Era il 1997
quando Telecom Italia acquistò il 29 per cento di Telekom Serbia,
operatore nazionale serbo di telefonia fissa. Nulla di strano, se
non fosse che l’azionista di maggioranza di Telecom Italia era lo
Stato italiano, Telekom Serbia era un’azienda di un paese governato
autoritariamente da Slobodan Milosevic e il prezzo dell’operazione
era esorbitante (ben 878 miliardi di lire di allora). Per quattro
anni della storia non si parlò più, fino a quando, nel febbraio 2001[1],
la Repubblica titolò in prima pagina: “Le tangenti di Milosevic”. Lo
scoop era di quelli clamorosi: l’acquisto di Telekom Serbia avrebbe
di fatto foraggiato il regime di Milosevic, con una cifra
spropositata e interamente versata nelle casse del governo di
Belgrado. Con quei soldi, scrivevano allora i giornalisti Bonini e
D’Avanzo, il partito socialdemocratico di Slobo e lo Jul di sua
moglie, Mira Markovic, erano riusciti a vincere le elezioni del
settembre 1997, a dispetto delle manifestazioni dell’opposizione in
piazza della Repubblica. Ma questo è il minimo: il regime di
Belgrado paga le pensioni di anzianità e gli stipendi statali,
rimpingua le riserve in valuta e, cosa ben più grave, riarma
l’esercito in Kosovo, proseguendo in maniera feroce la pulizia
etnica a danno degli albanesi.
Sono
sempre Bonini e D’Avanzo, dunque, a porsi la domanda chiave
di tutta la faccenda: “Che
cosa è stato, allora, l'affare Telekom? Un'acquisizione
aziendale, che ha permesso alla Telecom di infilare il piede
nella porta del mercato dell'Est Europa? O una mossa di
politica estera che, nell'interesse dell'Italia, ha evitato
cinicamente il collasso della Serbia e del regime di
Slobodan Milosevic? O ancora, l'uno o l'altro insieme con
l'italico codicillo delle tangenti? E chi sono i
protagonisti di questo garbuglio
politicofinanziarioaffaristico? E quali sono state, nel
corso del tempo, le mosse, le tappe, gli intrecci, le
alleanze?”. Bella domanda. Il chi, il come e il perché di
quell’affare non si è mai saputo, nemmeno a distanza di
dieci anni. È comprensibile, per carità, non fosse altro che
i nomi coinvolti nell’affaire non erano certo sconosciuti:
Romano Prodi, allora presidente del Consiglio, Lamberto
Dini, ministro degli Esteri, Carlo Azeglio Ciampi, ministro
del Tesoro (e addirittura presidente della Repubblica quando
lo scandalo montò sui giornali), Piero Fassino,
sottosegretario agli Esteri.
Ovviamente il centrodestra cavalcò l’onda delle rivelazioni
di stampa, usandole sapientemente durante la campagna
elettorale del 2001. Poi la storia la conosciamo: Berlusconi
torna al governo, il Parlamento istituisce una commissione
di inchiesta su Telekom Serbia, il centrosinistra la
boicotta fino ad abbandonarne i lavori. E poi Igor Marini, i
faccendieri, i viaggi senza autorizzazione in Svizzera. Il
caso si smonta, forse perché non regge, forse perché non è
stato gestito bene, forse perché in fondo è meglio così per
tutti. Però c’è qualcuno che non ha dimenticato. È il caso
di Giulio Manfredi, militante radicale e autore del libro
“Telekom Serbia: Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”,
pubblicato nel 2003 da Stampa Alternativa. Manfredi è di
fatto l’unico individuo kafkianamente imputato per questioni
relative a Telekom Serbia, in quanto querelato a causa dei
suoi studi sul caso. Il 9 giugno 2007 cade il decimo
anniversario di quella discussa e discutibile acquisizione e
l’occasione è stata buona per ripresentare il libro nel
corso di una conferenza stampa svoltasi nella sede dei
Radicali italiani, presenti Rita Bernardini, Daniele
Capezzone, Bruno Mellano, Giuseppe Rossodivita.
Particolarmente significativo l’intervento di Daniele
Capezzone, ex segretario radicale e presidente della
commissione Attività produttive della Camera: “Non si tratta
di una storia di tangenti, né il problema è la richiesta di
dimissioni di questo o quel politico. La questione è tutta
politica. Vorrei porre una domanda a quattro o cinque
personaggi politici: a Romano Prodi (e non mi pare si tratti
di un caso di omonimia), Lambero Dini, Piero Fassino, Carlo
Azeglio Ciampi, Enrico Micheli. La domanda è la seguente:
come mai un paese occidentale ha deciso di regalare tanto
denaro all’uomo della pulizia etnica, dello stupro etnico e
dei treni piombati?”. Altra bella domanda, non c’è dubbio.
Come è interessante anche il dubbio di Rita Bernardini,
attuale segretario radicale, che si chiede come mai “tutti i
grandi giornali parlano di costi della politica, di crisi
del sistema ma nessuno ha portato avanti la questione di
Telekom Serbia. In fondo l’accusa è quella di aver
foraggiato un criminale”.
È lo
stesso Manfredi, autore del libro, a concludere la
conferenza stampa: “Nel 2002, sette anni dopo la strage di
Srebenica, il governo olandese si dimise perché vennero
provate le sue responsabilità, seppur oggettive, relative a
quell’episodio. Ebbene, dopo dieci anni dall’affaire Telekom
Serbia noi non chiediamo dimissioni ma solo un’onesta
assunzione di responsabilità”.
(c)
Ideazione.com (2006)
Home
Page
Rivista | In
edicola | Arretrati
| Editoriali
| Feuilleton
| La biblioteca
di Babele | Ideazione
Daily
Emporion | Ultimo
numero | Arretrati
Fondazione | Home
Page | Osservatorio
sul Mezzogiorno | Osservatorio
sull'Energia | Convegni
| Libri
Network | Italiano
| Internazionale
Redazione | Chi
siamo | Contatti
| Abbonamenti|
L'archivio
di Ideazione.com 2001-2006