Moore, la fabbrica del dissenso
di Gabriele Cazzulini
[29 mar 07]

Chi la fa l’aspetti, soprattutto dagli ex discepoli che decidono di smascherare il loro presunto santone. Eppure niente lasciava presupporre che questo disincantato finale ribaltasse ogni ottimistica premessa. Tutto era iniziato sotto i migliori auspici. L’apoteosi di Michael Moore, guru cinematografico santificato per i suoi film-documentari contro Bush, si era rapidamente trasformata in venerazione. E così due tra i suoi numerosi discepoli, la coppia canadese Debbie Melnyk e Rick Caine, marito e moglie, colti da raptus adulatorio, avevano deciso di produrre un documentario biografico su Moore. Lo schema era elementare perché incardinato su un’intervista al divo della celluloide durante una pausa dei tours 2004 di Fahrenheit 9/11 e Slacker Uprising. Tuttavia il roseo progetto divenne presto cartastraccia per un banale quanto incomprensibile motivo: Moore non intendeva rilasciare interviste, neppure ad una coppia di suoi appassionati sostenitori intenti a diffondere la sua grandezza, non soltanto fisica. Insomma i due fedeli discepoli si accorsero che il loro venerato maestro continuava a sbattergli la porta in faccia. Era incredibile ma questo copione ricalcava fedelmente quello che lo stesso Moore aveva filmato ai suoi esordi quando si cimentava in interviste a grandi personaggi. Adesso Moore si comportava esattamente così: era lui a snobbare i suoi intervistatori, eludendo le domande e bistrattando le telecamere. Allora perché non usare le sue stesse tecniche, filmando ogni intervista andata a buca?

Ma c’era di più. Il successo di Moore arrivò nel 1989 proprio con un apparente fallimento, “Roger and me”, la collezione dei tentativi andati falliti di intervistare Roger Smith, all’epoca presidente di General Motors. Le telecamere di Moore si spengono sull’intervista continuamente sfuggita. Ma i due registi canadesi hanno scoperto che la realtà proseguiva oltre: alla fine Moore riuscì ad intervistare Smith per ben due volte. Ma poi decise di tagliare questi pezzi dal montaggio finale. I suoi due discepoli, smascherato ormai il mito di Moore, hanno applicato la sua stessa tecnica, usandola contro di lui. Sono andati in Michigan a ricostruire gli esordi della sua carriera giornalistica e politica, scoprendo dalla voce dei suoi ex colleghi di The Flint Voice e Mother Jones l’abitudine di Moore di manipolare con eccessiva disinvoltura i suoi documentari – l’esempio lampante è una sequenza tratta dalla strage di Columbine. Ma non è tutto. Hanno raccolto i due anni di interviste fallite con Moore che si comporta esattamente come si comportò Roger Smith –aggiungendo le interviste a Smith che Moore censurò. Il finale è “Manufacturing Dissent”, il documentario che sgonfia il pallone mediatico di Michael Moore usando le sue stesse tecniche. E’ l’occasione tanto attesa per vedere finalmente colare giù tutto il grasso ideologico che ha infarcito i suoi documentari. Il vitello d’oro di Michael Moore è rimasto un vitellone che sta finendo al macello. Invitato a commentare “Manufacturing Dissent”, Moore infatti ha ancora una volta rispettato il copione di cui è involontario protagonista e ha scelto il silenzio. Non c’è più niente che possa aggiungere.

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