Il XX secolo tra progresso e barbarie
di Andrea Gilli
[14 giu 07]


The War of the World
Niall Ferguson

New York, Allen Lane, 2006

pp. 741, € 34

Il Ventesimo secolo è stato un periodo di straordinario progresso. In campo scientifico e tecnologico prima di tutto, ma anche sotto il profilo economico e politico. Ciononostante, esso verrà ricordato come il più violento secolo della storia. Due guerre mondiali, lo sterminio di interi popoli, addirittura organizzato in modo scientifico, e poi ancora l’adozione di nuovi e più mortali mezzi per infliggere distruzione, dai gas ai bombardamenti aerei, hanno infatti segnato buona parte degli scorsi cento anni. Molti studiosi hanno tentato di spiegare questo paradosso tra progresso e imbarbarimento umano, proponendo brillanti analisi. A questa impresa si è aggiunto recentemente Niall Ferguson, giovane professore ad Harvard. Nel suo The War of the World, Ferguson sottolinea come non ci sia stato “un singolo anno, prima, durante o dopo le guerre mondiali che non sia stato protagonista di violenza organizzata su larga scala in una parte o l’altra del mondo”. Questo fatto, secondo la sua analisi, sarebbe spiegabile con l’intrecciarsi di tre forze oscure: conflitti etnici, instabilità economica e declino degli imperi. La coesistenza di diversi gruppi etnici in determinate aree geografiche (in particolare l’Europa centro-orientale) creò infatti quel clima di tensione che l’instabilità economica degli anni Trenta, alla fine, trasformò in conflitto. Allo stesso tempo, ciò fu comunque possibile per via del simultaneo crollo degli imperi che privò proprio queste zone di quella struttura politica che per secoli aveva tenuto insieme gruppi etnici differenti.

Lo spazio e il tempo, dunque, si sarebbero intrecciati, portando alla catastrofe. Ferguson sottolinea che l’Europa centro orientale fu “l’area più letale tra i campi di battaglia del Ventesimo secolo”, e gli anni Quaranta sono stati il periodo più sanguinoso. Ciò conferma la sua analisi: “Non è un caso [infatti] che tanti dei luoghi dove furono perpetrati degli stermini negli anni Quaranta si trovino proprio in quelle regioni” in cui c’era il più alto livello di assimilazione etnica, e che gli anni Trenta e Quaranta siano stati quelli economicamente più instabili degli ultimi cento anni. La tesi centrale del libro di Ferguson è però un’altra. La spiegazione delle cause della violenza nel Ventesimo secolo, infatti, è solo una parte del suo lavoro. Ferguson parte dalle tragedie del Novecento per sottolineare la sconfitta dell’Occidente. Questa si sarebbe manifestata sia in termini morali, la barbarie della guerra prese il sopravvento sul progresso raggiunto, sia in termini materiali, il primato occidentale fu inevitabilmente segnato e dalla seconda guerra mondiale iniziò un inarrestabile declino. Secondo Ferguson, l’Occidente si trova infatti a dover assistere impotente alla crescita dell’Asia, il continente che si appresta a guadagnare un posto di primo piano negli affari internazionali.

Ferguson presenta i suoi argomenti in maniera molto persuasiva, aggiungendo aneddoti e descrizioni dettagliate che non fanno altro che rapire ulteriormente il lettore. Ciononostante, se si tralascia questo punto di forza del libro, le due tesi di The War of the World non risultano così convincenti come sembrerebbe di primo acchito. In primo luogo, questo libro non raggiunge l’obiettivo che si prefigge – quello di spiegare la violenza nel Ventesimo secolo. Esso si limita infatti ad individuare le cause della seconda guerra mondiale. Non più di una cinquantina di pagine sono dedicate alla seconda metà del Novecento; e relativamente alla prima metà, è comunque la seconda guerra mondiale ad ottenere l’attenzione dell’autore (la tesi di Ferguson non sembra tenere di fronte alla prima guerra mondiale: quando essa scoppiò, nel 1914, gli imperi orientali erano intatti e l’economia mondiale era stabile).A ciò si aggiunge un altro difetto di questo lavoro. Il declino dell’Occidente che Ferguson sembra avvertire è legato ad una visione del mondo più consona al tardo Ottocento piuttosto che al nuovo millennio. Non solo, infatti, lo storico di Harvard usa come termine di paragone gli imperi europei, individuando dunque in quella particolare configurazione politica la forza dell’Occidente; ma sembra anche considerare l’arena internazionale come un grande gioco a somma zero dove la crescita economica di un attore si traduce inevitabilmente in una perdita per un altro.

Ferguson è uno storico affermato – come ha riconosciuto Paul Kennedy sul New York Review of Books – che negli ultimi anni ha scritto prolificamente. Questo lavoro racchiude e rielabora alcune delle sue principali idee. Esso riprende la grande attenzione per i fattori economici, trattati principalmente in The Cash Nexus (2001) e in The House of Rotschild (1998-1999); e sottolinea l’importanza di una struttura politica (l’impero) per la stabilità di una determinata regione, come evidenziato in Empire (2003) e in Colossus (2004). Malgrado le obiezioni che possono essere mosse, The War of the World è comunque un libro stimolante e avvincente, le cui seicentocinquanta pagine scorrono piacevolmente. Si può non essere d’accordo con le due tesi centrali del libro, ma va dato merito all’autore del grande lavoro e del grande sforzo che si trova dietro a questo volume.

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