“La mia partecipazione alla vita
politica sembrerebbe tratta dalla trama di un romanzo. In realtà non
ho mai pensato di fare il politico di professione, anche se mi sono
sempre interessato alla vita pubblica. Lo sono sempre stato dal
punto di vista intellettuale, da scrittore. Non ho mai pensato di
candidarmi. Nel 1987 il presidente annunciò la decisione di
nazionalizzare tutto il sistema finanziario: banche, assicurazioni,
società finanziarie. Questa riforma avrebbe lasciato nelle mani del
governo un potere economico tale da porre fine alla democrazia nel
nostro paese. Il nostro sistema politico è ancora precario e
fragile, non sarebbe sopravvissuto a un governo in possesso di tutta
l’economia. Dobbiamo pensare che da noi, come negli altri paesi in
via di sviluppo, il governo è lo Stato. Il governo tratta
l’economia nazionale come una sua proprietà e con le banche nelle
sue mani la nostra libertà sarebbe finita. Per di più, il presidente
avrebbe avuto anche buon gioco: tutti odiano i bancari, vedendoli
come il simbolo dello sfruttamento e del capitalismo più bieco. Chi
mai si sarebbe opposto? Per principio, scrissi un manifesto contro
la nazionalizzazione, firmato da un centinaio di personalità del
paese. Sono rimasto sorpreso nel vedere che a scendere in piazza
furono soprattutto gli impiegati, i lavoratori delle società
minacciate di nazionalizzazione. Non certo i padroni, che invece
cercarono di negoziare con il governo per ottenere le migliori
condizioni possibili dopo la nazionalizzazione”.
Ricorda qualcosa? Non sembra che si
stia parlando dell’Italia? Invece: il paese in questione (abbiamo
rimosso il nome apposta nelle citazioni) è il Perù del 1987. Chi
parla è il celebre scrittore liberale Mario Vargas Llosa, che
abbiamo avuto occasione di sentire a Milano in una “Fastweb Lecture”
(sponsorizzata dalla compagnia di telecomunicazioni) dell’Istituto
Bruno Leoni. La sua esperienza politica è particolare quanto
significativa per il nostro paese in cerca di soluzioni. Vargas
Llosa era una figura completamente estranea alla politica. In
passato fu marxista e favorevole alla rivoluzione cubana. Poi cambiò
idea, perché vide a Cuba che cosa era il socialismo reale,
l’economia al collasso, la persecuzione dei dissidenti politici e
degli omosessuali, anche di coloro che avevano fatto la rivoluzione
nel 1959. Lo scrittore non si sarebbe mai aspettato un successo di
piazza. Eppure: “Abbiamo riempito Plaza San Martin nel cuore della
capitale, abbiamo esteso le nostre manifestazioni nelle province, in
tutte le città, anche le più lontane dalla capitale. Abbiamo visto
che in Perù c’era un clima favorevole alle riforme liberali che io
difendevo da anni, con i miei articoli, nei dibattiti pubblici. Fu
un’esperienza straordinaria e istruttiva. Un conto è studiare la
politica in una biblioteca, un altro è vivere una campagna in mezzo
alla gente in una situazione di estrema violenza”. Si persero le
elezioni, ma il paese cambiò. Oggi in Perù nessun presidente propone
più politiche di nazionalizzazione.
La lezione di Mario Vargas Llosa è
triplice per chiunque voglia promuovere il liberalismo: avere
passione culturale, esprimere chiaramente le idee del liberalismo,
dialogare direttamente con il popolo saltando i poteri forti.
Passione per la libertà: Vargas Llosa passò dal comunismo al
liberalismo non solo perché vide e toccò con mano i crimini
comunisti (cambiò idea definitivamente nel 1968, dopo l’invasione
sovietica della Cecoslovacchia, approvata da Fidel Castro e
dall’intellighenzia marxista dell’America Latina), ma anche perché
respinse l’idea di un’utopia comunista: “Il problema sorge quando
vogliamo creare delle utopie collettive, quando intendiamo costruire
una società perfetta per tutti. Questo è impossibile, perché ogni
essere umano è diverso dagli altri. Ciò che può far sognare una
persona, per un’altra è disgustoso. Nella storia, molti partiti
hanno cercato di creare delle utopie collettiviste. Per tutti il
risultato è stato sempre la violenza più atroce, lo sterminio, la
discriminazione. L’utopia positiva è solo individuale. Un individuo
può creare un sistema perfetto per se stesso, senza fare del male a
nessuno”.
È importante esprimere chiaramente le
idee del liberalismo: “Nonostante abbiamo perso le elezioni, le idee
che abbiamo sempre promosso hanno messo radici in Perù. E’ curioso
che oggi nessuno parli di nazionalizzazioni. In un momento in cui
sembrava che lo Stato mettesse le mani sui risparmi dei suoi
cittadini, fu lo stesso presidente (lo stesso che voleva la
nazionalizzazione) a porre il veto e ad assicurare a tutti che mai
avrebbe violato la proprietà privata. Abbiamo provocato un
cambiamento politico e culturale molto interessante”. Dialogare
direttamente con il popolo, saltando i poteri forti: la “massa” non
è sempre totalitaria, come vuole certa letteratura conservatrice.
Gli interessi del comune impiegato, dell’uomo della strada, possono
coincidere con quelli della libertà individuale. Ricorda Vargas
Llosa: “I lavoratori pensarono: finirà la nostra sicurezza,
dipenderemo dal potere politico, saremo soggetti a tutte le
giravolte politiche possibili e immaginabili e tutto ciò sarà
spaventoso perché saremo il nuovo bottino di ogni governo
successivo”. E’ dunque la gente semplice che rischia di più in un
regime di statalismo, non i grandi imprenditori, né gli alti
funzionari, in grado di cadere sempre in piedi in qualsiasi
circostanza.
(c)
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