“No estamos en
España, estamos en Catalunya”. E’ questo il leit motiv
che accompagna il viaggiatore che a Barcellona si abbandona a confusioni
(o presunte tali) politico-culturali. A chi si lamenta ancora oggi delle
pittoresche intemperanze leghiste del passato, è fortemente consigliata
una full immersion nel folle nazionalismo catalano. Certo, la situazione
catalana è diversa: esiste un’altra lingua, un’altra
origine storico-culturale. Ma l’orgoglio catalano è davvero
eccessivo, più simile al fanatismo che ad una seria e coerente rivendicazione
politica. Te ne accorgi per strada, quando noti che da qualche anno le indicazioni
non sono più bilingue ma solo in catalano. Te ne accorgi parlando
con la gente che si offende (e risponde seccata) quando dici “Voi
spagnoli…” o “Qui in Spagna…”. E te ne accorgi
soprattutto in questo periodo, con il referendum sulla riforma dell’Estatut
alle porte.
Il
18 giugno i catalani decideranno se dire Sì o No all’incosciente
riforma costituzionale di Zapatero e dei suoi sodali del PSC (Partito Socialista
Catalano), che di fatto rischia di disgregare lo Stato spagnolo. I catalani
sono divisi e discutono sul referendum. Badate bene, però: chi ha
optato per il No, nella maggior parte dei casi, lo ha fatto solo perché
giudica la riforma troppo morbida (sic), come ad esempio gli estremisti
della Esquerra Republicana.
Ma
dopo i primi due o tre giorni di permanenza ci si abitua agli eccessi nazionalistici
di Barcellona e si inizia a conoscere anche il caleidoscopico spettro di
cose che offre. Il turista banale, il Marco Polo “de noantri”,
si accontenta di andare su e giù per la Rambla, con due sole variazioni
sul tema dedicate alle classiche tappe obbligate alla Sagrada Famiglia e
al Montjuic. Chi invece vuole conoscere la vera Barcellona deve assolutamente
tenere in considerazione i due cuori pulsanti della città, così
diversi tra loro eppure entrambi rappresentativi dello spirito della capitale
catalana: il Barrio Gotico e l’Eixample.
Il
primo è un monumento al fallimento della società multiculturale
europea. Migliaia di immigrati (soprattutto maghrebini) hanno di fatto occupato
il Borne, il Raval, la Ribera, scegliendo così di autorecludersi
in una sorta di ghetto impenetrabile. Prostituzione, spaccio di droga, criminalità:
sono le caratteristiche di una zona bellissima e ricca di storia, che oggi
è vittima della decadenza culturale del nostro continente.
L’Eixample,
soprattutto la parte sinistra, è invece l’esatto opposto. La
libertà (perlomeno quella dei costumi) la fa da padrona. Il Gaixample
è un inno alla diversità, a partire da quella sessuale fino
ad arrivare alle semplici differenze di nazionalità. E’ il
quartiere universitario, il luogo di incontro delle migliaia di studenti
europei che ogni anno scelgono Barcellona come meta della loro esperienza
Erasmus (immortalata magistralmente dal recente film L’Appartamento
Spagnolo). Quello che colpisce il viaggiatore italiano che passeggia per
le vie dell’Eixample è l’assoluta naturalezza con la
quale ciascuno vive la propria sessualità. Insomma, magari la legge
di Zapatero sui matrimoni omosessuali non ci piace, però la libertà
sessuale in Spagna (e in Catalogna, ovviamente) è una meta raggiunta
da tempo, ben prima che i movimenti gay italiani salutassero con grida (smodate)
di giubilo l’arrivo alla Moncloa del “democratico” salvatore
dei diritti José Luis.
Ma
Barcellona (grazie a Dio) non è solo un paradiso sessuale. E’
altro. E’ un modello economico, è una città ricca e
produttiva che ha saputo sfruttare al meglio la sua “diversità”
(eccola che torna) rispetto al resto della Spagna. I catalani si sentono
un po’ come i nostri milanesi. Pensano di lavorare e pagare le tasse
anche per il resto del paese, e non lo sopportano. Urbanisticamente, poi,
la città è un vero gioiello. L’Eixample, con la sua
struttura perfettamente reticolare, dà al cuore della città
un aspetto ordinato e composto. Il modernismo di Gaudì (e dei suoi
allievi) prima e le Olimpiadi del ’92 poi, hanno completato egregiamente
l’opera. Barcellona può degnamente essere considerata, dunque,
una delle città più belle d’Europa.
Tutto
quello che abbiamo scritto fino ad ora, tuttavia non può e non deve
farci dimenticare i problemi e le brutture di una città che rischia
di diventare un gran calderone all’interno del quale ci può
stare tutto e il contrario di tutto. Un’immensa Babele che maschera
un relativismo esasperato con un fantomatico e non meglio definito concetto
di “libertà”. Accanto alla libertà dei costumi,
infatti, convivono cose opposte e antitetiche, che rischiano di farci dimenticare
quanto di buono abbiamo elencato fino a questo momento. Un esempio banale:
provate a saltare o ad altalenarvi usando i poggiamano di una vagone della
metropolitana. Alla stazione successiva saliranno due agenti della vigilanza
che in catalano (non provate nemmeno a dire che non capite l’idioma
locale, per loro è uguale, continueranno a parlare così) vi
intimeranno con modi burberi di smetterla. Sono i grandi successi della
videosorveglianza, una delle mode più in voga nella Spagna confusa
del III millennio. Tutto è videosorvegliato: le strade, la metropolitana,
persino le scale mobili che portano al Parc Guell. Il tutto in perfetto
stile Grande Fratello (quello orwelliano, ovviamente).
E i
poliziotti catalani (la Guardia Civil è stata sbattuta fuori dalla
Catalogna in nome dell’autonomia) somigliano sempre più agli
agenti della psicopolizia. Orwell oggi scriverebbe comunque il suo Omaggio
alla Catalogna? Crediamo di no. Purtroppo.
(c)
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