“Sì, sono un grande moralista. Sono un protestante del midwest
che odia Bill Clinton, un moralista che teme Dio. E’ difficile da
credere visti i libri che scrivo, ma il senso morale della narrativa consiste
nel mostrare le orribili conseguenze di un atto immorale e il prezzo karmico
che le persone pagano per averlo perpetrato”. James Ellroy nasce a
Los Angeles nel 1948, bambino, perde la madre in un delitto a sfondo sessuale
tuttora irrisolto, spende la sua vita dissolutamente, finisce in carcere
dove illuminato dalla lettura di romanzi polizieschi esce dal tunnel in
cui si è cacciato per andare incontro alla letteratura come ad una
vocazione. Il lavoro che gli permette di salire all’attenzione del
grande pubblico è un romanzo apertamente, anche nel titolo, ispirato
ad un altro omicidio irrisolto, avvenuto proprio vicino alla sua abitazione
e salito alla ribalta della cronaca come il caso della “Dalia Nera”.
La “Dalia Nera” proietta di nuovo Ellroy nella tragica vicenda
della madre e ispira il primo tra i quattro romanzi della celebre saga sulla
città degli angeli (“Dalia Nera”, “Il Grande Nulla”,
“L.A. Confidential”, “White Jazz”), rappresentando
per gli anni Ottanta una vera e propria rinascita dell’epica contemporanea
attraverso una lettura originale e spudorata dell’ossessione metropolitana.
Il
libro e il film raccontano di due poliziotti, ex pugili, Lee Blanchard e
Bucky Bleichert che indagano sul delitto la “Dalia Nera”, al
secolo Betty Ann Short, sfortunata attrice uccisa e mutilata orribilmente,
i cui resti vengono abbandonati in mezzo alla strada. Mentre Blanchard rimane
travolto da vecchi scheletri nell’armadio, dal morboso e torbido sfondo
dell’orrendo delitto, arrivando al punto di mettere in crisi il suo
rapporto con la sua donna, Bleichert rimane coinvolto in un’oscura
storia di sesso con Madeleine Linscott, figlia di uno degli uomini più
importanti della città, che si rivela legata alla vittima. Brian
De Palma porta la “Dalia Nera” sul grande schermo con protagonisti
Josh Hartnett, Aaron Echart, Scarlett Johansson, Hilary Swank e Mia Kirshner.
Il regista di “Carlito’s way”, “Gli intoccabili”,
“Omicidio a luci rosse” riesce però solamente nel finale
a restituire l’anima del romanzo di Ellroy, restando probabilmente
vittima di un casting troppo attento a logiche da rivista patinata.
Il
tocco del regista è sempre ispirato, i piani sequenza sono sempre
perfetti, alla De Palma ma, sotto molti punti di vista, il film risulta
incompleto: prova ne sia la resa scadente della stessa ambientazione, forse
per una fotografia non impeccabile; i costumi sono curati ma vuoti tanto
da far pensare durante le risse e le scene degli scontri per le strade,
di assistere ad un balletto più che ad una Los Angeles che esplode.
E’ lei L.A. la vera protagonista in ogni parola scritta da Ellroy,
senza L.A. il castello della mitologia immancabilmente crolla. “Il
centro di Los Angeles era deserto, come se si fosse improvvisamente addormentato
dopo una sbronza. In effetti, gli unici cittadini in vista erano gli alcolizzati
in fila per la loro tazza di caffé alla Union Rescue Mission. Parecchie
automobili erano parcheggiate irregolarmente, con i paraurti ammaccati che
si toccavano, di fronte agli alberghi a ore della South Main. Dalle finestre
pendevano festoni fradici di stelle filanti, che imbrattavano anche i marciapiedi.
Il sole che cominciava a far capolino sopra il bacino orientale sapeva di
caldo, di vapore e di emicrania. Mal si diresse in auto verso il Pacific
Dining Car, augurandosi che il primo giorno del decennio finisse alla svelta.”
(“Il Grande Nulla”, Mondadori).
Quella
di Ellroy è una L.A. viscerale che nasce dalla corruzione dei costumi,
propinata da cinema e TV come fosse progresso. Hollywood è una perfetta
metafora di questa decadenza senza via d’uscita. Nel suo ultimo romanzo
“Jungletown Jihad” (2006, Bompiani) il maestro del noir tornerà
ancora a nella sua città per mandare contro la Hollywood dei giorni
nostri un destrorso detective della squadra Crimini Irrisolti della Polizia
di Los Angeles: obiettivo sventare un attentato suicida all’interno
dello Spago nel dopo serata degli Oscar hollywoodiani. Ellroy si diverte
creando un personaggio che incarna in pieno il fanatico estremista di destra
americano tutto muscoli, pregiudizi, retaggi post-vietnam e nostalgie reganiane
(sebbene guai a chi tocchi anche George W. Bush). L’antieroe di Ellory
è innamorato di una starlet ultrasiliconata di terza categoria, detesta
la corruzione che la morale del politically correct ha insinuato nel paese,
è emotivamente sbandato e con una visione distorta del proprio ruolo
di poliziotto: per la Left Coast praticamente l’immagine precisa di
tutto ciò che di aberrante c’è nella Right Coast. Esilarante
il finale dove il protagonista disgustato dalla notte degli Oscar arriva
anche a chiedersi se sia veramente giusto che venga sventato l’attentato:
il paese sarebbe meglio o peggio senza tutta quel nulla. E’ incredibile
come la critica italiana abbia trovato nell’opera di Ellroy un altro
luogo deputato a sbugiardare una cultura della violenza stimolata dai dettami
dell’ipercapitalismo. Al di là di letture di parte, bastano
le sue parole: “Io amo gli Stati Uniti d’America di oggi e credo
che stiano seguendo in tutti i campi una strada positiva”.
(c)
Ideazione.com (2006)
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