













































































 Vargas Llosa, uno 
	scrittore prestato alla politica
 
    Vargas Llosa, uno 
	scrittore prestato alla politica “La mia partecipazione alla vita 
			politica sembrerebbe tratta dalla trama di un romanzo. In realtà non 
			ho mai pensato di fare il politico di professione, anche se mi sono 
			sempre interessato alla vita pubblica. Lo sono sempre stato dal 
			punto di vista intellettuale, da scrittore. Non ho mai pensato di 
			candidarmi. Nel 1987 il presidente annunciò la decisione di 
			nazionalizzare tutto il sistema finanziario: banche, assicurazioni, 
			società finanziarie. Questa riforma avrebbe lasciato nelle mani del 
			governo un potere economico tale da porre fine alla democrazia nel 
			nostro paese. Il nostro sistema politico è ancora precario e 
			fragile, non sarebbe sopravvissuto a un governo in possesso di tutta 
			l’economia. Dobbiamo pensare che da noi, come negli altri paesi in 
			via di sviluppo, il governo è lo Stato. Il governo tratta 
			l’economia nazionale come una sua proprietà e con le banche nelle 
			sue mani la nostra libertà sarebbe finita. Per di più, il presidente 
			avrebbe avuto anche buon gioco: tutti odiano i bancari, vedendoli 
			come il simbolo dello sfruttamento e del capitalismo più bieco. Chi 
			mai si sarebbe opposto? Per principio, scrissi un manifesto contro 
			la nazionalizzazione, firmato da un centinaio di personalità del 
			paese. Sono rimasto sorpreso nel vedere che a scendere in piazza 
			furono soprattutto gli impiegati, i lavoratori delle società 
			minacciate di nazionalizzazione. Non certo i padroni, che invece 
			cercarono di negoziare con il governo per ottenere le migliori 
			condizioni possibili dopo la nazionalizzazione”.
 
      “La mia partecipazione alla vita 
			politica sembrerebbe tratta dalla trama di un romanzo. In realtà non 
			ho mai pensato di fare il politico di professione, anche se mi sono 
			sempre interessato alla vita pubblica. Lo sono sempre stato dal 
			punto di vista intellettuale, da scrittore. Non ho mai pensato di 
			candidarmi. Nel 1987 il presidente annunciò la decisione di 
			nazionalizzare tutto il sistema finanziario: banche, assicurazioni, 
			società finanziarie. Questa riforma avrebbe lasciato nelle mani del 
			governo un potere economico tale da porre fine alla democrazia nel 
			nostro paese. Il nostro sistema politico è ancora precario e 
			fragile, non sarebbe sopravvissuto a un governo in possesso di tutta 
			l’economia. Dobbiamo pensare che da noi, come negli altri paesi in 
			via di sviluppo, il governo è lo Stato. Il governo tratta 
			l’economia nazionale come una sua proprietà e con le banche nelle 
			sue mani la nostra libertà sarebbe finita. Per di più, il presidente 
			avrebbe avuto anche buon gioco: tutti odiano i bancari, vedendoli 
			come il simbolo dello sfruttamento e del capitalismo più bieco. Chi 
			mai si sarebbe opposto? Per principio, scrissi un manifesto contro 
			la nazionalizzazione, firmato da un centinaio di personalità del 
			paese. Sono rimasto sorpreso nel vedere che a scendere in piazza 
			furono soprattutto gli impiegati, i lavoratori delle società 
			minacciate di nazionalizzazione. Non certo i padroni, che invece 
			cercarono di negoziare con il governo per ottenere le migliori 
			condizioni possibili dopo la nazionalizzazione”. 
 Ricorda qualcosa? Non sembra che si 
			stia parlando dell’Italia? Invece: il paese in questione (abbiamo 
			rimosso il nome apposta nelle citazioni) è il Perù del 1987. Chi 
			parla è il celebre scrittore liberale Mario Vargas Llosa, che 
			abbiamo avuto occasione di sentire a Milano in una “Fastweb Lecture” 
			(sponsorizzata dalla compagnia di telecomunicazioni) dell’Istituto 
			Bruno Leoni. La sua esperienza politica è particolare quanto 
			significativa per il nostro paese in cerca di soluzioni. Vargas 
			Llosa era una figura completamente estranea alla politica. In 
			passato fu marxista e favorevole alla rivoluzione cubana. Poi cambiò 
			idea, perché vide a Cuba che cosa era il socialismo reale, 
			l’economia al collasso, la persecuzione dei dissidenti politici e 
			degli omosessuali, anche di coloro che avevano fatto la rivoluzione 
			nel 1959. Lo scrittore non si sarebbe mai aspettato un successo di 
			piazza. Eppure: “Abbiamo riempito Plaza San Martin nel cuore della 
			capitale, abbiamo esteso le nostre manifestazioni nelle province, in 
			tutte le città, anche le più lontane dalla capitale. Abbiamo visto 
			che in Perù c’era un clima favorevole alle riforme liberali che io 
			difendevo da anni, con i miei articoli, nei dibattiti pubblici. Fu 
			un’esperienza straordinaria e istruttiva. Un conto è studiare la 
			politica in una biblioteca, un altro è vivere una campagna in mezzo 
			alla gente in una situazione di estrema violenza”. Si persero le 
			elezioni, ma il paese cambiò. Oggi in Perù nessun presidente propone 
			più politiche di nazionalizzazione.
 
      Ricorda qualcosa? Non sembra che si 
			stia parlando dell’Italia? Invece: il paese in questione (abbiamo 
			rimosso il nome apposta nelle citazioni) è il Perù del 1987. Chi 
			parla è il celebre scrittore liberale Mario Vargas Llosa, che 
			abbiamo avuto occasione di sentire a Milano in una “Fastweb Lecture” 
			(sponsorizzata dalla compagnia di telecomunicazioni) dell’Istituto 
			Bruno Leoni. La sua esperienza politica è particolare quanto 
			significativa per il nostro paese in cerca di soluzioni. Vargas 
			Llosa era una figura completamente estranea alla politica. In 
			passato fu marxista e favorevole alla rivoluzione cubana. Poi cambiò 
			idea, perché vide a Cuba che cosa era il socialismo reale, 
			l’economia al collasso, la persecuzione dei dissidenti politici e 
			degli omosessuali, anche di coloro che avevano fatto la rivoluzione 
			nel 1959. Lo scrittore non si sarebbe mai aspettato un successo di 
			piazza. Eppure: “Abbiamo riempito Plaza San Martin nel cuore della 
			capitale, abbiamo esteso le nostre manifestazioni nelle province, in 
			tutte le città, anche le più lontane dalla capitale. Abbiamo visto 
			che in Perù c’era un clima favorevole alle riforme liberali che io 
			difendevo da anni, con i miei articoli, nei dibattiti pubblici. Fu 
			un’esperienza straordinaria e istruttiva. Un conto è studiare la 
			politica in una biblioteca, un altro è vivere una campagna in mezzo 
			alla gente in una situazione di estrema violenza”. Si persero le 
			elezioni, ma il paese cambiò. Oggi in Perù nessun presidente propone 
			più politiche di nazionalizzazione.
 La lezione di Mario Vargas Llosa è 
			triplice per chiunque voglia promuovere il liberalismo: avere 
			passione culturale, esprimere chiaramente le idee del liberalismo, 
			dialogare direttamente con il popolo saltando i poteri forti. 
			Passione per la libertà: Vargas Llosa passò dal comunismo al 
			liberalismo non solo perché vide e toccò con mano i crimini 
			comunisti (cambiò idea definitivamente nel 1968, dopo l’invasione 
			sovietica della Cecoslovacchia, approvata da Fidel Castro e 
			dall’intellighenzia marxista dell’America Latina), ma anche perché 
			respinse l’idea di un’utopia comunista: “Il problema sorge quando 
			vogliamo creare delle utopie collettive, quando intendiamo costruire 
			una società perfetta per tutti. Questo è impossibile, perché ogni 
			essere umano è diverso dagli altri. Ciò che può far sognare una 
			persona, per un’altra è disgustoso. Nella storia, molti partiti 
			hanno cercato di creare delle utopie collettiviste. Per tutti il 
			risultato è stato sempre la violenza più atroce, lo sterminio, la 
			discriminazione. L’utopia positiva è solo individuale. Un individuo 
			può creare un sistema perfetto per se stesso, senza fare del male a 
			nessuno”.
 
      La lezione di Mario Vargas Llosa è 
			triplice per chiunque voglia promuovere il liberalismo: avere 
			passione culturale, esprimere chiaramente le idee del liberalismo, 
			dialogare direttamente con il popolo saltando i poteri forti. 
			Passione per la libertà: Vargas Llosa passò dal comunismo al 
			liberalismo non solo perché vide e toccò con mano i crimini 
			comunisti (cambiò idea definitivamente nel 1968, dopo l’invasione 
			sovietica della Cecoslovacchia, approvata da Fidel Castro e 
			dall’intellighenzia marxista dell’America Latina), ma anche perché 
			respinse l’idea di un’utopia comunista: “Il problema sorge quando 
			vogliamo creare delle utopie collettive, quando intendiamo costruire 
			una società perfetta per tutti. Questo è impossibile, perché ogni 
			essere umano è diverso dagli altri. Ciò che può far sognare una 
			persona, per un’altra è disgustoso. Nella storia, molti partiti 
			hanno cercato di creare delle utopie collettiviste. Per tutti il 
			risultato è stato sempre la violenza più atroce, lo sterminio, la 
			discriminazione. L’utopia positiva è solo individuale. Un individuo 
			può creare un sistema perfetto per se stesso, senza fare del male a 
			nessuno”.
 È importante esprimere chiaramente le 
			idee del liberalismo: “Nonostante abbiamo perso le elezioni, le idee 
			che abbiamo sempre promosso hanno messo radici in Perù. E’ curioso 
			che oggi nessuno parli di nazionalizzazioni. In un momento in cui 
			sembrava che lo Stato mettesse le mani sui risparmi dei suoi 
			cittadini, fu lo stesso presidente (lo stesso che voleva la 
			nazionalizzazione) a porre il veto e ad assicurare a tutti che mai 
			avrebbe violato la proprietà privata. Abbiamo provocato un 
			cambiamento politico e culturale molto interessante”. Dialogare 
			direttamente con il popolo, saltando i poteri forti: la “massa” non 
			è sempre totalitaria, come vuole certa letteratura conservatrice. 
			Gli interessi del comune impiegato, dell’uomo della strada, possono 
			coincidere con quelli della libertà individuale. Ricorda Vargas 
			Llosa: “I lavoratori pensarono: finirà la nostra sicurezza, 
			dipenderemo dal potere politico, saremo soggetti a tutte le 
			giravolte politiche possibili e immaginabili e tutto ciò sarà 
			spaventoso perché saremo il nuovo bottino di ogni governo 
			successivo”. E’ dunque la gente semplice che rischia di più in un 
			regime di statalismo, non i grandi imprenditori, né gli alti 
			funzionari, in grado di cadere sempre in piedi in qualsiasi 
			circostanza.
 
      È importante esprimere chiaramente le 
			idee del liberalismo: “Nonostante abbiamo perso le elezioni, le idee 
			che abbiamo sempre promosso hanno messo radici in Perù. E’ curioso 
			che oggi nessuno parli di nazionalizzazioni. In un momento in cui 
			sembrava che lo Stato mettesse le mani sui risparmi dei suoi 
			cittadini, fu lo stesso presidente (lo stesso che voleva la 
			nazionalizzazione) a porre il veto e ad assicurare a tutti che mai 
			avrebbe violato la proprietà privata. Abbiamo provocato un 
			cambiamento politico e culturale molto interessante”. Dialogare 
			direttamente con il popolo, saltando i poteri forti: la “massa” non 
			è sempre totalitaria, come vuole certa letteratura conservatrice. 
			Gli interessi del comune impiegato, dell’uomo della strada, possono 
			coincidere con quelli della libertà individuale. Ricorda Vargas 
			Llosa: “I lavoratori pensarono: finirà la nostra sicurezza, 
			dipenderemo dal potere politico, saremo soggetti a tutte le 
			giravolte politiche possibili e immaginabili e tutto ciò sarà 
			spaventoso perché saremo il nuovo bottino di ogni governo 
			successivo”. E’ dunque la gente semplice che rischia di più in un 
			regime di statalismo, non i grandi imprenditori, né gli alti 
			funzionari, in grado di cadere sempre in piedi in qualsiasi 
			circostanza.

(c) 
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