Istanbul, è di scena la laicità
di Alessandro Marrone
[15 mag 07]


Secondo l'International Herald Tribune erano un milione e mezzo i turchi riunitisi domenica 13 maggio a Izmir, città portuale turca affacciata sull'Egeo, ricoprendo interamente la spiaggia di bandiere nazionali bianche e rosse. Anche le navi ancorate nella baia traboccavano manifestanti: il Tribune riporta che una fonte militare stimava in duecentomila le persone arrivate solo coi traghetti. Al grido di “No sharia, no golpe: Turchia democratica” la folla chiamata a raccolta dall'opposizione laica e nazionalista al governo Erdogan voleva riaffermare il carattere secolare dello stato turco, ereditato dalla rivoluzione del “padre dei turchi” Mustafà Kemal, e al tempo stesso invitare le forze armate ad astenersi da atti di forza contro il governo islamista di Tayyp Erdogan. La manifestazione seguiva quella del 29 aprile che ha riunito ad Istanbul un milione di persone, e quella di Ankara del 17 che ne ha raccolto mezzo milione: si può parlare quindi di una mobilitazione prolungata di un importante segmento della società turca, che nelle ultime settimane ha visto aumentare progressivamente il numero di cittadini pronti a manifestare in diverse città del paese.

Lo scopo prioritario delle tre manifestazioni è mettere sotto pressione il premier Tayyp Erdogan, il cui partito islamista “Giustizia e Sviluppo” detiene la maggioranza assoluta dei seggi nel parlamento turco. Il governo Erdogan da un lato ha compiuto un’importante opera di modernizzazione della legislazione turca per raggiungere gli standard necessari ad aprire, nell’ottobre del 2005, i negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea; dall’altro è comunque erede dei partiti islamisti sciolti a più riprese dai militari turchi nei decenni scorsi, ed ha perciò mostrato una maggiore sensibilità verso le istanze della parte più religiosa del paese. Ad aprile è scaduto il mandato del presidente della Repubblica, il kemalista Sezer, il cui rinnovo avviene per via parlamentare con la maggioranza dei due terzi dei voti al primo scrutinio, e con la maggioranza assoluta dal terzo in poi. La possibilità della candidatura di Erdogan ad una carica dal grande valore simbolico ha dato inizio alla mobilitazione dell’opposizione nazionalista e laica, all’inizio con il discreto appoggio delle forze armate, da sempre custodi dell’impianto secolare kemalista dello Stato turco. Di fronte a tale fermento, a fine aprile Erdogan ha candidato alla presidenza il suo ministro degli Esteri Abdullah Gul, sperando che il suo profilo più “europeo” bastasse a garantire anche l’opposizione: invece la sua elezione è stata boicottata in Parlamento non raggiungendo il quorum nei primi due scrutini, la Corte Costituzionale ha dato ragione all’opposizione, le manifestazioni di piazza sono continuate, e il capo di Stato maggiore Buyukanit ha minacciosamente dichiarato che “le forze armate turche sono una parte in questo dibattito e sono protettrici determinanti della laicità dello Stato”, e sono pronte a “rendere pubblica la loro posizione e i loro atteggiamenti quando sarà necessario”.

Per risolvere il pericoloso stallo politico il Parlamento ha deciso all’unanimità di anticipare le elezioni legislative al 22 luglio. Come previsto dalla Costituzione, quindi, i ministri di Interno, Giustizia e Trasporti del governo in carica si sono dimessi per essere sostituiti da figure di garanzia per maggioranza ed opposizione. In questo clima molto delicato, il partito Giustizia e Sviluppo ha ritirato la candidatura di Gul alla presidenza, ma sta approvando per via parlamentare una riforma costituzionale che prevede che il presidente della Repubblica sia eletto direttamente dal popolo. Tale riforma è fortemente avversata dalle forze armate e dall’opposizione, e probabilmente il presidente in carica Sezer porrà il suo veto alla legge. Intanto nuovi scrutini per eleggere il presidente della Repubblica sono fissati per il 24 giugno, e in vista di tale appuntamento l’opposizione laica si è data appuntamento per il 20 maggio a Samsun, sperando di ripetere il grande successo delle tre precedenti manifestazioni. Il braccio di ferro sembra continuare, ma rimane ancora sul terreno della politica e nell’alveo della legalità: per fortuna, o più probabilmente perché tutti sanno che le forze armate sono attori politici da non sottovalutare.

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