda con un mezzo sorriso - la legge ci è venuta incontro. Il governo di Pechino ha autorizzato anche i contadini ad avviare un’impresa di tipo industriale purché lo facessero in gruppo e il loro business fosse in qualche modo collegato all’agricoltura. Così insieme a mia moglie ed altri cinque soci abbiamo aperto lo stabilimento di Wangxiang prima per riparare i trattori, poi per costruirne delle parti. L’investimento iniziale è stato di 3500 Yuan (350 euro), una cifra da capogiro per quei tempi”. “Da allora - prosegue Lu con un tono divertito - il mio curriculum è diventato semplice. Ho iniziato a lavorare in questa fabbrica e non ho più smesso. Oggi sono ancora qui”. Un percorso netto dalla base alla vetta della piramide sociale ma non privo di asperità come vuol farlo apparire il milionario.

Uno degli ostacoli più grandi sulla via del successo era rappresentato dal rigido sistema dell’economia pianificata. Le aziende private, come Wangxiang, fino a tutti gli anni Settanta erano escluse dai piani di produzione quinquennali. Lo Stato non commissionava loro nulla, precludendogli grosse fette del mercato nazionale. Un fattore che se inizialmente ha complicato la vita di Lu, nel lungo periodo si è rivelato una carta vincente. Non potendo vendere sul mercato domestico, infatti, Wangxiang è stata una delle prime fabbriche a rivolgersi alla clientela internazionale, accumulando un’esperienza che si è rilevata preziosa quando la Cina ha cominciato ad aprirsi al mondo. Ma il momento della svolta, quello che ha permesso la conversione del gruppo da piccola realtà locale a multinazionale è venuto più tardi. Quando, negli anni Ottanta, l’industria ha iniziato a produrre componentistica per automobili, agganciando la propria crescita a quella di un settore, quello dell’auto, che allora viveva una stagione di boom in Occidente. E ancora oggi in Cina cresce molto rapidamente. Una mossa azzeccata ma non risolutiva. Perché il problema di come rimanere competitivi allo Wanxiang non hanno mai smesso di porselo. E in un futuro non lontano farà passare le notti insonni al nipote di Lu, che fa capolino dalla foto che il nonno custodisce orgogliosamente nel portafoglio, erede designato di tutto l’impero.

“Per mantenere la competitività a fronte di paesi in cui la manodopera costa meno che da noi, occorre puntare tutto sull’innovazione e sul libero mercato. Il mercato non deve essere imbrigliato per nessuna ragione. I problemi con cui facciamo i conti, dall’aumento del prezzo delle materie prime alla diminuzione del costo delle auto, sono sanabili solo se si lascia che sia il mercato a determinare le regole del business, l’ultima parola deve andare alla legge della domanda e dell’offerta. I governi ne stiano fuori. Questo - afferma serio Lu - è tutto quello che so. È tutto quello che ho imparato”. Una difesa appassionata del liberismo che suona sospetta in bocca a un cinese. Quasi surreale. Ma a questo simpatico signore che parla con una forte inflessione dialettale viene voglia di credere. La sua storia è troppo bella e piena di speranza per essere guardata con cinismo. Lu elogia il libero mercato e sorride sicuro. Sulla parete, decine di foto lo ritraggono mentre e stringe la mano a ogni, singolo leader politico che ha servito il governo cinese negli ultimi trent’anni.

(c) Ideazione.com (2006)
Home Page
Rivista | In edicola | Arretrati | Editoriali | Feuilleton | La biblioteca di Babele | Ideazione Daily
Emporion | Ultimo numero | Arretrati
Fondazione | Home Page | Osservatorio sul Mezzogiorno | Osservatorio sull'Energia | Convegni | Libri
Network | Italiano | Internazionale
Redazione | Chi siamo | Contatti | Abbonamenti| L'archivio di Ideazione.com 2001-2006