Telekom Serbia, dieci anni di silenzi
di Domenico Naso
[25 mag 07]


Era il 1997 quando Telecom Italia acquistò il 29 per cento di Telekom Serbia, operatore nazionale serbo di telefonia fissa. Nulla di strano, se non fosse che l’azionista di maggioranza di Telecom Italia era lo Stato italiano, Telekom Serbia era un’azienda di un paese governato autoritariamente da Slobodan Milosevic e il prezzo dell’operazione era esorbitante (ben 878 miliardi di lire di allora). Per quattro anni della storia non si parlò più, fino a quando, nel febbraio 2001[1], la Repubblica titolò in prima pagina: “Le tangenti di Milosevic”. Lo scoop era di quelli clamorosi: l’acquisto di Telekom Serbia avrebbe di fatto foraggiato il regime di Milosevic, con una cifra spropositata e interamente versata nelle casse del governo di Belgrado. Con quei soldi, scrivevano allora i giornalisti Bonini e D’Avanzo, il partito socialdemocratico di Slobo e lo Jul di sua moglie, Mira Markovic, erano riusciti a vincere le elezioni del settembre 1997, a dispetto delle manifestazioni dell’opposizione in piazza della Repubblica. Ma questo è il minimo: il regime di Belgrado paga le pensioni di anzianità e gli stipendi statali, rimpingua le riserve in valuta e, cosa ben più grave, riarma l’esercito in Kosovo, proseguendo in maniera feroce la pulizia etnica a danno degli albanesi.

Sono sempre Bonini e D’Avanzo, dunque, a porsi la domanda chiave di tutta la faccenda: “Che cosa è stato, allora, l'affare Telekom? Un'acquisizione aziendale, che ha permesso alla Telecom di infilare il piede nella porta del mercato dell'Est Europa? O una mossa di politica estera che, nell'interesse dell'Italia, ha evitato cinicamente il collasso della Serbia e del regime di Slobodan Milosevic? O ancora, l'uno o l'altro insieme con l'italico codicillo delle tangenti? E chi sono i protagonisti di questo garbuglio politicofinanziarioaffaristico? E quali sono state, nel corso del tempo, le mosse, le tappe, gli intrecci, le alleanze?”. Bella domanda. Il chi, il come e il perché di quell’affare non si è mai saputo, nemmeno a distanza di dieci anni. È comprensibile, per carità, non fosse altro che i nomi coinvolti nell’affaire non erano certo sconosciuti: Romano Prodi, allora presidente del Consiglio, Lamberto Dini, ministro degli Esteri, Carlo Azeglio Ciampi, ministro del Tesoro (e addirittura presidente della Repubblica quando lo scandalo montò sui giornali), Piero Fassino, sottosegretario agli Esteri.

Ovviamente il centrodestra cavalcò l’onda delle rivelazioni di stampa, usandole sapientemente durante la campagna elettorale del 2001. Poi la storia la conosciamo: Berlusconi torna al governo, il Parlamento istituisce una commissione di inchiesta su Telekom Serbia, il centrosinistra la boicotta fino ad abbandonarne i lavori. E poi Igor Marini, i faccendieri, i viaggi senza autorizzazione in Svizzera. Il caso si smonta, forse perché non regge, forse perché non è stato gestito bene, forse perché in fondo è meglio così per tutti. Però c’è qualcuno che non ha dimenticato. È il caso di Giulio Manfredi, militante radicale e autore del libro “Telekom Serbia: Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, pubblicato nel 2003 da Stampa Alternativa. Manfredi è di fatto l’unico individuo kafkianamente imputato per questioni relative a Telekom Serbia, in quanto querelato a causa dei suoi studi sul caso. Il 9 giugno 2007 cade il decimo anniversario di quella discussa e discutibile acquisizione e l’occasione è stata buona per ripresentare il libro nel corso di una conferenza stampa svoltasi nella sede dei Radicali italiani, presenti Rita Bernardini, Daniele Capezzone, Bruno Mellano, Giuseppe Rossodivita.

Particolarmente significativo l’intervento di Daniele Capezzone, ex segretario radicale e presidente della commissione Attività produttive della Camera: “Non si tratta di una storia di tangenti, né il problema è la richiesta di dimissioni di questo o quel politico. La questione è tutta politica. Vorrei porre una domanda a quattro o cinque personaggi politici: a Romano Prodi (e non mi pare si tratti di un caso di omonimia), Lambero Dini, Piero Fassino, Carlo Azeglio Ciampi, Enrico Micheli. La domanda è la seguente: come mai un paese occidentale ha deciso di regalare tanto denaro all’uomo della pulizia etnica, dello stupro etnico e dei treni piombati?”. Altra bella domanda, non c’è dubbio. Come è interessante anche il dubbio di Rita Bernardini, attuale segretario radicale, che si chiede come mai “tutti i grandi giornali parlano di costi della politica, di crisi del sistema ma nessuno ha portato avanti la questione di Telekom Serbia. In fondo l’accusa è quella di aver foraggiato un criminale”.

È lo stesso Manfredi, autore del libro, a concludere la conferenza stampa: “Nel 2002, sette anni dopo la strage di Srebenica, il governo olandese si dimise perché vennero provate le sue responsabilità, seppur oggettive, relative a quell’episodio. Ebbene, dopo dieci anni dall’affaire Telekom Serbia noi non chiediamo dimissioni ma solo un’onesta assunzione di responsabilità”.


 

[1] Carlo Bonini, Giuseppe D’Avanzo, la Repubblica, 16 febbraio 2001

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