Parigi, la nuova cerniera tra Stati Uniti e Europa
di Alessandro Marrone
[13 giu 07]


La netta vittoria dell’Ump al primo turno delle elezioni legislative francesi lascia prevedere che Sarkozy avrà quella “maggioranza per agire” che lui e il suo fidato primo ministro Fillon avevano chiesto ai francesi all’indomani della conquista dell’Eliseo. A quel punto, sparito dalla scena il fantomatico polo centrista di Bayrou e fortemente messa in discussione la leadership socialista Royal-Hollande, Sarkozy non avrà più alibi nel realizzare la promessa di una “rupture” rispetto alla politica francese degli ultimi anni. È interessante chiedersi se e come tale rinnovamento investirà anche il campo della politica estera.  

Il primo incontro di Sarkozy con un altro capo di governo è stato con Angela Merkel, a ribadire simbolicamente il proclamato impegno prioritario di sbloccare la riforma delle istituzioni dell’Ue. Il prossimo Consiglio Europeo costituirà il banco di prova per le ambizioni francesi, e per le speranze di uscire dall’impasse in cui versa l’Unione dal referendum del 2005. Sul versante transatlantico il neo-presidente ha dichiarato a caldo, la notte della conquista dell’Eliseo, che gli Stati Uniti “potranno contare sull’amicizia” della Francia, ma nello stesso discorso Sarkozy ha ribadito che il suo concetto di amicizia comprende anche il diritto di dissentire. D’altronde negli anni scorsi ha duramente criticato la guerra in Iraq definendola “uno storico errore”, anche se allo stesso tempo ha voluto evitare che i disaccordi con Washington dessero luogo a scontri sul piano personale ed eccessi di arroganza, difetto di cui ha peccato, secondo il neopresidente, la politica francese all’Onu nel 2003 sulla questione irachena. Secondo un editoriale di Le Monde “pur mettendo da parte l'ostilità e l'esasperazione verso gli Usa che hanno marcato negli ultimi anni le reazioni di Chirac, (…) con l’amministrazione Bush verranno alla luce gli stessi disaccordi: il protocollo di Kyoto, il ruolo futuro della Nato, la modalità della presenza militare occidentale in Afghanistan, temi sui quali l’approccio di Sarkozy è in continuità con la politica estera di Chirac”.

 È vero che Sarkozy ha adottato un approccio molto “americano” alla politica, 
almeno rispetto ai canoni francesi, sia nello stile che nei contenuti. Ma non 
bisogna dimenticare che il suo filo-americanismo si è espresso prevalentemente 
su questioni socio-economiche, a partire da riduzione delle tasse e flessibilità 
del mercato del lavoro, e non è automatico che ciò condurrà anche ad una 
politica estera maggiormente atlantista. Specie considerando che Sarkozy avrà 
bisogno di tutto il sostegno possibile da parte dell’opinione pubblica francese 
per far digerire a sindacati e corporazioni il suo pacchetto di riforme liberiste, e 
difficilmente vorrà minarlo tendendo la mano ad un presidente impopolare in 
Francia come Bush. Insomma, come ha subito notato un commento 
dell’International Herald Tribune, “se qualcuno a Washington pensa che il nuovo 
presidente sarà la versione francese di Tony Blair sarà presto deluso”. Bisogna 
però attendersi comunque delle novità nella politica estera francese. Un primo 
cambio di rotta, dal grande valore simbolico, si annuncia sulla questione 
mediorientale: Sarkozy non ha avuto paura di affermare, nel bel mezzo della 
campagna presidenziale e di fronte ad un’opinione pubblica filo-araba come 
quella francese, il suo deciso sostegno alla “sicurezza di Israele”. Ciò non vuol 
dire necessariamente la fine della tradizionale politica araba della Francia, ma 
costituisce un indizio che, unito alla mancanza di quei legami personali che 
Chirac coltivava con le leadership musulmane, fa pensare ad un cambio di 
rotta in questo campo già ravvisabile nella maggiore fermezza della linea 
francese nei confronti dell’Iran.
 
 Tale cambio di rotta rientra in un approccio complessivo del nuovo presidente 
alle relazioni internazionali definibile quasi come “idealista”: il proclamato rifiuto 
di ogni compromesso con le dittature, comprese quelle “amiche” della Francia, 
l’accento posto sulla difesa dei diritti umani come caposaldo della politica 
estera, la presa di distanza da Putin, sono elementi che lasciano pensare ad 
un cambiamento netto rispetto al solco tracciato dai precedenti presidenti 
della Quinta Repubblica. In questo senso le impressioni di alcuni esperti 
francesi di politica estera raccolte da Le Figaro all’indomani della vittoria alle 
presidenziali, rilevano una certa “impronta ideologica in Sarkozy che potrebbe 
preludere a cambiamenti sostanziali, tanto che, nell'equilibrio tra stabilità e 
realismo da un lato e democratizzazione e idealismo dall’altro, il pendolo della 
politica francese si potrebbe spostare verso il secondo polo”. La nomina come 
ministro degli Esteri di un socialista quale Kouchner, fortemente impegnato sul 
tema della difesa dei diritti umani del mondo e da sempre tra gli esponenti più 
atlantisti del Ps, è un ulteriore indizio in questa direzione. 
 

Occorre naturalmente considerare diversi fattori che spingono per la continuità ed il realismo nella politica estera. In primis i rapporti di forza internazionali, che ad esempio sul fronte energetico lasciano ben poco spazio di manovra con la Russia. Poi la tradizionale forma mentis del Quay d’Orsay, con la quale in ogni caso l’Eliseo dovrà fare i conti. In terzo luogo a Sarkozy conviene di certo aspettare il prossimo presidente americano per reimpostare una nuova relazione transatlantica. Infine non va dimenticata la formazione culturale gollista e nazionalista del neopresidente, che costituisce naturaliter un freno a qualsiasi forma di “americanizzazione” della posizione francese. Sull’altro piatto della bilancia pesa però il carattere forte e innovatore di Sarkozy, che ha finora dimostrato di saper rompere alcuni cliché politici, culturali e psicologici che hanno portato negli ultimi anni la Francia a ripiegarsi su se stessa. Inoltre il favore con cui Berlino, Londra, Bruxelles e Washington hanno accolto il nuovo presidente fanno sperare che sui principali temi sul tappeto, dalla Costituzione europea all’Iran e alla Russia, la Francia tornerà a giocare un ruolo costruttivo e più in sintonia con entrambe le sponde dell’Atlantico.

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