Nel 1994 fu il centrodestra a imporre le novità
politiche che sconvolsero il panorama partitico
italiano: Forza Italia, il suo ruolo di cerniera, le
alleanze con la Lega al nord e il Msi al sud, i poli
delle libertà e del buongoverno, il leader
carismatico, Silvio Berlusconi. Effetto a catena
della caduta del muro di Berlino, del crollo
dell’ideologia comunista, dello scongelamento degli
equilibri politici e culturali nati con la fine
della seconda guerra mondiale. Si apriva, anche per
l’Italia, una nuova stagione politica che avrebbe
avuto nella personalizzazione della leadership, nel
bipolarismo, nel sistema maggioritario i suoi punti
cardine. O di qua o di là, come recitava una
trasmissione televisiva di quegli anni, l’Italia si
spaccava in due ma il centrodestra aveva una marcia
in più, l’iniziativa politica, le idee dirompenti,
il leader. La destra vincente e moderna, la sinistra
a inseguire, a danzare sulle macerie del vecchio in
una lunga marcia nel deserto della ricostruzione.
Oggi, invece, è il centrosinistra che prova a
prendere l’iniziativa, a sparigliare, a inventarsi
quella iniziativa sorprendente che rimetta in gioco
il sistema politico incartato. Questa mossa è il
partito democratico.
La scelta sofferta dei
Ds di appendere al chiodo la ingloriosa storia del
post-comunismo, quella più leggera della Margherita
di porre fine alla transizione partitica di piccoli
gruppi centristi e la decisione di entrambi di
confluire in un più ampio rassemblement
progressista, vorrebbe essere – appunto – la mossa
vincente. Niente più socialismo, niente più
centrismo post-democristiano ma una nuova casa che
dovrebbe guardare al futuro, abbracciando la
tradizione democratica americana e, di fatto,
ripudiando quella socialista di stampo più europeo.
Il nuovo partito porta in eredità l’intuizione delle
primarie per la scelta del leader, che da episodio
un po’ surreale e scontato in occasione della scelta
di Romano Prodi candidato premier alle ultime
elezioni, si promette di far diventare una vera
competizione interna, proprio come negli Usa. Alcuni
osservatori l’hanno chiamato “il partito americano”,
cogliendone allo stesso tempo le novità e le
debolezze.
Si dice che se questa
operazione avrà successo anche il centrodestra dovrà
muoversi nella stessa direzione, dare vita a un
partito unico o, almeno, a una federazione che
stringa le alleanze ancor di più. Insomma, dovrà
inseguire, che in politica non è mai una buona cosa.
Ma la sfida del partito democratico, per quanto
intrigante, resta ancora tutta da giocare. I dubbi
di Mussi sono più che legittimi. Noi li abbiamo
ascoltati al congresso di Firenze, li abbiamo
insomma valutati al di là delle lacrime e delle
commozioni per uno strappo politico e umano. E ci
chiediamo se davvero la via americana – che a
sinistra è la via democratica – sia la scelta giusta
per la sinistra italiana. Nel resto dell’Europa,
l’opzione socialista e socialdemocratica appaga
appieno le prospettive del mondo progressista e si
riallaccia perfettamente a ideologie e storie
politiche che appartengono alla tradizione del
nostro continente. A seguire i primi dibattiti,
specie nell’area della ex(?) Margherita, sembra che
il progetto in fondo sia di creare un grande
corpaccione centrista, con un po’ di progressismo,
giusto per non lasciarsi troppo scoperti a sinistra.
Già la chiamano la Balena rosa.
Sarebbe un’altra cosa
rispetto allo schema bipolare che si dice di voler
rafforzare. Non è detto che sia una buona cosa per
il paese, per la sua voglia di alternative, per le
necessità di una competizione che ci attendiamo
comunque più serena e meno rabbiosa di quella degli
ultimi anni. E tuttavia non c’è dubbio che il
centrosinistra abbia ripreso in pieno l’iniziativa
politica. E, di conseguenza, che il centrodestra se
la sia fatta sfilare. Quando si mettono i motori in
stallo, in attesa di eventi che non ci saranno;
quando si procrastinano le scelte che i tempi
impongono; quando si deprimono gli staff; quando i
luoghi che producono idee si lasciano allo sbando;
quando succede questo e tanto altro, non è difficile
poi accorgersi che non ci si fa nulla con due
milioni di cittadini in piazza o con i bollettini
quotidiani di sondaggi trionfali.
(c)
Ideazione.com (2006)
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