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“Per il Mezzogiorno serve meno Stato”
di Domenico Mennitti

Il documento della Fondazione Ideazione, da oggi al centro di un dibattito al quale prenderanno parte esperti, operatori economici, dirigenti politici e sindacali, esponenti del governo nazionale e di quelli delle regioni e degli enti locali, assume come punto di partenza la constatazione che l’economia meridionale non riesce, ancora oggi, ad utilizzare le proprie risorse. Due sono i sintomi di questa condizione patologica: il primo è la disoccupazione, doppia rispetto a quella del centro-nord, nonostante la popolazione del Mezzogiorno sia meno della metà di quella dell’altra area. Il secondo sintomo è dato dalla struttura del sistema finanziario, che rende gli operatori economici del Sud incapaci di utilizzare il proprio risparmio per finanziare le imprese locali. Questo elemento chiama più ampiamente in causa la debolezza del sistema finanziario meridionale che, negli ultimi anni, ha perduto progressivamente di efficienza per la progressiva scomparsa di intermediari che abbiano radicate sul territorio la proprietà e la direzione gestionale. E’ importante definire gli aspetti più significativi dell’analisi per ribadire che non c’incontriamo a Bari per fare le pulci alla legge finanziaria, documento fondamentale per il governo della politica economica del paese, peraltro in discussione alle Camere e, perciò, ancora soggetta a modifiche ed integrazioni. Però, la legge finanziaria è strumento che affronta le congiunture: quest’anno deve fronteggiare una depressione economica della quale nessuno aveva previsto le dimensioni, il riordino dei conti pubblici, la caduta delle entrate; il Sud ha bisogno urgente di sciogliere nodi strutturali che si sono aggrovigliati nel tempo, di affrontare e debellare le patologie che andrebbero prima analizzate e capite per poterle poi aggredire efficacemente.

Il compito di una fondazione di cultura politica non è di erigere barricate o dispensare ricette, piuttosto di elaborare analisi, di predisporre progetti, di sollecitare mobilitazioni intelligenti, nel senso di sollecitare la sensibilità dei cittadini, e di fornire alla classe dirigente materiali per costruire una organica proposta di intervento. A nostro avviso il Sud presenta un deficit di diagnosi e vogliamo adoperarci a colmarlo perché da esso dipende anche l’inefficacia delle terapie sinora praticate. Individuiamo nel tipo d’intervento realizzato dallo Stato la causa dei più gravi disagi attuali: erogando sussidi e contributi prima alle imprese e poi anche alle famiglie, lo Stato ha trasformato l’economia meridionale in una sacca assistita e dipendente dalla finanza pubblica. I risultati sono che l’atteggiamento degli imprenditori verso il rischio è deformato, che non si sono registrati aumenti significativi nel tenore di vita, che il livello della produttività locale non ha registrato avanzamenti. Questo quadro non ha subito cambiamenti nel corso degli anni Novanta, che sono stati vissuti enfatizzando il decentramento amministrativo e la programmazione negoziata. I termini della polemica in corso sulla legge finanziaria di quest’anno confermano che persistono gli effetti distorsivi della dipendenza economica dalla finanza pubblica: ci stiamo accapigliando sulla quantità dei fondi da destinare al Sud perché così speriamo di sopravvivere, ma nessuno è in grado di affermare (ed, in verità, nessuno neppure si preoccupa di indagare) se l’impiego di quelle risorse varrà a risolvere i problemi o, paradossalmente, a renderli più acuti perché si stanno ripetendo ed enfatizzando gli errori del passato.

Il Mezzogiorno invoca una nuova politica economica e bisogna considerare la difficoltà di adottare un radicale ripensamento in una fase di basso profilo congiunturale e mentre regna una generale incertezza nell’economia globale. Tuttavia, è un’azione che bisogna avviare, introducendo incentivi automatici e fondati su strumenti fiscali e previdenziali per gli investimenti delle imprese, comunque ridimensionando la presenza pubblica per riqualificarle, al fine di centrare gli obiettivi strategici del suo intervento. Si tratta, perciò, di prendere le distanze dalle suggestioni stataliste come da quelle seccamente liberiste per realizzare una politica che consideri il mercato e lo sviluppo degli scambi la molla fondamentale dell’espansione del benessere. Siamo alla vigilia del delicato passaggio verso l’allargamento dell’Europa, un evento che offre occasioni che il Sud dell’Italia potrà cogliere solo se saprà attivare strumenti che sostengano la capacità di internazionalizzazione delle nostre imprese. Le quali dovranno anche attrezzarsi per attirare imprese estere in regime di joint venture, superando questa sorta di sudditanza di tipo coloniale che oggi le affligge. Discuteremo dei grandi nodi da sciogliere, delle riforme strutturali necessarie per un mondo che aspira ad essere parte integrante della nazione, della sua economia, del suo sviluppo civile. Non vogliamo cominciare daccapo, vogliamo, semmai, continuare e rinnovare, interpreti di un patrimonio culturale, di un travaglio politico, di un’ansia di cambiamento. Per noi la partita del Sud non è chiusa.

(da La Gazzetta del Mezzogiorno del 24 ottobre 2002)