Vargas Llosa, uno scrittore prestato alla politica
di Stefano Magni
[11 apr 07]

“La mia partecipazione alla vita politica sembrerebbe tratta dalla trama di un romanzo. In realtà non ho mai pensato di fare il politico di professione, anche se mi sono sempre interessato alla vita pubblica. Lo sono sempre stato dal punto di vista intellettuale, da scrittore. Non ho mai pensato di candidarmi. Nel 1987 il presidente annunciò la decisione di nazionalizzare tutto il sistema finanziario: banche, assicurazioni, società finanziarie. Questa riforma avrebbe lasciato nelle mani del governo un potere economico tale da porre fine alla democrazia nel nostro paese. Il nostro sistema politico è ancora precario e fragile, non sarebbe sopravvissuto a un governo in possesso di tutta l’economia. Dobbiamo pensare che da noi, come negli altri paesi in via di sviluppo, il governo è lo Stato. Il governo tratta l’economia nazionale come una sua proprietà e con le banche nelle sue mani la nostra libertà sarebbe finita. Per di più, il presidente avrebbe avuto anche buon gioco: tutti odiano i bancari, vedendoli come il simbolo dello sfruttamento e del capitalismo più bieco. Chi mai si sarebbe opposto? Per principio, scrissi un manifesto contro la nazionalizzazione, firmato da un centinaio di personalità del paese. Sono rimasto sorpreso nel vedere che a scendere in piazza furono soprattutto gli impiegati, i lavoratori delle società minacciate di nazionalizzazione. Non certo i padroni, che invece cercarono di negoziare con il governo per ottenere le migliori condizioni possibili dopo la nazionalizzazione”.

Ricorda qualcosa? Non sembra che si stia parlando dell’Italia? Invece: il paese in questione (abbiamo rimosso il nome apposta nelle citazioni) è il Perù del 1987. Chi parla è il celebre scrittore liberale Mario Vargas Llosa, che abbiamo avuto occasione di sentire a Milano in una “Fastweb Lecture” (sponsorizzata dalla compagnia di telecomunicazioni) dell’Istituto Bruno Leoni. La sua esperienza politica è particolare quanto significativa per il nostro paese in cerca di soluzioni. Vargas Llosa era una figura completamente estranea alla politica. In passato fu marxista e favorevole alla rivoluzione cubana. Poi cambiò idea, perché vide a Cuba che cosa era il socialismo reale, l’economia al collasso, la persecuzione dei dissidenti politici e degli omosessuali, anche di coloro che avevano fatto la rivoluzione nel 1959. Lo scrittore non si sarebbe mai aspettato un successo di piazza. Eppure: “Abbiamo riempito Plaza San Martin nel cuore della capitale, abbiamo esteso le nostre manifestazioni nelle province, in tutte le città, anche le più lontane dalla capitale. Abbiamo visto che in Perù c’era un clima favorevole alle riforme liberali che io difendevo da anni, con i miei articoli, nei dibattiti pubblici. Fu un’esperienza straordinaria e istruttiva. Un conto è studiare la politica in una biblioteca, un altro è vivere una campagna in mezzo alla gente in una situazione di estrema violenza”. Si persero le elezioni, ma il paese cambiò. Oggi in Perù nessun presidente propone più politiche di nazionalizzazione.

La lezione di Mario Vargas Llosa è triplice per chiunque voglia promuovere il liberalismo: avere passione culturale, esprimere chiaramente le idee del liberalismo, dialogare direttamente con il popolo saltando i poteri forti. Passione per la libertà: Vargas Llosa passò dal comunismo al liberalismo non solo perché vide e toccò con mano i crimini comunisti (cambiò idea definitivamente nel 1968, dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, approvata da Fidel Castro e dall’intellighenzia marxista dell’America Latina), ma anche perché respinse l’idea di un’utopia comunista: “Il problema sorge quando vogliamo creare delle utopie collettive, quando intendiamo costruire una società perfetta per tutti. Questo è impossibile, perché ogni essere umano è diverso dagli altri. Ciò che può far sognare una persona, per un’altra è disgustoso. Nella storia, molti partiti hanno cercato di creare delle utopie collettiviste. Per tutti il risultato è stato sempre la violenza più atroce, lo sterminio, la discriminazione. L’utopia positiva è solo individuale. Un individuo può creare un sistema perfetto per se stesso, senza fare del male a nessuno”.

È importante esprimere chiaramente le idee del liberalismo: “Nonostante abbiamo perso le elezioni, le idee che abbiamo sempre promosso hanno messo radici in Perù. E’ curioso che oggi nessuno parli di nazionalizzazioni. In un momento in cui sembrava che lo Stato mettesse le mani sui risparmi dei suoi cittadini, fu lo stesso presidente (lo stesso che voleva la nazionalizzazione) a porre il veto e ad assicurare a tutti che mai avrebbe violato la proprietà privata. Abbiamo provocato un cambiamento politico e culturale molto interessante”. Dialogare direttamente con il popolo, saltando i poteri forti: la “massa” non è sempre totalitaria, come vuole certa letteratura conservatrice. Gli interessi del comune impiegato, dell’uomo della strada, possono coincidere con quelli della libertà individuale. Ricorda Vargas Llosa: “I lavoratori pensarono: finirà la nostra sicurezza, dipenderemo dal potere politico, saremo soggetti a tutte le giravolte politiche possibili e immaginabili e tutto ciò sarà spaventoso perché saremo il nuovo bottino di ogni governo successivo”. E’ dunque la gente semplice che rischia di più in un regime di statalismo, non i grandi imprenditori, né gli alti funzionari, in grado di cadere sempre in piedi in qualsiasi circostanza.

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