Sarkozy convince i francesi. È lui il dopo-Chirac
di Pierluigi Mennitti
[07 mag 07]


Ha messo molta carne al fuoco, forse anche troppa Nicolas Sarkozy nel suo discorso d’investitura di fronte ai suoi sostenitori ebbri di gioia per la vittoria appena conquistata. Commosso ma passionale come sempre, il nuovo presidente della Repubblica francese ha voluto sottolineare con un discorso chiaro una vittoria altrettanto chiara: la vittoria della rottura con il passato più recente. Sarkozy ce l’ha fatta. Ha raggiunto l’obiettivo a lungo inseguito, quell’obiettivo per il quale ha lavorato instancabilmente negli ultimi anni, superando tutti gli ostacoli che gli si frapponevano, a cominciare da quelli interni al suo stesso partito. Ed è nei silenzi del suo primo discorso che vanno individuate le novità che verranno nei prossimi mesi. Il silenzio verso il suo predecessore, Jacques Chirac, ancora formalmente in carica per una decina di giorni, al quale il successore non ha concesso l’onore delle armi. Perché Sarkozy ha vinto di certo contro la candidata socialista Ségolène Royal, ma ha vinto prima di tutto contro Chirac, contro una Francia invecchiata e imbalsamata che ha perduto ruolo e funzione negli ultimi anni.

È qui, prima ancora che nelle parole d’ordine della destra più tradizionale, la vittoria di Sarkozy. Certo, l’orgoglio tricolore. Certo, l’identità nazionale. Certo, la sicurezza. Ma quello che alla fine ha portato Sarkozy all’Eliseo è la voglia dei francesi di giocarsi a viso aperto quelle sfide globali – economiche, politiche, sociali – che il clan di Chirac aveva presuntuosamente eluso, chiudendo il paese in una spirale velleitaria e sempre più marginale. È stato un discorso di apertura, quello del nuovo presidente, che sicuramente ha sorpreso quanti sono legati al cliché dell’uomo d’ordine, a destra come a sinistra. Apertura politica verso l’opposizione. Apertura sociale verso tutti i francesi. Apertura economica verso il liberalismo e il merito. Apertura internazionale verso l’Europa e il Mediterraneo. Apertura verso temi come l’ecologia e la tutela dei deboli. Temi che non sono patrimonio di tutta la destra occidentale, perché non tutta la destra occidentale riesce a fare i conti con la modernità. Coloro che la rifiutano, ripiegando su soluzioni di chiusura e di paura, avranno qualche difficoltà a percepire la novità, inattesa e sorprendente, che la Francia ha offerto in questa campagna elettorale.

Sarkozy appare uomo del fare. Concreto e post-ideologico, deciso a segnare fin da subito la rottura tanto declamata con il passato. Non è tuttavia un populista ma un politico navigato che conosce gli strumenti della decisione e del compromesso. E’ assai più duttile di quanto non sia apparso in campagna elettorale. Ha tutte le carte per inserirsi in quella schiera di innovatori rintracciabili nelle migliori esperienze della recente tradizione europea, a destra come a sinistra, da Aznar a Blair alla Merkel. Ha anche attirato su di sé aspettative enormi, che non sarà facile soddisfare tutte, fin da subito. Avrà lo stimolo di un’oppositrice che si annuncia agguerrita, come Ségolène Royal, la quale dovrà però prima di tutto consolidare la propria affermazione personale rispetto agli elefanti del suo partito, già presentatisi a pochi minuti dal dato elettorale a pretendere una resa dei conti. E dovrà confrontarsi con l’incognita di un terzismo che non regge la sfida bipolare ma può diventare insidioso nelle prossime elezioni legislative. Sarkozy deve nominare il nuovo governo. E poi andare alle elezioni legislative per confermare la prevedibile luna di miele con gli elettori. L’agenda è impegnativa fin da subito. Per rilanciare un grande paese come la Francia non sono permesse pause di riflessione.

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