Il grande business del riscaldamento globale
di Tiziana Lanza
[07 giu 07]


Ve lo ricordate il “Giorno dopo”,? Era un film del 1983, diretto da Nicholas Meyer sui possibili catastrofici effetti di una guerra nucleare. Quindici anni dopo Emmerich eredita i toni apocalittici di quel film nel suo “L’alba del giorno dopo” cambiando però soggetto. I pericoli non vengono più dalla bomba atomica ma dall’effetto serra e la responsabilità è sempre dell’uomo. Al Gore invece l’ha chiamata la scomoda verità, quando invece oramai è diventato il credo di tutti in un allarmismo continuo e senza freni. Salvo quei pochi scettici che vengono trattati letteralmente da “eretici”. Ma ora la televisione britannica Channel 5 ha scagliato nel panorama mediatico un nuovo documentario dal titolo “The Great Global Warming Swindle” ovvero “La grande truffa del riscaldamento globale” per contrastare quei toni drammatici che non appartengono più soltanto al mondo del cinema. A parlare sono alcuni scienziati, ambientalisti e politici che si guardano bene da fare drammi come accade spesso ultimamente.

Infatti i toni su giornali e televisioni sono gli stessi che al cinema. L’ orso polare ci saluta mestamente dal suo ultimo pezzettino di ghiaccio, e immancabilmente la telegiornalista di turno ci dice che questi meravigliosi esemplari stanno scomparendo. Nel frattempo l’orsetto Knut si affanna a racimolare soldi per salvare i suoi simili. Ora è lui il testimonial degli ambientalisti per l’effetto serra, come se un orsetto potesse riparare i danni perpetrati da nefande sconsideratezze umane molto meglio delle pale di una centrale eolica. Guai a dire che chi strilla al lupo al lupo non ha ragione. Ci sono gli scienziati a garantire anche se l’effetto serra è diventato il cavallo di battaglia di politici sempre più numerosi e di coloro che invocano miracolose soluzioni: perché non stocchiamo in siti geologici l’anidride carbonica che immettiamo nell’atmosfera? Tanto per ribadire il concetto che su questo pianeta è l’uomo che la fa da padrone: siamo sempre noi a decidere dove deve andare questo famigerato gas. Non si scappa! Nessuno però si prende la briga di chiarire quanti soldi costano queste tecnologie, non solo in termini monetari ma anche in termini energetici. Senza contare i tempi che occorrerebbero per passare dalla sperimentazione alla messa in opera. Ammesso che poi ci si riesca. Nel frattempo il ricircolo di denaro è assicurato.

I giornali “cantano” tutti in coro: ci aspetta un’estate quasi da incubo, allarme siccità. Addio ghiacciai. Ci stiamo inesorabilmente avviando verso un futuro fatto di siccità, uragani, tempeste. Ormai il danno è fatto, quindi cosa ce ne facciamo dell’energia eolica, dei biocarburanti, del solare, insomma di tutte quelle soluzioni a cui lavorano già da tempo scienziati, tecnici, imprese? Alcune sono già diventate realtà. In Germania, per esempio, l’energia eolica costituisce il 6 per cento dell’intera produzione di energia nel paese. Nel 2005 sono stati così prodotti 26 miliardi di kilowattora di energia eolica con un risparmio di 21 milioni di tonnellate di anidride carbonica che sarebbero state immesse nell’atmosfera con le tradizionali centrali al carbone. Nel Sud della Spagna è stata appena inaugurata nella città di Sanlucar la Mayor, una centrale solare composta da una torre alta 155 metri attorniata da enormi specchi ad anelli concentrici per un totale di ben 624 unità. A loro il compito di catturale la luce solare indirizzandola verso la cima della torre dove il calore viene assorbito e poi trasmesso a un impianto di turbine a vapore. L’energia così prodotta è abbastanza per riscaldare almeno seimila case. E questo è soltanto il primo passo.

E che dire invece di paesi leader nell’uso di biocarburanti? Le macchine in Brasile “bevono” alchool, l’etanolo. Lo si ottiene da biomasse quali granturco, patate, canna da zucchero. Qui si producono ben 17.5 miliardi di litri all’anno, il 50 per cento del mercato globale. Se il Brasile divenisse un esportatore a livello mondiale, i paesi industrializzati avrebbero spezzato una lancia a favore di quelli non industrializzati. Ma questo probabilmente è solo un sogno. La maggior parte però preferisce la catastrofe annunciata e gli estremi rimedi ai mali estremi. Guai a uscire dal coro perché succede quello che è successo con il documentario di Channel5. In altre parole tentano di metterti un cerotto in bocca, dicono che sei un cretino e che non te ne importa nulla del pianeta. Poco importa se sei uno scienziato come quelli che hanno parlato davanti alle telecamere della Tv britannica. Ma che avranno mai detto poi per scatenare le reazioni di una vera e propria gang di scienziati che si sono adoperati per bloccare l’uscita del documentario? “Se si guarda al clima su scala geologica ci si rende conto che sospettare che l’anidride carbonica sia un fattore di primo piano è fallace” ha spiegato Ian Clark del dipartimento di scienze della Terra dell’Università di Ottawa. Questi scienziati invitano a guardare al passato per rendersi conto che il clima della Terra è sempre cambiato con picchi di grande caldo e di grande freddo anche in epoche remote e molto lontane dall’attuale era industriale. Il biogeografo Philip Stott dell’Università di Londra porta come esempio il Medioevo quando le temperature erano molto più alte di adesso e in Gran Bretagna prosperavano i vigneti.

Ma anche volendo restare al clima dell’epoca in cui viviamo, nel 1940, quando l’era industriale era agli inizi, le temperature erano al culmine di un trend in salita. Al contrario di quanto ci saremmo dovuti aspettare, a partire dalla fine della guerra, durante il boom economico e industriale, sono scese sensibilmente per diversi decenni. Ma ce n’è anche per l’Ipcc (International Panel For Climate Change). Come ogni altro organo delle Nazioni Unite, l’Ipcc è un organismo politico e in quanto tale anche le sue conclusioni lo sono. Sia il prof Paul Reiter del Pasteur Institute che il prof. Richrad Lindzen, climatologo del Mit, entrambi membri dell’Ipcc, asseriscono che diversi scienziati non in linea con il principale trend si sono dovuti dimettere. Insomma, il riscaldamento globale è diventato un vero e proprio business dove ognuno prende parte a modo suo. Ma gli scienziati devono ancora chiarire da che parte stanno. In ogni caso, quello che è grave è l’intolleranza verso ogni voce che esca dal coro. Per fortuna, chi vuole può guardare il documentario al seguente link: http://video.google.com/videoplay?docid=4499562022478442170 , su Google Video.
 

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