Fulmine a ciel
sereno o cronaca di un evento annunciato? Delle due l’una ma fatto
sta che la fragile tregua tra Eta e Stato spagnolo è andata in fumo
per volontà del gruppo terroristico indipendentista basco. Il
cessate il fuoco è di poco più di un anno fa (22 marzo 2006) dopo
una contestatissima negoziazione tra il governo centrale e gli
indipendentisti. Era stata l’opposizione del Pp a criticare
Zapatero, reo, secondo Rajoy e i popolari spagnoli, di scendere a
compromessi con terroristi che hanno insanguinato gli ultimi
trentacinque anni di storia spagnola. Ma il governo socialista non
si era fatto influenzare e la dichiarazione di tregua era stata
accolta con soddisfazione e ottimismo. Il comunicato ricevuto ieri
dal quotidiano basco Berrìa, però, non lascia spazio a dubbi o
interpretazioni: “Son tempi di chiarezza. I Paesi Baschi [Euskal
Herria nel testo, ndr] vuole superare l’attuale divisione
istituzionale e costruire uno Stato indipendente. […] Eta si
posiziona a favore del processo di liberazione del popolo basco, un
processo il cui fine sarà, senza dubbio, uno Stato indipendente
denominato Euskal Herria”. Fino a qui niente di nuovo: si tratta
infatti delle solite rivendicazioni dell’Eta da trent’anni a questa
parte. Ma subito dopo gli indipendentisti attaccano proprio José
Luis Zapatero, ovvero il primo premier spagnolo ad aver concesso fin
troppo spazio al dialogo con il movimento eversivo: “Le maschere
sono cadute. Il garbo di Zapatero si è trasformato in un fascismo
che nega diritti a partiti e cittadini”.
La
stoccata è di quelle che non lascia dubbi e Zapatero riceve
lo stesso trattamento dei franchisti durante gli anni
Settanta. Arriviamo alla fine del comunicato, però, prima di
tentare una interpretazione dello stesso: “Alla sospensione
permanente delle attività armate da parte dell’Eta, il
governo spagnolo ha risposto con arresti, torture e
persecuzioni di ogni tipo. Non esistono le condizioni
democratiche minime necessarie per realizzare un processo di
negoziazione. […] Pertanto, riaffermiamo la nostra decisione
di difendere con le armi questo popolo aggredito a sua volta
con le armi. Invitiamo tutti i cittadini a ribellarsi contro
questa democrazia falsa e putrefatta. […] Ognuno nel suo
ambito e secondo le sue possibilità. […] Infine, Eta
annuncia che abbandona il “cessate il fuoco” permanente a
partire dalla mezzanotte del 6 giugno 2007”. Fin qui il
comunicato: lungo, retorico, perentorio, in perfetto stile
terroristico. La reazione dell’opinione pubblica spagnola e
del sistema politico è stata ovviamente ferma e senza
cedimenti di sorta. Fa discutere, tuttavia, il distinguo del
Partido popular di Rajoy, il quale ha voluto subito
precisare la posizione dell’opposizione. Il successore di
Aznar alla guida del centrodestra ha assicurato a Zapatero
l’appoggio convinto e incondizionato del Pp, a patto che il
governo socialista non si renda nuovamente responsabile di
ambiguità e incertezze:
“Zapatero deve dimostrare con i fatti la sua volontà di
cambiare. Non si può negoziare con le organizzazioni
terroristiche, è un errore che serve solo a rafforzarle.
Legge e Stato di diritto: queste le armi da usare contro
l’Eta”.
Se non fosse che la fine della tregua potrebbe provocare
nuovo spargimento di sangue in terra iberica, verrebbe da
dire cinicamente che Rajoy canta facilmente vittoria.
Proprio un anno fa, il 6 giugno 2006, il leader popolare
rompeva ogni rapporto e collaborazione con la maggioranza
governativa del Psoe a causa della decisione di Zapatero di
negoziare con i terroristi baschi. Ma non c’è da cantare
vittoria e la dichiarazione di Rajoy, nonostante alcune
punte polemiche comprensibili, rimane una dichiarazione di
collaborazione e appoggio alla ritrovata unità politica
contro il terrorismo basco. Il premier Zapatero, nella
stessa mattinata di ieri, è apparso davanti ai giornalisti
alla Moncloa, per rispondere ai terroristi: "Oggi l’Eta ha
preso la stessa decisione che prese più volte in passato.
Oggi come allora l’Eta torna a sbagliare. La risposta sarà
quella che sempre hanno dato i governi spagnoli, fondata
sulla difesa comune dei valori e delle istituzioni
democratiche. Gli spagnoli e i baschi vogliono la pace, che
ha come unico fine l’abbandono definitivo delle armi”. Anche
queste dichiarazioni rientrano nella normale reazione che
qualsiasi governo democratico deve avere quando un gruppo
eversivo e terrorista minaccia le basi democratiche della
nazione. Tuttavia Zapatero sa, e lo ha anche detto durante
la già citata dichiarazione pubblica, che di fatto la tregua
era già saltata il 30 dicembre con l’attentato al terminal
aereo madrileno di Barajas. Cronaca di un evento annunciato,
dunque, e non certo fulmine a ciel sereno.
La
Spagna si trova di nuovo a dover fare i conti con il
sanguinario indipendentismo basco, già resosi colpevole di
centinaia di morti negli ultimi tre decenni. Ma la crisi
odierna assume un sapore diverso. È forse, come accusano i
popolari, la scontata conseguenza di una politica troppo
permissiva da parte di Zapatero? La linea decisa del governo
nei confronti delle regioni autonome (vedi il discusso
Estatut catalano) può avere in qualche modo rianimato le
aspirazioni indipendentiste dell’Eta? Sono domande alle
quali la politica spagnola deve dare una risposta. Non c’è
tempo da perdere. A Madrid sanno che l’Eta quando colpisce
fa male e l’incontro tra Rajoy e Zapatero di lunedì prossimo
potrebbe essere un primo passo per la ricostituzione di un
necessario fronte comune contro la minaccia terroristica.
(c)
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