I mercati non
hanno premiato lunedì 21 maggio la maxi-fusione tra Unicredito e
Capitalia: i titoli della prima hanno segnato un ribasso del 2,68
per cento e quelli della seconda dell’1,76 per cento: una flessione
contenuta e verosimilmente di breve periodo. In marcata
controtendenza, tuttavia, rispetto alla aspettative segnate nei
giorni scorsi, specialmente domenica 20 maggio quando è stata
annunciata la nascita di quello che sarà il secondo maggior gruppo
bancario dell’Ue dopo la Hsbc. Sotto il profilo strettamente
finanziario, il nuovo istituto avrà il primato del mercato
creditizio italiano, ma è concepito come una vasta banca universale
internazionale; nel suo ambito si troveranno tutti i comparti (dallo
sportello per le operazioni al dettaglio alla banca d’affari). Con
40 milioni di clienti dall’Italia alla Russia, cinquemila sportelli
in Italia ed un totale di 92mila nel mondo ha una rete capillare per
depositi e gestione del risparmio. La sua nascita (che verrà
ufficializzata dopo le assemblee societarie in programma questa
estate) porta, da un lato, a compimento il processo di
consolidamento del frammentato sistema creditizio italiano iniziato
nei primi anni Novanta, in parallelo con il percorso per la
partecipazione dell’Italia all’unione monetaria europea; da un
altro, crea in Italia una primaria banca internazionale, nella cui
sede centrala la lingua di lavoro sarà l’inglese (come lo è già a
Unicredit dopo l’acquisizione del tedesco Hvb Group un anno e mezzo
fa) e le mail dei cui dipendenti appartengono al dominio “eu” non a
quello “it”.
Sotto il profilo degli equilibri politici, il nuovo istituto si pone come concorrente dell’Intesa-San Paolo, un’operazione su cui ha aleggiato, ed aleggia, un forte odore prodiano dati i legati tra il presidente del Consiglio in carica ed il professor Giovanni Batoli, stratega ed architetto dell’operazione portata a compimento alcuni mesi fa. Il nuovo istituto (se, come tutti ritengono, otterrà il via libera dalle assemblee) si presenta come una novità di grande rilievo e in Italia e in Europa. In Italia (oltre a completare il processo di consolidamento) comporta una diminuzione del ruolo sostanziale di MedioBanca (ormai non più al centro del sistema delle banche d’affari). In Italia ed in Europa pone problematiche nuove in tema di governance del sistema e, soprattutto, di vigilanza: ormai gli istituti di vigilanza nazionali appartengono al passato (e con essi le polemiche recenti tra la Banca d’Italia e l’Antitrust su chi-è-competente-per-cosa) ma non si vede ancora il profilarsi di un sistema di vigilanza europea, sempre che non si voglia puntare sulle prassi mercantili di autoregolazione e controllo reciproco, con interventi sporadici della Banca dei regolamenti internazionali e delle istituzione comunitarie.
Sono queste problematiche nuove (e per molti giunte quasi all’improvviso) che spiegano in parte come, nonostante le aspettative positive degli analisti, la Borsa non abbia premiato immediatamente la fusione. Si aggiungono due altri temi che andranno seguiti con attenzione nei prossimi mesi: la difficoltà oggettiva di fondere due “culture organizzative” molto differenti come quella molto romana e meridionale di Capitalia (e del Banco di Sicilia) e quella milanese-bavarese di Unicredit; lo scetticismo sulla capacità di governarne un istituto così ampio e diversificato con una rete mondiale di novemila e ducento sportelli. Il management ha l’onere (fatti alla mano) di dimostrare di essere all’altezza.
(c)
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