Iran, è l'ora delle sanzioni intelligenti
di Francesco Giumelli
[06 apr 07]

2. Effetti e controindicazioni delle misure economiche

La letteratura delle relazioni internazionali ha affrontato il tema delle sanzioni economiche da due diverse prospettive: se da un lato ha cercato di misurare l’efficacia delle sanzioni economiche, dall’altro ha definito le ragioni per le quali le sanzioni economiche vengono imposte. Andiamo per ordine. L’opinione diffusa è che le sanzioni economiche non siano efficaci. Il primo studio importante sul tema riguarda il primo caso di sanzioni economiche decise dalle Nazioni Unite contro il governo di Ian Smith in Rodesia (Zimbabwe) nel 1965. L’esito dello studio è una sentenza inappellabile: le sanzioni non funzionano.[1] Dopo Galtun, sono stati in molti a criticare le sanzioni come strumento di politica estera:[2] non solo l’obiettivo prefissato di solito non viene raggiunto, ma talvolta le sanzioni economiche sono addirittura controproducenti.[3]

Queste valutazioni profondamente pessimiste sono state messe in discussione dall’Istituto di Economia Internazionale (Iei) di Washington il quale ha rilevato che le sanzioni economiche sono state almeno parzialmente efficaci in quasi il 40 per cento dei casi.[4] Se è vero che i risultati di questa ricerca sono stati criticati,[5] è anche vero che l’analisi empirica dell’Iei unita ad altre valutazioni più teoriche lasciano immaginare che le sanzioni economiche possano contribuire in modo efficace al raggiungimento degli obiettivi prefissati.[6] I risultati contrastanti sull’efficacia delle sanzioni economiche hanno portato il dibattito verso un’altra direzione, ovvero si è cercato di capire quali fossero gli obiettivi delle sanzioni economiche al fine di valutare con maggiore precisione l’efficacia di questo strumento di politica estera. Anche in questo caso, le risposte variano notevolmente.

Il primo studio esplicito su questo tema spiega che le sanzioni economiche possono essere impiegate per raggiungere cinque diversi obiettivi: obbedienza (compliance), sovversione, deterrenza, simbolismo internazionale e simbolismo interno.[7] A questi cinque obiettivi se ne possono aggiungere ancora due. Primo, le sanzioni economiche possono essere anche solo una punizione per un comportamento ritenuto sbagliato.[8] Secondo, le sanzioni economiche sono imposte per favorire lobbies all’interno del paese che impone tali misure restrittive.[9] In definitiva, non sembra che le sanzioni abbiano grandi speranze di successo, ma le motivazioni per le quali possono essere impiegate sono così varie che la valutazione della loro efficacia dipende più da un’analisi soggettiva che obiettiva degli eventi.

Comunque, gli autori di questi studi si trovano d’accordo su un dato: le popolazioni civili sono quelle che pagano il prezzo più alto delle sanzioni economiche.[10] Il giudizio appare unanime: “Nonostante siano in molti a favorire le sanzioni economiche perché più umane degli interventi militari, la decisione fra uso o non uso della forza ha poco a che vedere con ragioni umanitarie. Piuttosto, questo è dovuto a bassi costi politici assieme ad un minore rischio di perdita di credibilità in caso di sconfitta.”[11]] Alcuni hanno perfino descritto le sanzioni economiche come “una terapia che crea più danni della malattia che vuole curare.”[12] Queste opinioni sono diventate certezza nel 1997, quando le Nazioni Unite hanno riconosciuto gli Stati che impongono sanzioni economiche per la violazione dei diritti umani dei civili nei paesi verso i quali vige un regime sanzionatorio.[13] Il diffuso pessimismo sull’efficacia delle sanzioni economiche unito alla volontà di limitare i costi umanitari che causavano hanno avviato una riflessione su questo strumento di politica estera che ha dato vita alle prime riflessioni sulle cosiddette “sanzioni intelligenti.”[14]

 

 


 

[1] Johan Galtung, “On the Effects of International Economic Sanctions, with Examples from the Case of Rhodesia,” World Politics 19, Aprile 1967.

[2] Alcuni studi che condividono questa convinzione sono Klaus Knorr, The Power of Nations: The Political Economy of International Relations, New York: Basic Books, 1975; Margaret P. Doxey, International Sanctions in Contemporary Perspective, Basingstoke: McMillan Press, 1987; Donald Losman, International Economic Sanctions: The Cases of Cuba, Israel and Rhodesia, Albuquerque: University of New Mexico Press, 1979; Robin Renwick, Economic Sanctions, Cambridge: Harvard University Center for International Affairs, 1981; Robert A. Pape, “Why Economic Sanctions Do Not Work,” International Security 22(2), 1997; Robert A. Pape, “Why Economic Sanctions Still Do Not Work,” International Security 23(1), 1998; Cooper A. Drury, “Revisiting Economic Sanctions Reconsidered,” Journal of Peace Research 35(4), 1998.

[3] Questo meccanismo è chiamato rally around the flag. Infatti, se da un lato le elites utilizzano le misure restrittive come motivo per allargare il proprio consenso con retorica populista e nazionalista. Per un approfondimento vedere Johan Galtung, “On the Effects of International Economic Sanctions, with Examples from the Case of Rhodesia,” World Politics 19, Aprile 1967.

[4] Gary Clyde Hufbauer, , Jeffrey J. Schott, e Kimberly Ann Elliott, Economic Sanctions Reconsidered: History and Current Policy, 2nd ed, Washington, D.C.: Institute for International Economics, 1990 e Kimberly Ann Elliott, Economic Sanctions as a Foreign Policy Tool. Presentazione in Powerpoint per The Institute for International Economics and the Center for Global Development, Washington DC, Aprile 2006, disponibile su  <http://www.iie.com/publications/papers/elliott0406.pdf>.

[5] Robert A. Pape, “Why Economic Sanctions Do Not Work,” International Security 22(2), 1997; Robert A. Pape, “Why Economic Sanctions Still Do Not Work,” International Security 23(1), 1998; Cooper A. Drury, “Revisiting Economic Sanctions Reconsidered,” Journal of Peace Research 35(4), 1998.

[6] Senza entrare troppo nel merito, Baldwin nel 1985 ha cercato di inquadrare le sanzioni economiche all’interno degli strumenti di politica estera disponibili ed ha evidenziato che una vera valutazione di questo strumento è possibile solo alla luce delle alternative disponibili. Per questo argomento vedere David A. Baldwin, Economic Statecraft, Princeton: Princeton University Press, 1985 e David A. Baldwin, “The Sanctions Debate and the Logic of Choice,” International Security 24(3), 1999. Sempre sulla stessa linea, Drezner ha scritto che non è possibile valutare l’efficacia delle sanzioni economiche solo studiando i casi in cui le sanzioni sono state imposte. Infatti, anche le minacce di sanzioni economiche dovrebbero essere considerate nelle valutazioni complessive di questo strumento. Se una sanzione economica viene minacciata ed alla minaccia il bersaglio si adegua alle richieste, allora dovremmo parlare di successo della sanzione economica. Daniel W. Drezner, “The Hidden Hand of Economic Coercion,” International Organization 57. Estate, 2003.

[7] Nel primo caso, le sanzioni economiche hanno l’obiettivo di costringere chi è oggetto delle sanzioni a soddisfare richieste politiche proveniente dall’attore che intende imporre le sanzioni. Nel secondo caso, l’obiettivo è quello di indebolire il governo per favorirne un ricambio prematuro – ovvero, il più attuale cambio di regime. Le sanzioni economiche possono anche avere come obiettivo quello di punire certi comportamenti al fine di disincentivare altri stati a ripetere le medesime scelte (deterrenza). Il quarto ed il quinto caso possono essere trattati assieme in quando non differiscono nel merito, ma nell’audience alla quale si rivolgono. In breve, l’obiettivo in questi ultimi due casi è quello di indicare una posizione, sia di principio che di interesse, dello stato che impone la sanzione. Mentre nel quarto caso l’indicazione è diretta ad altri stati, nel quinto caso la sanzione è imposta per soddisfare le domande di gruppi all’interno del mittente. Per un approfondimento, vedere James M. Lindsay, “Trade Sanctions as Policy Instruments: A Re-examination,” International Studies Quarterly 30(2), 1986.

[8] Kim Richard Nossal, “International Sanctions as International Punishment,” International Organization 43(2), 1989.

[9] William H. Kaempfer, e Anton D. Lowenberg, “The Theory of International Economic Sanctions: A Public Choice Approach,” American Economic Review 78(4), 1992 e George E. Shambaugh, States, Firms, and Power: Successful Sanctions in United States Foreign Policy, Albany, NY: State University of New York Press, 1999.

[10] Per citarne alcuni, Thomas G. Weiss, David Cortright, George A. Lopez e Larry Minear, Political gain and civilian pain: Humanitarian impacts of economic sanctions, Rowman & Littlefield Publishers, Lanham/New York/Boulder/Oxford, 1997; R. Thomas Naylor e Jack A. Blum, Economic Warfare: Sanctions, Embargo Busting, and Their Human Cost, Boston: Northeastern University Press, 2001; John e Karl Mueller, “Sanctions of Mass Destruction,” Foreign Affairs, Maggio/Giugno 1999; Claudia von Braunmühl e Manfred Kulessa, The Impact of UN Sanctions on Humanitarian Assistance Activitie, A Report on a Study Commissioned by the United Nations Department of Humanitarian Affairs Berlin: Gesellschaft für Communication Management Interkultur Training, Dicembre, 1995; Peter Wallensteen e Carina Staibano, International sanctions: between words and wars in the global system, London, New York, Cass, 2005.

[11] Thomas G. Weiss, David Cortright, George A. Lopez e Larry Minear, Political gain and civilian pain: Humanitarian impacts of economic sanctions, Rowman & Littlefield Publishers, Lanham/New York/Boulder/Oxford, 1997, p. 15.

[12] John e Karl Mueller, “Sanctions of Mass Destruction,” Foreign Affairs, Maggio/Giugno 1999.

[13] United Nations, Committee on Economic, Social and Cultural Rights, General Comment No. 8 (E/C.12/1997/8), The Relationship between Economic Sanctions and Respect for Economic, Social and Cultural Rights, 12 Dicembre, 1997.

[14] David Cortright e George A. Lopez, Smart Sanctions: Targeting Economic Statecraft, Lanham. Md: Rowman & Littlefield Publishers, 2002.

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