Eta, il richiamo delle armi
di Domenico Naso
[06 giu 07]


Fulmine a ciel sereno o cronaca di un evento annunciato? Delle due l’una ma fatto sta che la fragile tregua tra Eta e Stato spagnolo è andata in fumo per volontà del gruppo terroristico indipendentista basco. Il cessate il fuoco è di poco più di un anno fa (22 marzo 2006) dopo una contestatissima negoziazione tra il governo centrale e gli indipendentisti. Era stata l’opposizione del Pp a criticare Zapatero, reo, secondo Rajoy e i popolari spagnoli, di scendere a compromessi con terroristi che hanno insanguinato gli ultimi trentacinque anni di storia spagnola. Ma il governo socialista non si era fatto influenzare e la dichiarazione di tregua era stata accolta con soddisfazione e ottimismo. Il comunicato ricevuto ieri dal quotidiano basco Berrìa, però, non lascia spazio a dubbi o interpretazioni: “Son tempi di chiarezza. I Paesi Baschi [Euskal Herria nel testo, ndr] vuole superare l’attuale divisione istituzionale e costruire uno Stato indipendente. […] Eta si posiziona a favore del processo di liberazione del popolo basco, un processo il cui fine sarà, senza dubbio, uno Stato indipendente denominato Euskal Herria”. Fino a qui niente di nuovo: si tratta infatti delle solite rivendicazioni dell’Eta da trent’anni a questa parte. Ma subito dopo gli indipendentisti attaccano proprio José Luis Zapatero, ovvero il primo premier spagnolo ad aver concesso fin troppo spazio al dialogo con il movimento eversivo: “Le maschere sono cadute. Il garbo di Zapatero si è trasformato in un fascismo che nega diritti a partiti e cittadini”.

La stoccata è di quelle che non lascia dubbi e Zapatero riceve lo stesso trattamento dei franchisti durante gli anni Settanta. Arriviamo alla fine del comunicato, però, prima di tentare una interpretazione dello stesso: “Alla sospensione permanente delle attività armate da parte dell’Eta, il governo spagnolo ha risposto con arresti, torture e persecuzioni di ogni tipo. Non esistono le condizioni democratiche minime necessarie per realizzare un processo di negoziazione. […] Pertanto, riaffermiamo la nostra decisione di difendere con le armi questo popolo aggredito a sua volta con le armi. Invitiamo tutti i cittadini a ribellarsi contro questa democrazia falsa e putrefatta. […] Ognuno nel suo ambito e secondo le sue possibilità. […] Infine, Eta annuncia che abbandona il “cessate il fuoco” permanente a partire dalla mezzanotte del 6 giugno 2007”. Fin qui il comunicato: lungo, retorico, perentorio, in perfetto stile terroristico. La reazione dell’opinione pubblica spagnola e del sistema politico è stata ovviamente ferma e senza cedimenti di sorta. Fa discutere, tuttavia, il distinguo del Partido popular di Rajoy, il quale ha voluto subito precisare la posizione dell’opposizione. Il successore di Aznar alla guida del centrodestra ha assicurato a Zapatero l’appoggio convinto e incondizionato del Pp, a patto che il governo socialista non si renda nuovamente responsabile di  ambiguità e incertezze: “Zapatero deve dimostrare con i fatti la sua volontà di cambiare. Non si può negoziare con le organizzazioni terroristiche, è un errore che serve solo a rafforzarle. Legge e Stato di diritto: queste le armi da usare contro l’Eta”.

Se non fosse che la fine della tregua potrebbe provocare nuovo spargimento di sangue in terra iberica, verrebbe da dire cinicamente che Rajoy canta facilmente vittoria. Proprio un anno fa, il 6 giugno 2006, il leader popolare rompeva ogni rapporto e collaborazione con la maggioranza governativa del Psoe a causa della decisione di Zapatero di negoziare con i terroristi baschi. Ma non c’è da cantare vittoria e la dichiarazione di Rajoy, nonostante alcune punte polemiche comprensibili, rimane una dichiarazione di collaborazione e appoggio alla ritrovata unità politica contro il terrorismo basco. Il premier Zapatero, nella stessa mattinata di ieri, è apparso davanti ai giornalisti alla Moncloa, per rispondere ai terroristi: "Oggi l’Eta ha preso la stessa decisione che prese più volte in passato. Oggi come allora l’Eta torna a sbagliare. La risposta sarà quella che sempre hanno dato i governi spagnoli, fondata sulla difesa comune dei valori e delle istituzioni democratiche. Gli spagnoli e i baschi vogliono la pace, che ha come unico fine l’abbandono definitivo delle armi”. Anche queste dichiarazioni rientrano nella normale reazione che qualsiasi governo democratico deve avere quando un gruppo eversivo e terrorista minaccia le basi democratiche della nazione. Tuttavia Zapatero sa, e lo ha anche detto durante la già citata dichiarazione pubblica, che di fatto la tregua era già saltata il 30 dicembre con l’attentato al terminal aereo madrileno di Barajas. Cronaca di un evento annunciato, dunque, e non certo fulmine a ciel sereno.

La Spagna si trova di nuovo a dover fare i conti con il sanguinario indipendentismo basco, già resosi colpevole di centinaia di morti negli ultimi tre decenni. Ma la crisi odierna assume un sapore diverso. È forse, come accusano i popolari, la scontata conseguenza di una politica troppo permissiva da parte di Zapatero? La linea decisa del governo nei confronti delle regioni autonome (vedi il discusso Estatut catalano) può avere in qualche modo rianimato le aspirazioni indipendentiste dell’Eta? Sono domande alle quali la politica spagnola deve dare una risposta. Non c’è tempo da perdere. A Madrid sanno che l’Eta quando colpisce fa male e l’incontro tra Rajoy e Zapatero di lunedì prossimo potrebbe essere un primo passo per la ricostituzione di un necessario fronte comune contro la minaccia terroristica.

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